Più dighe contro la siccità
Riportiamo l’articolo, a firma di Stefano Rizzi, pubblicato su “La Nuova Bussola Quotidiana” il 23 luglio 2017
“Servono più invasi, bisogna pensare a recuperare dighe esistenti e a farne di nuove. Sono almeno quindici anni che lo dico”. La soluzione (perlomeno una tra le possibili) che Mauro D’Ascenzi prospetta, non da oggi, per risolvere il problema della carenza di acqua in queste settimane ormai drammatica per molte aree del Paese resta una predica nel deserto. Di fronte a quello in cui si stanno trasformando gli alvei dei fiumi e, a cascata, si fa per dire, le sempre più ridotte riserve idriche fino ai rubinetti, il vicepresidente di Utilitalia – l’associazione nata dalla fusione di Federutility e Federambiente, che raggruppa 524 società per un totale di oltre 90mila addetti e una produzione pari a 40 miliardi di euro con circa 604 milioni di utili annui – dice quel che nella sua semplicità rischia di apparire addirittura banale.
“Bisogna aumentare la capacità delle riserve idriche per non finire in crisi quando e precipitazioni scarseggiano”. E come immagazzinare acqua se non facendo dei laghi artificiali, costruendo dighe? Già, ma perché non lo si è fatto, visto che la grande sete di una sempre più vasta parte del Paese ne soffre, ormai, periodicamente da anni? “Solo pronunciare la parola diga – spiega l’uomo al vertice dell’associazione che riunisce i maggiori player nazionali del settore – si provoca scandalo e reazioni avverse. In un’Italia dove perfino le ecologiche pale eoliche vengono avversate da una parte di ecologisti, affermare di voler costruire degli invasi artificiali significa far partire un coro di no. Ti ricordano della diga che ha provocato morti. Vero, ma sarebbe come sostenere che non si deve più volare visto che sono precipitati degli aerei”.
Gli stessi cambiamenti climatici causa, o meglio concausa della grande siccità, per l’uomo che sull’acqua ha fatto camminare la sua carriera di politico del vecchio Pcidiventato manager di un gruppo di peso in Piemonte (la holding Acos) non devono essere visti, pur nella loro rapidità rispetto a passato, sempre come negativi e inaffrontabili: “Quelle che noi chiamiamo piogge torrenziali anziché vederle solo come un nemico dobbiamo incominciare a pensare che possono essere un nostro alleato: basta contenerla quell’acqua. Così non fa danni e diventa la riserva per quando servirà”. Stesso discorso per lo scioglimento anticipato di neve e ghiaccio: “Quelle riserve idriche se raccolte in invasi serviranno ad affrontare periodi di siccità” lo dice sapendo di passare per quello che ha scoperto l’acqua calda, ma anche avendo scoperto come in ormai tanti anni quella soluzione semplice al limite del banale non ha mai trovato seguito concreto. E non è il solo, D’Ascenzi, a indicare la via dell’incremento degli invasi.
Di fronte a un calo del 30% della produzione di grano a causa dell’arsura e con il prospettarsi di conseguenze altrettanto pesanti per il foraggio, così come addirittura per l’abbeveramento del bestiame, la presidente di Coldiretti Piemonte, Delia Revelli indica come strada obbligata per affrontare in maniera non emergenziale e sporadica queste situazioni “un piano da condividere con la Regione per il potenziamento dei bacini di raccolta”. All’ente presieduto da Sergio Chiamparino la Coldiretti, che mette il Cuneese con l’Astigiano e l’Alessandrino in cima alla classifica di criticità indotte della grande sete, ha chiesto un’assegnazione aggiuntiva delle quote di carburante agricolo per alimentare le pompe. Che funzioneranno fino a che pozzi e canali, pur già a livelli bassi, avranno acqua. Soluzione immediata. Per quella strutturale non basta più gasolio per le pompe, serve più acqua. Se nei pozzi per irrigare i campi già scarseggia, rischia di mancare del tutto da un giorno pure da molti rubinetti. Perché oltre alla scarsità di piogge c’è un abbondanza di buchi nei tubi: problema ormai cronico e diffuso quello degli acquedotti colabrodo.
“Oggi c’è un meccanismo tariffario che permette il recupero degli investimenti, ma questo recupero avviene in tempi ancora troppo lunghi e le risorse per fare investimenti servono subito, o comunque in tempi brevi” osserva D’Ascenzi. Lui continua a ripetere che “insieme a un intervento sulle reti è indispensabile prevedere un nuovo sistema di regimazione delle acque e di creazione di riserve idriche. Per farlo c’è solo un sistema: creare nuovi invasi”. Lo va dicendo “da almeno quindici anni”. Inascoltato. Per predicare nel deserto, adesso, non gli serve andare lontano: basta l’alveo di un fiume.