Centrodestra vince a sua insaputa E Chiamparino ha perso il “quid”
Riportiamo l’articolo pubblicato su “Lo Spiffero” il 27 giugno 2017
La vittoria alle comunali nei ballottaggi di ieri l’altro giustifica l’entusiasmo di Gilberto Pichetto, ma non evita al coordinatore regionale di Forza Italia di mostrare qualche sintomo di daltonismo politico quando esulta affermando che “il Piemonte è più azzurro”. Lo sarà pure, ma se c’è un colore che tinge in modo predominante la nuova carta geografica della regione questo è il verde della Lega che, dopo aver riconquistato lo scorso anno Novara, domenica ha vinto la battaglia più difficile di questa tornata elettorale: quella per strappare al Pd anche Alessandria. E, con questo risultato, mettere una non ancor dichiarata ma assai probabile ipoteca sulla scelta del candidato alla successione di Sergio Chiamparino nel 2019.
La sbornia del successo e la celebrazione dell’unità del centrodestra non nascondono la realpolitik dei posti chiave e quel Cencelli cui ci si riferirà per operare scelte e dirimere questioni che, probabilmente, si affacceranno nella coalizione oggi con i calici levati e domani, chissà?, con dietro la schiena lunghi coltelli. Il dibattito – per usare un sempre utile eufemismo – nel centrodestra già ha mostrato le prime avvisaglie con Silvio Berlusconi che invoca “una coalizione liberale e moderata per il governo” e Giorgia Meloni che subito la gela mandandogli a dire che “la moderazione in politica non esiste più”. Matteo Salvini chiedendo a Paolo Gentiloni di rassegnare le dimissioni marca il territorio nella corsa con l’ex Cavaliere a intestarsi la vittoria alle urne.
Dietro l’esultanza che fa vedere a Pichetto il Piemonte più azzurro e al Carroccio una rimonta inimmaginabile ai tempi delle mutande verdi, non è difficile prevedere un percorso prima verso le politiche, poi verso le regionali in cui le leadership dei due principali partiti, con il sovrappiù dei Fratelli d’Italia naturalmente più affini alla Lega, alla prova della tenuta dell’unità, base del successo elettorale delle amministrative. Un successo (con)diviso, ma che se per il Carroccio oltre a rappresentare un indubbio successo per il segretario piemontese Riccardo Molinari – il quale con la vittoria in casa, ovvero nelle sua Alessandria, di Gianfranco Cuttica di Revigliasco ha rafforzato ulteriormente la sua posizione e la sua marcia in discesa verso un seggio in Parlamento – può anche essere rivendicato dalla Lega come frutto di una serie di azioni e iniziative sul territorio: a partire dal convegno sul lavoro, per estendersi ad altri appuntamenti che hanno riempito l’agenda verde e fatto calare in Piemonte più e più volte Salvini. Diverso il caso di Forza Italia. Eccetto i tour di un paio di vip azzurri – da Giovanni Toti ad Antonio Tajani – in campagna elettorale, i berluscones piemontesi nei mesi e negli anni passati non hanno certo brillato per un iperattivismo e men che meno per aver messo in campo proposte travolgenti. Esagerando, ma non troppo, verrebbe da riesumare una vecchia storia di un vecchio notabile forzista per dire che Forza Italia ha vinto alle amministrative (quasi) a suo insaputa.
Quel che conta, però, è che il Piemonte verde è anche più azzurro. Certamente meno rosso. L’ultima speranza per il Pd era riposta su Alessandria, dove il centrodestra è riuscito in un’impresa forse insperata: confidare in una sorta di amnesia collettiva, in un reset della memoria sui pasticci nei conti e nel successivo default della finanze comunali a carico della giunta di Piercarlo Fabbio. Qualche volto sorridente immortalato nelle foto dei festeggiamenti per la vittoria ricorda vicende finite nelle carte della giustizia, ma tant’è il cambiamento, anche qui, è parso piuttosto sinonimo di voto contro il sindaco uscente, Rita Rossa, soprattutto contro il Pd, nel quale – come avverte Chiamparino – “è necessaria una profonda riflessione”. Per il presidente della Regione “le elezioni comunali indubbiamente hanno sempre, prima di tutto, un carattere locale, tuttavia i risultati, pur confermando il radicamento del centrosinistra nell’area torinese e anche, insieme a diverse forme di civismo, nel cuneese, segnano un indubbio rafforzamento del centrodestra che vince nei due principali capoluoghi di provincia, dopo aver vinto lo scorso anno a Novara”.
Un quadro di fronte al quale il governatore osserva come “se teniamo conto che tutto ciò arriva dopo la sconfitta torinese dello scorso anno, ci sono motivi più che sufficienti per una approfondita riflessione che consenta di prepararci adeguatamente e con sufficiente forza alle prossime scadenze elettorali nazionali e locali”. E chissà che in queste riflessioni non ci infili pure un pensiero sulla fine che hanno fatto le magnifiche sorti e progressive delineate in campagna elettorale di un Piemonte proiettato tra la Borgogna e Boston.
Già, una riflessione: quella invocata – soprattutto dalla base del Pd – dopo la débâcle torinese, ma di fatto mai operata. Oggi, un anno dopo, la si evoca nuovamente. Lo fa il presidente della Regione il cui appealche lo aveva portato a trionfare nella (ri)conquista di Piazza Castello dopo la prematura fine della presidenza Cota, non è riuscito ad arginare il crollo del Pd a queste ultime consultazioni. Chiamparino si è speso in qualche incontro tra la gente a sostegno dei candidati, il minimo sindacale, ma è come se pure a lui fosse mancato il quid decisivo. Certo, non avrebbe potuto fare miracoli contro l’onda lunga avversa ai dem, ma anche questo è un aspetto meritevole di qualche riflessione nell’ambito di quella globale giustamente sollecitata dal presidente.
“La situazione è grave” conferma il segretario regionale Davide Gariglio, finendo per fare sia il medico alle prese con una patologia di cui non conosce la terapia, sia il paziente che teme per l’evolversi della sua salute già parecchio compromessa. Ammette Gariglio quello strabismo che ha colpito il Pd e a causa del quale si è visto nei Cinquestellel’avversario da affrontare e non “il centrodestra che di uno squagliamento dei grillini anche a causa dell’effetto negativo di Chiara Appendino a Torino, oltre che di Virginia Raggi a Roma ha approfittato”.
Non più strabico ma con gli occhi pesti come quelli di un pugile suonato, il Pd deve “fermarsi a ragionare su come si ricostruisce e si offre al Paese una classe dirigente, che venga riconosciuta in grado di poter sostituire quella che non c’è più” osserva il senatore Stefano Esposito. Nessun infingimento o attenuazione della sconfitta subita e che, come tale, con il suo nome va chiamata: nei circoli i “non abbiamo perso” o la riduzione a “elezioni locali” arrivati dal Nazareno sono graditi come la sabbia nel costume da bagno. “Il tema principale è riflettere, realtà per realtà, sulle cause” è l’invito di Esposito, che un dato certo lo individua nella “eccessiva litigiosità dei gruppi dirigenti locali, dove naturalmente c’è un problema di responsabilità del gruppo dirigente nazionale che deve intervenire con più forza su queste questioni”. E poi “è necessario riprendere in mano l’organizzazione del partito che ha una discussione eccessivamente dannosa al suo interno ed è stato oggetto, in questo frangente, da parte di alcuni che erano alleati con noi, di una campagna di attacco costante”. Sembra di essere tornati indietro, alla sconfitta di Piero Fassino. Invece è passato un anno, vissuto pericolosamente. Dal Pd.



