RIFLESSIONI SULLA GIUSTIZIA – Parte 1
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Recenti vicende che hanno toccato profondamente gli ambienti giudiziari, sono state un autentico terremoto nei palazzi della Giustizia. Ed è perfettamente comprensibile, tanto quanto la sorpresa e la giusta indignazione dei cittadini, abituati ad una visione netta e rispettabile della “funzione”. Occorre ricordare, intanto, come è nata la “vicenda” e specialmente fare riferimento alla lunga “autodifesa” del protagonista, un magistrato di altissimo livello, membro togato del CSM, già presidente della Associazione Nazionale Magistrati. Coinvolto in una nota trasmissione televisiva, è intervenuto con una lunga e articolata dichiarazione, variamente commentata ed interpretata, essendo ormai di pubblico dominio. Essa sarà stata giudicata una sincera ammissione dei “fatti”, se non proprio delle responsabilità, ed una sorta di autodifesa, appena accennata, e presa di distanza dal “sistema correntizio” e da quanto ad esso si accompagna. Come dire: “mi ci sono trovato e ci ho navigato anch’io”. Tale, infatti, probabilmente, voleva apparire. Viceversa, potrebbe essere interpretata come una sorta di arrogante, ben celata, provocazione. Se non propriamente una sfida. Come dire: “ebbene sì, ma tanto me la caverò con poco”. Certamente, con il “pacchetto” di…informazioni che possiede (anche e soprattutto lui) avrebbe di che giocarsi le migliori carte.
Probabilmente, ci si attende una punizione esemplare: ma non sarà così, non solo per queste ragioni ma, anche e soprattutto, perché si cercherà di “minimizzare” (alcuni “capi” sono stati già esclusi ed archiviati) nel nobile intento di non fare sfigurare più di tanto Donna Magistratura. Protetta com’è dalle due ancelle Autonomia e Indipendenza, destinate a scudo verso qualsiasi tentativo di “mano morta”. Danneggiata rimane soltanto la gran parte dei magistrati onesti e liberi, quelli che, venivano sempre “dopo”. O mai. Il tempo (tanto, probabilmente) dirà se questa lettura è corretta o meno. Conviene, in ogni caso, fare il punto giuridico della situazione, premesso, ovviamente, che esso si basa su notizie di fatti che dovranno essere confermati nella sede opportuna, ossia in quella giudiziaria. Essi vengono dati per scontati per facilità di esposizione, e come tali vanno intesi.
Partendo da una, pur superficiale, ricostruzione dei “fatti”, nella lunga e “movimentata” presenza del protagonista ai vertici della Associazione Nazionale Magistrati e, contemporaneamente e con evidente connessione, di membro togato del Consiglio Superiore della Magistratura, si può riconoscere che i “compiti funzionali specifici” affidati consistevano nel partecipare a tutte le deliberazioni associative ma specialmente consiliari, aventi ad oggetto la carriera dei magistrati italiani e la tutela della regolarità dell’operato di questi. Come dire gli aspetti organizzativi (avanzamenti, assegnazioni, trasferimenti, promozioni e quant’altro) oltre alla specifica funzione disciplinare, la cui estrema delicatezza è evidente. Tuttavia, e lo è stato ampiamente riconosciuto anche se in una sede “impropria” quale le trasmissioni televisive, l’esercizio di tali funzioni sarebbe stato consapevolmente distorto, anche su sollecitazione di alcuni colleghi o di iniziative concordate, in altri casi. La “giustificazione” è stata sostanzialmente basata sulla “preesistenza del sistema correntizio e favoritizio” nella quale il magistrato si sarebbe trovato immerso. Forse intenderebbe far pensare ad un “suo malgrado” che urta, tuttavia, con una innegabile, più che trentennale realtà, ossia che questa “situazione” non solo era nota a tutti i magistrati, non solo se ne parlava apertamente nei corridoi e nelle “stanze”, ma era proprio l’obbiettivo della rincorsa di alcuni agli ambiti posti di potere, perché di questo si trattava. Anche Egli era stato eletto in questo modo.
La ricostruzione delle vicende sposta anche l’attenzione su quanti, responsabilmente e coscientemente, si sarebbero serviti del “sistema” per vantaggi di carriera, per ambiti trasferimenti, per promozioni e quant’altro, fino alla ricerca della impunità in sede disciplinare. Quel che rende il “sistema” estremamente deprecabile è proprio la “parzialità” delle decisioni e dei provvedimenti, nel senso evidente che, di solito, a personaggio “favorito” generalmente corrisponde uno “sfavorito”, magari oggettivamente più meritevole. E questo è gravissimo, proprio nel settore giustizia.
Tale ricostruzione, con le opportune cautele ed attraverso i pochi dati disponibili (e sempre che siano confermati nelle sedi opportune) richiama, teoricamente, l’art. 319 del Codice Penale, e persino l’art. 319 ter C.P. Non v’è dubbio, infatti, che le “alterazioni funzionali” (si fa per dire) volute e consapevoli del “sistema” tendessero a produrre, se non denaro (sarebbe stata esclusa questa ipotesi nel caso di specie) quanto meno “altra utilità”, non meno sufficiente per la sussistenza della “corruzione per atto contrario”. E che tali fossero gli “atti” non richiede la minima spiegazione. Merita qualche osservazione il concetto di “altra utilità”, da sempre interpretato con varie impostazioni dalla giurisprudenza, anche e soprattutto di legittimità. La “complessità fattuale” della vicenda di che trattasi, richiede un esame di tale concetto, ove si pensi che, per anni, fu ampiamente (e con conclusioni diverse) discusso il caso dei “favori di una donna” quale possibile “utilità” idonea a distorcere l’operato del pubblico ufficiale. Si ricordi la nota sentenza 1894/65 della terza Sezione della Corte di Cassazione che escludeva (in contrario avviso) la qualificazione ai favori concessi gratuitamente “da una donna non adusa a concedersi per denaro”. Il dibattito, molto articolato, fino alle Sezioni Unite, è ben noto, ma evidenzia la opportunità di qualche accenno. Va detto, infatti, che le “prestazioni” attribuite al magistrato sarebbero state, sotto questi profili, molto “variegate”, quanto meno (anche biglietti per lo stadio), in “cambio” di “opportuni aggiustamenti” nel settore in cui lo stesso operava in posizione di quasi incontrollato potere. E’ evidente che la “eventuale” coincidenza del risultato conseguito “pattiziamente” con quello…che sarebbe stato ugualmente, non esclude affatto la sussistenza del delitto di che trattasi.
Ma anche escludendo tale ipotesi, si dovrebbe ragionare sul meno grave reato di cui all’art. 323 del Codice Penale. Oggetto della tutela penale specifica sono l’imparzialità e il buon andamento della pubblica amministrazione; pertanto il giudice si muove alla ricerca di distorsioni nell’esercizio concreto della funzione – l’abuso appunto – utilizzando come parametro la propria interpretazione della funzione stessa, nonché delle regole e dei principi che presiedono al suo svolgimento (Tonoletti).
Ma non si può trascurare l’aspetto ben più grave, ossia la “sistematicità”, peraltro “notoria” e molto estesa nel tempo. Tale aspetto comporta necessariamente la “consapevole partecipazione di altri soggetti”, quanto meno a causa della “indispensabilità” per il funzionamento della macchina. La individuazione di essi ed il loro coinvolgimento necessario, non consentono di immaginare (come da più parti si pensa) il protagonista quale agnello sacrificale e pietra tombale di uno scandalo di indubbia gravità. Tutti i coinvolti, viceversa, devono essere individuati e giudicati.
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Autore: Giuseppe Marciante
Titolo: “RIFLESSIONI SULLA GIUSTIZIA “
Data di pubblicazione: 1 luglio 2020



