Un patto appeso al referendum
Riportiamo l’articolo pubblicato su “Lo Spiffero” il 21 novembre 2016
Basterà appellarsi al latino invocando quel pacta sunt servanda – mai più calzante che in questo caso – oppure sarà un’altra lingua, quella dei numeri che decreteranno l’esito del referendum, a riscrivere le pagine del futuro economico-sociale di Torino e del Piemonte, per ora abbozzate nell’annunciato Patto tra Comune, Regione e Governo? Quattro grandi direttrici (infrastrutture e mobilità, crescita intelligente, bonifiche e difesa del suolo, agricoltura) e qualcosa come 830 milioni che, attraverso fondi per lo sviluppo sociale e altre misure, saranno investiti dallo Stato sul territorio regionale.Matteo Renzi la risposta positiva alla richiesta di Chiara Appendino l’ha data ormai da settimane, la Regione attore non certo secondario, ha posto in maniera inequivocabile delle condizioni a Palazzo di Città – “Il Patto non è un menu à la carte dove la sindaca prende quel che le piace e sul resto continua a fare opposizione” – e Palazzo Chigi attende i dossier che dovranno vedere la linea del Comune coincidente o perlomeno non conflittuale con quella della Regione di cui Sergio Chiamparino e il suo vice Aldo Reschigna hanno già discusso di recente con il viceministro all’Economia Enrico Morando, condividendo, tra gli altri, un punto cruciale sintetizzato dallo stesso Reschigna e che suona come monito alla giunta pentastellata: “Noi non siamo in concorrenza con la Città, ma da Torino ci aspettiamo un piano realistico per sfruttare al meglio le risorse disponibili, non un libro dei sogni”.
Fin qui la road map di un cammino ancora tutto da percorrere. E sul quale, tuttavia, potrebbe stagliarsi un ostacolo che, se teoricamente non è impossibile da superare, potrebbe realisticamente rallentare o bloccare la realizzazione concreta del Patto. Non sono in pochi a chiedersi quale sarebbe il suo destino nel caso, non improbabile se si dà credito ai sondaggi, di vittoria del No il 4 dicembre. Le conseguenze di una eventuale bocciatura delle riforme costituzionali sul prosieguo del Governo Renzi, pur tra numerose e differenti previsioni, non saranno né lievi, né ininfluenti su grandi questioni. Rispetto a molte di queste, il Patto per il Piemonte, pur di notevolissima importanza per la regione può apparire decisamente minore. E proprio questo, paradossalmente, finirebbe per diventare una delle ragioni di una sua messa se non in discussione, di certo in un cassetto.
L’ipotesi di un esecutivo di scopo con il compito principale di varare una nuova legge elettorale, approvare la legge di Bilancio e condurre il Paese verso le elezioni, difficilmente potrebbe contemplare un iter regolare, nei tempi e nei modi, di quelle intese da sottoscrivere con le istituzioni territoriali. Sono (anche) misure previste e piani pronti per essere attuati come quello per il Piemonte che hanno indotto ampi settori del mondo imprenditoriale – Confindustria in testa – a posizionarsi a favore delle riforme, la cui bocciatura avrebbe come effetti collaterali, ma estremamente pesanti anche l’interruzione (rallentamento nel migliore dei casi) di erogazione dei finanziamenti.
Certezze non ce ne sono su cosa potrebbe accadere per quanto riguarda la guida del Governo nel caso di bocciatura delle riforme. Renzi ha ribadito di non essere disponibile a governicchi. Ma anche qualora, sempre nel caso di vittoria del no, il premier dovesse accettare (giocoforza) un reincarico dal Capo dello Stato e l’orizzonte delle urne dovesse essere abbreviato rispetto al 2018, non appaiono infondati i timori di chi li avanza, a Torino e in Piemonte, su quel Patto, vera e concreta sferzata per l’economia regionale.
Uno scenario che potrebbe addirittura indurre alcuni di coloro che hanno chiesto e ottenuto il via libera governativo al piano di investimenti, ma che sono per collocazione politica sul fronte del No a meditare sul voto del 4 dicembre soppesando i due piatti della bilancia. Renzi sarà giovedì al Lingotto per un ulteriore (e forse non ultimo) passaggio piemontese in vista del referendum. Il giorno successivo farà tappa a Novara, dopo essere stato nelle scorse settimane già a Cuneo, Asti e Alessandria. Tra le ragioni a sostegno del voto a favore delle riforme non citerà certamente il rischio di vedere messo in discussione – almeno nella tempistica – il Patto per Torino e il Piemonte. I fautori della tesi del ricatto sarebbero pronti a cavalcare la tigre della polemica. Era accaduto per la Città della Salute con una capziosa interpretazione delle parole della ministra Maria Elena Boschi da parte di una Appendino, ancora in versione Giovanna d’Arco. La stessa che una volta eletta ha dovuto fare retromarcia, senza se e senza ma, al progetto del Parco sostenuto da Regione e Governo. Pure il vicesindaco Guido Montanari, il quale aveva ripetuto che mai si sarebbe fatto, è dovuto tornare sui suoi passi. E tutti i perentori “no” erano caduti, così come la teoria del complotto del Governo pronto a togliere i finanziamenti nel caso a Torino avessero vinto i grillini. Un precedente troppo recente per poter essere archiviato. Troppo eloquente per non tenerne conto guardando al futuro del Patto.



