Lega, no all’asse Salvini-Grillo
Riportiamo l’articolo, a firma di Stefano Rizzi, pubblicato su “Lo Spiffero” il 24 novembre 2016
Hanno esultato entrambi per la vittoria di Donald Trump e tutti e due non nascondono la simpatia (e pure qualcosa di più) per Vladimir Putin. Il punto di maggior avvicinamento – che secondo alcuni potrebbe addirittura arrivare a un contatto nel dopo elezioni – tra Beppe Grillo e Matteo Salvini, tuttavia, non sarebbe la visione sui due potenti del mondo e neppure (solo) il No al referendum sulle riforme che pure li vede insieme nell’accozzaglia di renziana definizione.
L’elemento fondante di quell’asse Lega-M5s alimentato nei timori di alcuni esponenti (per non dire della pancia elettorale di entrambi i movimenti) dall’assenza di scontri frontali e attacchi che non vadano oltre qualche debole punzecchiatura sarebbe, piuttosto, un inedito (per composizione) fronte contro un Nazareno bis. Ipotesi quest’ultima riportata sullo scenario da Silvio Berlusconi che ancora ieri, tenendo il punto sul No al referendum sia pure senza eccedere, è tornato ad auspicare un sistema elettorale proporzionale.
Nel caso si andasse, nel 2018 o prima, alle urne con una legge proporzionale in sostituzione dell’Italicum, un asse tra Pd e Forza Italia potrebbe essere l’argine a un probabile successo grillino. Successo che se, però, non portasse a una maggioranza parlamentare in grado di poter operare da sola, potrebbe vedere utile se non indispensabile l’asse con il Carroccio. Ipotesi che oggi non trovano nessuno né nella Lega, né nel M5S pronto a prenderle in considerazione anche solo a livello di scenario vagamente futuribile. Questo alla luce del sole. A taccuini chiusi, in alcuni casi la faccenda cambia un po’, com’è normale che sia.
Quello che invece non si può nascondere, tantomeno negare è ciò che è accaduto nel vertice della Lega in occasione delle elezioni amministrative del giugno scorso a Roma e non di meno a Torino. E che potrebbe corroborare l’ipotesi dell’asse Grillo-Salvini, con tutte le prevedibili conseguenze nei rispettivi corpi elettorali (ma soprattutto in quello leghista) semmai venisse solo subodorato. Seppur si è cercato in fretta di metterlo sotto il tappeto verde, è ancora lì ben chiaro l’endorsement fatto da Salvini nei confronti di Virginia Raggi e ancor più quel “se votassi a Torino voterei Chiara Appendino” ripetuto dal leader del Carroccio. Un Salvini forse tanto preso dalla battaglia per “mandare a casa Piero Fassino e il Pd” da non considerare l’imbarazzo che quellla presa di posizione provocava già in tempo reale in buona parte dello stato maggiore piemontese della Lega.
Nel giro di poche settimane le prime mosse della Appendino e in quelle successive altre decisioni (o più spesso non decisioni) della sindaca su temi cruciali per il Carrocccio – dallo sgombero dell’ex Moi alla questione del campo nomadi, solo per citarne un paio – avevano in fretta finito con il dare ragione al capogruppo leghista in Sala Rossa, Fabrizio Ricca il quale all’esortazione di Salvini a votare Appendino al ballottaggio aveva risposto con una gita al mare. Lo stesso Riccardo Molinari, ex numero due di Salvini in via Ballerio poi passato a governare il partito piemontese, non aveva certo amplificato – come si sarebbe atteso visto lo stretto rapporto con il leader – quel messaggio che, in verità era partito ancor prima che dal segretario, dal pirotecnico europarlamentare Mario Borghezio. “Vengo apposta a Torino da Bruxelles per votare Appendino” aveva annunciato l’Obelix leghista. Ma se la sua sarebbe potuta finire da annoverare come una, pur autorevole, sparata, altro era e resta il significato della mossadi Salvini. Peraltro non si sa quanto seguito dall’elettorato torinese. Di certo non apprezzato nel ventre duro della Lega in Piemonte, già divisa al congresso tra i seguaci del nuovo corso lepenista e custodi dell’ortodossia del movimento federalista delle origini.
Difficile definire diversamente da un inciampo quello del numero uno di via Bellerio in occasione del ballottaggio sotto la Mole. A confermarlo, oltre all’atteggiamento di Ricca sia in campagna elettorale e ancor più dopo dai banchi del consiglio comunale che lo vedono tra i più agguerriti avversari della giunta pentastellata, c’è anche quello di colui che era stato il candidato sindaco civico appoggiato proprio dal Carroccio: Alberto Morano. Ben distante dall’accogliere l’invito a votar Appendino, il notaio si è rivelato un oppositore attrezzato e puntuale di colei che aveva raccolto il caloroso sostegno salviniano.
Insomma, se è vero che il leader del Carroccio, sempre più proiettato lontano dalla connotazione nordista e verso un ambito nazionale sul modello del Front di Marine Le Pen non fa mistero di poter condividere con Grillo una parte di elettorato fluttuante (anti-Europa, antisistema e ora filo-Trump, è altrettanto vero che se quella di Torino (ancor più di quella di Roma) può essere considerata una prova di approccio con i grillini per un futuribile percorso comune, questa ha dato risultati a dir poco deludenti. E le forti perplessità – per non chiamarle con il loro vero nome: contrarietà – dello stato maggiore leghista torinese e piemontese all’endorsement salviniano a favore della Appendino hanno finito con l’ottenere ragione. Assai prima di quanto si potesse immaginare.



