Ressa sul Carroccio dei vincitori
Riportiamo l’articolo, a firma di Stefano Rizzi, pubblicato su “Lo Spiffero” il 16 dicembre 2016
I due Matteo la pensano allo stesso modo. Solo sulla necessità di accelerare verso le elezioni. Ma tanto basta per far dire a Salvini “Renzi vuole andare a votare il prima possibile, in questo coincidono le nostre esigenze” e, non di meno, per vedere la Legamettere in movimento il Carroccio verso le urne. Le piazze e le liste: questi i binari su cui procede la macchina con al volante un “felpetta” che non tralascia di marcare la distanza da quel M5s cui sempre più spesso dal Pd viene tatticamente accomunato – talvolta con più di un fondamento – in un ipotetico patto agevolato dall’incipiente sistema proporzionale e visto come il fumo negli occhi da Silvio Berlusconi. “Sono simpatici, parlano anche di referendum sull’euro, che non si può fare. Questo è il problema dei Cinque stelle – osserva Salvini – un conto è dire una serie di no, un conto è passare dai no ai sì, alla fase di governo. La Lega da più di vent’anni governa centinaia di Comuni e poi regioni come Lombardia e Veneto. I Cinque stelle alla prova del governo perdono pezzo dopo pezzo la credibilità conquistata. E poi su immigrazione e sicurezza sono più a sinistra del Pd. Fosse per loro l’Italia sarebbe un punto di sbarco e approdo per altre centinaia di migliaia di clandestini”.
Sgombrato il campo da tentazioni di ammiccamento nei confronti dei grillini, restano le piazze e le liste. Le prime per scaldare l’elettorato, dare la carica ai militanti – storico motore su cui Umberto Bossi ha fondato e mantenuto per anni la sua leadership e i successi del partito, allora puntando solo al Nord -, le seconde per far camminare sulle gambe dei candidati idee, programmi e slogan e costruire quella squadra pronta a giocare con qualunque regola possa uscire dalla legge elettorale.
Il tour lanciato da Salvini e che partirà in tutto il Paese da domani con la raccolta di firme per chiedere il voto subito, ma più concretamente per intercettare quanti più possibili potenziali elettori e incominciare a raccoglierne umori e aspettative, ha già avuto abbondanti prodromi in questi giorni, a partire proprio dal Nord e dallo stesso Piemonte. Il segretario Riccardo Molinariieri sera era ad Acqui Terme, il giorno prima a Strambino. Leitmotiv, uno del cavalli di battaglia del Carroccio: la flat tax. Oggi altri appuntamenti e nei giorni successivi pure: lo stato maggiore della Lega in Piemonte, così come le seconde e terze file sono mobilitate in permanenza. Perché si spera di andare a votare presto: quando ancora nessuno lo sa e giocare d’anticipo è un imperativo, prepararsi a una eventuale maratona un obbligo.
Le piazze e le liste. Queste ultime naturalmente non ci sono, ma ciò non significa che non ci siano nomi che in alcuni casi di sicuro, in altri probabilmente, andranno a comporle. In questa legislatura il Carroccio piemontese conta due deputati, Stefano Allasia e Roberto Simonetti e nessun senatore dopo l’abbandono di Michelino Davico. A questi, nel totonomi che trova solide base in insider che già stanno lavorando agli elenchi, si aggiungerà senza alcun dubbio quello dello stesso Molinari per cui un seggio in Parlamento è dato per sicuro da tempo e la sua lealtà a Salvini, unita a un indiscutibile attivismo sul territorio nonché alla vittoria ottenuta al congresso, non possono che confermarlo.
Tra i più che probabili figurano Giorgio Bergesio, segretario del partito a Cuneo (provincia in cui si affaccia pure la figura di Roberto Mellano come papabile), il suo omologo astigiano Andrea Giaccone e, spostandosi a Nord, il sindaco di Arona Alberto Gusmeroli. Pronto ai blocchi di partenza pure il verbanese Enrico Montani, attuale commissario a Torino, che non disdegnerebbe affatto un ritorno a Montecitorio o Palazzo Madama, visto che in passato si è seduto sui banchi di entrambe le Camere. Una rentrée sarebbe anche quella cui si dice ambisca la torinese Elena Maccanti, deputata per un paio d’anni nella XVI legislatura, scranno lasciato al compagno di partito Davide Cavallotto per sedersi nella giunta di Roberto Cota. E lo stesso Cavallotto, salviano ante litteram, farebbe carte false pur di tornare a percorrere il Transatlantico, anche se alla fine in quota “giovani” potrebbe soffiargli la candidatura Chiara Bosticco, già costretta al passo indietro alle scorse Regionali, “sacrificata” per blindare l’elezione di Alessandro Benvenuto a Palazzo Lascaris.
Dentro l’ex cheerleader, fuori il suo ex presidente: il borsino di Roberto Cota è in perenne calo e (anche) dopo i suoi tentennamenti al congresso e il suo apparente mettersi un po’ di traverso in occasione delle elezioni comunali a Novara, non lo hanno certo riportato nei pensieri del vertice federale. Che, poi, tra lui e Molinari – aldilà delle esternazioni di maniera – non ci sia feeling lo sa anche l’ultimo dei militanti.
Niente candidatura in Parlamento pure per Gianna Gancia. Per lei non è certo un problema di equilibri interni o di bacino di voti. La questione è di “stile” come ha detto a chi gli chiedeva se l’avrebbero vista nelle prossime liste per il Parlamento. La consigliera regionale, moglie di Roberto Calderoli, a fare la coppia parlamentare della Lega non ci sta. E se come pare certo in via Bellerio non vogliono rinunciare a una figura storica (anello di congiunzione con la parte bossiana) e di esperienza anche in Parlamento – Calderoli è ritenuto anche dagli avversari un validissimo e preparato vicepresidente del Senato – per la Gancia si tratterà di aspettare un altro giro. In fondo non sarebbe la prima volta che rinuncia: era già accaduto quando a chiederle di candidarsi era stato lo stesso Bossi e anni dopo Roberto Maroni.



