RESILIENZA DELL’ EUROPA: “SURE” di RICCARDO LALA // PARTE 1
Proseguendo nell’attuazione dei propri fini statutari, http://www.rinascimentoeuropeo.org/statuto/Statuto.pdf, RINASCIMENTO EUROPEO ha creato, sul proprio sito web www.rinascimentoeuropeo.org, uno spazio interamente destinato a raccogliere scritti e riflessioni su temi d’interesse generale che rientrino nelle finalità dell’Associazione.
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Finalmente, dopo almeno un mese d’indifferenza, l’Europa sembra risvegliarsi, cercando di fornire risposte comuni ai terribili colpi infertici dalla pandemia.
Secondo il commissario Gentiloni, il proposto fondo SURE (Support to mitigate unemployment risks in emergency) raccoglierà risorse sui mercati emettendo bond con tripla A, quindi a tassi bassissimi, che darà poi, ai Paesi che ne hanno bisogno, prestiti con scadenze a lungo termine.
Questa “cassa integrazione europea” proposta dalla Presidentessa von der Leyen è certamente un’ottima trovata per mettere d’accordo tutti. E’ sostanzialmente un prodotto della politica interna tedesca, molto sensibile, come ormai tutti e dovunque, ai nominalismi. Invece di chiamarla “coronabonds”, o ”MES”, termini (“Schlagwoerter”) che facevano infiammare troppo gli animi, la chiameremo “cassa integrazione”. Del resto, già quando era ministra tedesca per gli affari sociali, la von der Leyen aveva cambiato il nome al sussidio di disoccupazione, la cui denominazione gergale, “Harz IV”, ricordava troppo il cancelliere socialista Schroeder.
Qui la differenza è che i “coronabonds” proposti da Italia e Francia miravano a finanziare il debito degli Stati più deboli, lasciando a questi ultimi la libertà di disporne a piacimento, mentre il nuovo strumento aiuterebbe equanimemente tutti gli Stati, e sarebbe destinato a una finalità chiara ed evidente. Basti pensare che in questi mesi il solo settore dell’auto ha già perso, in Europa, 1 milione di posti di lavoro.
1. La storia dell’ “Europaeisches Arbeitslosengeld” (“Europaeische Kurzarbeit”)
L’idea di un “sussidio di disoccupazione europeo” era nato qualche anno fa all’ interno dell’estrema sinistra tedesca (die Linke), era poi stato formalizzato nel 2018 dal ministro socialista Scholz, era stato lodato nel libro di Ulrike Guérot, pubblicato l’anno scorso da Alpina, “la nuova guerra civile”, e, infine, era finito nel programma di governo della Commissione von der Leyen, che aveva ottenuto il voto favorevole del Parlamento Europeo. Insomma, dovrebbe essere una soluzione di attuazione relativamente facile, visto che i governi l’avevano già approvata e il Parlamento votata.
Il progetto prevederebbe addirittura l’obbligo, per gli Stati Membri che ancora non l’avessero, d’introdurre, nel proprio ordinamento, quest’ istituto. Una rivincita culturale dell’Italia. Dopo tante decennali critiche alla Cassa Integrazione, la Commissione è giunta ad affermare che questo istituto si era rivelato provvidenziale, nel 2008, proprio in quei Paesi, come l’Italia, che ce l’avevano. D’altro canto, che cosa fanno i decreti di Conte, se non introdurre una sorta di “cassa integrazione per tutti”, e che cosa chiede l’opposizione? Semplicemente di accelerarne l’accredito bancario.
La Guérot aveva paragonato, nel suo libro, molto pertinentemente, la “cassa integrazione europea” alla Reichsversicherungsordnung (Decreto imperiale sulle assicurazioni) dell’ Impero Germanico, del 1911, che ha costituito, fino al 1992, la base del diritto sociale tedesco, -e, per estensione, dell’ “economia sociale di mercato”- , di cui mi ero occupato nel 1971 presso l’ ANMA di Torino, come di diritto vigente a tutti gli effetti, salve le norme divenute nel frattempo incostituzionali (“vorkonstitutionelles Recht”).
Si tratterebbe di un’integrazione europea, su fondi propri della Commissione (in parte già esistenti), con contributi e garanzie degli Stati membri, a supporto dei Paesi in particolare difficoltà: visto l’andamento dell’epidemia, la Presidentessa ha citato espressamente l’Italia e la Spagna. Tuttavia, fra i primi a fruirne ci sarà proprio la Germania, dato che, tra una cosa e l’altra, il mercato dell’auto e l’export in Cina si sono inchiodati, e il ministro Altmaier sta addirittura pensando di nazionalizzare qualche grosso gruppo. Secondo il ministro del lavoro, in seguito alla quarantena, 470.000 imprese hanno fatto domanda della cassa integrazione, contro le 1.300 domande mensili degli anni passati.
Il provvedimento sarà limitato nel tempo, ma sarà prorogabile. La maggior parte dei politici europei pensa (giustamente) che un sistema di aiuti europei per il rilancio dell’economia agli Stati membri in difficoltà debba durare per l’intero esercizio pluriennale 2021-2017. Tutti citano ovviamente il Piano Marshall, ma si tratta di una citazione stucchevole, perché, come aveva spiegato bene Milward, il Piano Marshall aveva un diverso obiettivo: quello d’ integrare l’Europa occidentale nell’economia di un’altra potenza, l’ America, e i Governi europei lo avevano “dirottato” (almeno parzialmente) verso loro diverse finalità (risanare i rispettivi bilanci), con una resistenza occulta, ma non per questo meno efficace. E, come ha notato brillantemente Gentiloni, era stato adottato ben 2 anni dopo la guerra, non avendo quindi nulla a che fare con il rimbalzo economico postbellico.
Qui si tratta invece, -finalmente- di un aiuto reciproco fra Europei per reintegrare nel mercato del lavoro i disoccupati o i sottooccupati (che tra l’altro non sono certo solo colpa di un mese di quarantena). Quindi, contrariamente ai “corona bonds”, non è un finanziamento dei deficit di bilancio, bensì un fondo di scopo, per altro ben mirato, che non lascia discrezionalità agli Stati membri. E’stata sostanzialmente accolta la tesi del Governo italiano: il MES sarebbe stato inapplicabile, perché qui non si tratta di prestare dei soldi a un Paese in bancarotta, bensì di concedersi reciprocamente un supporto dinanzi a una catastrofe ad oggi ancora non misurabile. Non ci sono paesi ricchi e paesi poveri, anche perché, in cima alla lista dei Paesi in difficoltà c’è, nonostante la scarsa mortalità per Coronavirus, la Germania.
La mia preoccupazione è che, con l’ansia di mettere toppe alle nostre economie, passino come sempre in cavalleria gli ambiziosi progetti di Macron e di Altmaier per un’autonomia tecnologica europea. Tra l’altro, proprio la presidente della Commissione era stata eletta il 16 luglio 2019 con un programma comprendente la Conferenza sul Futuro dell’Europa, che avrebbe dovuto permettere all’ Europa, tra l’altro, di recuperare tutto il terreno perduto negli scorsi decenni rispetto al resto del mondo. La conferenza avrebbe dovuto partire il 9 maggio, ma, ovviamente, non partirà. Così, un altro anno è passato inutilmente, e il futuro non viene progettato, né si permette ai cittadini di dire la loro. Infine, la Commissione aveva adottato, il 19 Febbraio, un sostanzioso anche se, a mio avviso, insufficiente pacchetto di progetti per un’Europa digitale.
A mio avviso, i progetti discussi l’anno scorso, parzialmente sviluppati nel pacchetto del 19 e ampiamente commentati da think tanks e personaggi politici, possono, ed anzi debbono, essere comunque realizzati nel corso del prossimo bilancio settennale. Anche perché le caratteristiche tipiche dell’ attuale epidemia: ruolo centrale delle statistiche, distanziazione sociale, telelavoro, diagnostica elettronica, controllo sanitario sul contante, pagamenti elettronici, hanno fatto fare, all’economia cinese, tali nuovi balzi tecnologici in avanti rispetto a tutto il resto del mondo, che l’ Europa non può semplicemente permettersi di non fare praticamente nulla in quel campo. Il mondo non sta fermo ad aspettare i nostri comodi.
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Autore: Riccardo Lala
Titolo: Resilienza dell’Europa: “SURE”
Data di pubblicazione: 16 aprile 2020
Articolo pubblicato contemporaneamente su “alpina diàlexis” (http://alpinasrl.com)