COME USCIRE DALLA CRISI? di RICCARDO LALA – PARTE 2
Proseguendo nell’attuazione dei propri fini statutari, http://www.rinascimentoeuropeo.org/statuto/Statuto.pdf, RINASCIMENTO EUROPEO ha creato, sul proprio sito web www.rinascimentoeuropeo.org, uno spazio interamente destinato a raccogliere scritti e riflessioni su temi d’interesse generale che rientrino nelle finalità dell’Associazione.
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3. Rovesciare il tavolo e cambiare le regole del gioco
I problemi delle economie europee non si potranno risolvere fintantoché non ci si rassegnerà, non solo, come oramai alcuni propongono, a far intervenire lo Stato là dove i privati, o non ci sono, o non ce la fanno, o hanno fallito, ma anche a creare ex novo industrie che non ci sono, ma di cui si sente l’assenza sul mercato. Mi riferisco innanzitutto ai servizi sul web, all’immagazzinamento dei dati, alle tecnologie di telecomunicazione..).
Come diceva Rathenau, la società dei battelli del Reno esiste, non già per pagare i dividendi agli azionisti, ma per fare navigare i battelli sul Reno. In ogni caso, la rivoluzione digitale comporta una trasformazione globale della società, in cui, come alternativa al fallimento collettivo e individuale, tutti debbono imparare, e in fretta, a svolgere attività di contenuto superiore a quelle fino ad ora svolte.
Ma non lo faranno mai se non saranno guidati dallo Stato, e, in un certo modo, costretti, come nel caso della quarantena. Certe attività, come la cura del territorio (la vera “green economy”), si potrebbero e dovrebbero svolgere addirittura sotto la forma del servizio civile (se non militare) – da un lato, meno costosa, e, dall’ altra, più snella e addirittura utilizzabile al fine di costruire curricula e anche una diversa etica ecologica, sociale e nazionale-.
In fin dei conti, non si può neanche escludere che Stati medio-piccoli (come la Corea del Sud e Israele, e quindi, perché no, anche l’Italia) possano perseguire siffatte politiche anche da soli, ma si tratta di Stati particolarmente tosti e militarizzati.
L’UE è facoltativa; l’Europa è comunque obbligatoria
Vari amici mi “girano” documenti web contro il “tradimento” della Germania, che meriterebbe un brutto voltafaccia da parte nostra, per la mancanza di aiuti ma, soprattutto, per la resistenza all’idea dei “Coronabonds”.
Secondo Bradanini, anzi, il problema numero uno sembrerebbe essere proprio la Germania.
Certo, il comportamento di molti Stati europei in occasione dell’epidemia ha suscitato una diffusa avversione da parte dei Paesi vicini: dalla Germania, che cura solo 8 malati e non vuole permettere un maggiore aiuto finanziario europeo, alla Francia che non ha inviato nessun aiuto, per passare ad Austria e Slovenia che hanno chiuso le proprie frontiere, mentre aiuti pervenivano (e ancora pervengono) da tutto il mondo, per giungere, infine, alla Repubblica Ceca che ha addirittura dirottato mascherine cinesi destinate all’ Italia, che per caso erano passate da Praga, distribuendole immediatamente ai propri ospedali, e inventandosi un poco credibile furto e un altrettanto poco credibile sequestro. Sotto questo punto di vista Bradanini è ancora troppo buono, limitandosi a scrivere, “accogliendo qualche paziente italiano che non trova posto negli ospedali italiani ridotti allo stremo proprio dalle sue politiche”, perché, tra l’altro, il sostanziale rifiuto dei medici tedeschi (anzi, di tutti i medici europei occidentali) di venire ad aiutare in Italia, volendo “portarsi i malati a domicilio”, denota la mancanza di dedizione al lavoro che dovrebbe caratterizzare l’etica medica, di cui sono invece dotati quelli cinesi, russi, cubani e albanesi (e dei volontari evangelici americani). Certo, di fronte ad atteggiamenti così estremi, non si può che criticare, ma si deve soprattutto riflettere sulle motivazioni.
Non tanto per stabilire torti e ragioni, quanto per stabilire, come diceva Nietzsche, la “verità in senso extramorale”. La freddezza verso la tragedia dell’Italia, ingiustificabile anche verso estranei, nel caso dei nostri vicini è sintomatica dell’insostenibilità dell’Europa attuale,come è stata costruita, non soltanto in quanto economicistica, non soltanto in quanto funzionalistica, ma in generale in quanto razionalistica. Scriveva Pavese, “un paese ci vuole” (sia esso un villaggio, una città, una regione, una nazione, un continente, un impero).
Ma qualunque “paese”, non sarà mai tale se non sarà in grado di richiamare ricordi, fedi, sentimenti, idee, progetti, passioni. Quello che è stato fatto e ci è stato detto sui nostri quartieri, città, regioni, Stati,ma soprattutto sull’ Europa, è soltanto ch’ essi servono per fornirci “servizi”, per impedire la violenza, per favorire il progresso materiale, per portarlo in tutto il mondo. Non abbiamo monumenti, canzoni, poemi, riti. Quello che c’è sono dei predicozzi della domenica, più noiosi delle stesse vere e proprie prediche, insopportabili perfino per il Papa:“the Waste Land”.
Paradossalmente, hanno più fascino i richiami ad Aristotele, Virgilio, Matteo Ricci e Dostojevskij fatti da Cina e Russia, legati a concreti gesti di umana, o anche solo, perché no, politica, solidarietà. E, infatti, la nostra Europa è quella di Ippocrate, Svetonio, Leibniz, Montesquieu, Beethoven, Nietzsche, Stephan Zweig, Simone Weil, un’ Europa che non è legata a nessuna forma istituzionale, ma ci porta a collocarci consapevolmente e in modo originale all’ interno di una cultura mondiale. Da questa Europa non possiamo sfuggire, perchè, per quanto conosciamo, studiamo e apprezziamo Confucio, Laotze, Mozi, Sunzu, Kang You Wei e Zhang Wei Wei;Shiratori e Mishima; Tagore e Gandhi; Averroè, Al Ghazzali e Ibn Khaldun; Eliot e Pound; Dos Passos e Frantzen, pure ci siamo formati, e ancora pensiamo e sentiamo, sulla base di quei maestri, e non di questi ultimi, che non capiremo mai sufficientemente. Siamo, nostro malgrado, imprigionati nell’ identità europea.
4. Perché Altmaier è contro i “Coronabond”?
Credo che i motivi della resistenza ai Coronavirus sia diversa da quanto vendutoci dai media, celando un conflitto più nascosto: essa è il frutto di una lotta politica precedente e a monte, una profonda incrinatura del fronte franco-tedesco – incrinatura che, in effetti, è proprio all’origine dell’alleanza dell’ Europa del Sud per i “Coronabonds”-. In questo senso va interpretata l’enigmatica frase della Presidentessa von der Leyen: “capisco la Germania”.
Macron e il ministro dell’economia Altmaier stanno ambedue manovrando nei rispettivi Paesi da almeno un anno intorno a un’idea: il superamento proprio del vecchio mito tedesco-brussellese della stabilità monetaria (l’”ordo-liberalismo”), per passare a una politica economica molto più interventistica, necessaria contro l’invadenza americana, per esempio nel caso delle sanzioni, delle guerre commerciali e delle acquisizioni predatorie. Compito difficilissimo, perché, da almeno 30 anni, si era imposto all’opinione pubblica il luogo comune che l’intervento pubblico nell’ economia sia un tabù.
Nonostante quest’ affinità ideologica fra i due, Macron e Altmaier erano destinati a scontrarsi fra di loro proprio su come realizzare questo storico rivolgimento, che comporta in ambo i Paesi una dura lotta contro i luoghi comuni liberistici e atlantistici: in Francia, le lobbies finanziarie che hanno creato Macron; in Germania, la CDU, che accusa il socialista Altmaier di “statalismo”. In effetti, Altmaier pensa addirittura alla misura, sacrilega nella Germania Ovest, della nazionalizzazione delle grandi imprese in crisi. Anche perché è lì che si prevedono a breve 20.000 licenziamenti.
Per vincere queste resistenze, Macron deve abbinare la sua idea della “sovranità tecnologica” all’idea di un’ egemonia francese sulla politica estera e di difesa europea,. all’ombra della Force de Frappe, e Altmaier deve tirare dietro di sé i grandi complessi manifatturieri in crisi con la promessa di pesanti
aiuti di Stato. Mentre Macron vede nella crisi un’occasione per sforare i vincoli di bilancio, Altmaier teme che, se si spende tutto in misure assistenziali per il Coronavirus, non resti più nulla per la sua politica industriale interventista. Politica che non è certo sbagliata, perché, come dice Altmaier, “l’
innovazione è più importante dell’assistenza“: i finanziamenti dovrebbero essere canalizzati verso attività innovative, non già aiutare tutti a sopravvivere.
Se l’America ha il DARPA e la Cina il PCC, la Germania, per sostenerne la concorrenza, ha bisogno di un’industria di Stato. E, significativamente, il documento che Altmaier ha faticosamente costruito in un anno con le parti sociali si chiama proprio “Strategia industriale per la Germania e per l’Europa”.
5. Non si può difendere l’Unione Europea solo con la retorica
Perciò, oggi è impossibile continuare a sostenere, di fronte a tutti i critici dell’Europa, che la soluzione dei problemi passi attraverso l’Unione Europea così com’essa è attualmente congegnata, nella quale non credono più, né la Francia, né la Germania, le quali comunque la vorrebbero anch’esse molto diversa. Gli attuali meccanismo mancano assolutamente di resilienza e incoraggiano le peggiori tendenze degli Stati Membri.
Inoltre, è divenuto del tutto credibile che, nella situazione di carenza generalizzata da parte della UE (per esempio nel fornire assistenza tecnica, finanziamenti, investimenti e tecnologie), qualche Stato membro trovi aiuti, non solo per le mascherine e per i ventilatori, ma per cose più sostanziose, come l’importazione di lotti strategici di prodotti mancanti e l’esportazione degli stock invenduti, il sostegno al turismo organizzato, e soprattutto ad imprese tecnologiche e di servizi con ambizioni di leadership in Europa, presso altri attori. E’ ovviamente, in primo luogo, il caso della Cina.
Questo è il senso delle “Nuove Vie della Seta”, che comprendono collaborazioni strutturate in tutte le aree geografiche e in tutti i settori della vita sociale: la “Via della Seta Culturale”, la “Via della Seta della Salute”… D’altra parte, è chiaro che un’ Europa divisa, non solo non potrà rimontare la china dell’ irrilevanza e del declino su cui è già ora abbondantemente avviata, ma diverrà in men che non si dica il teatro di una “guerra senza limiti” per procura, di cui esistono già infinite premesse, non solo nello spazio ex-sovietico, ma anche nell’ ex Jugoslavia, in Catalogna, nell’ arcipelago britannico.
Si farà sentire più che mai l’esigenza di un egemone interno al nostro Continente. Un blocco sud ed est europeo intorno all’ Italia potrebbe risultare perfino più credibile, come federatore interno, in un mondo dominato da battaglie culturali prima che economiche, che non l’auto-elettosi blocco dell’Europa nord-occidentale, oramai in disfacimento.
Quindi, i nostri improbabili neo-nazionalisti, anziché auspicare un’Italia isolata, dovrebbero pensare piuttosto a un’Italia leader. Cosa che non si potrà fare senza l’apporto di tutti i colossi, demografici, economici, politici, culturali e militari, dell’Eurasia.
Non si può comunque lasciare il campo libero alle sole grandi potenze, soprattutto oggi, quando le “pruderies” europee di auto-flagellazione stanno lasciando un poco ovunque il campo ad una volontà di rinascita e di combattimento. Sotto questo punto di vista, le identità regionali, nazionali ed europea, sono tutt’altro che in conflitto fra di loro, in quanto esse corrispondono semplicemente a ciò che De Las Casas chiamava le “corone” e Tocqueville “l’antica costituzione europea”, cioè gli eredi della “Patrios Politeia” greca e dell’ Impero Romano.
Così come Atene e Sparta erano diversissime e inimicissime fra di loro, ma sconfissero insieme l’Impero Persiano, così le differenti parti dell’Europa possono avere un peso sulla politica mondiale se operano in modo congiunto (come alla difesa di Vienna da parte di Jan Sobieski e del Principe Eugenio). Per esempio, Regione alpina, Italia ed Europa hanno tutte una loro storia e tradizione millenaria, che ha influenzato la storia del mondo (basti pensare a Roma, ai condottieri sabaudi, al calvinismo, a Nietzsche in Costa Azzurra e a Torino).
Mancano solo delle idee che le tengano insieme in un disegno unitario. Le forme giuridiche e finanziarie contano molto meno delle idee. Per questo credo che una battaglia pubblicistica fondata sulle idee più che sulle istituzioni abbia oggi un significato strategico, e per questo continuiamo a condurla.
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Autore: Riccardo Lala
Titolo: Come uscire dalla crisi?
Data di pubblicazione: 4 aprile 2020
Articolo pubblicato contemporaneamente su “alpina diàlexis” (http://alpinasrl.com)