Regione, opzione civica per il dopo Chiamparino
Riportiamo l’articolo pubblicato su “Lo Spiffero” del 12 settembre 2017
Mentre il Pd annaspa nella “bagna” in cui Sergio Chiamparino ha deciso di lasciare lo stato maggiore dem lasciando in sospeso ogni decisione circa il suo futuro – una nuova corsa verso la Regione nel 2019 o scarpinate sulle amate montagne da pensionato di lusso – altrove, tra una portata e l’altra, si abbozzano ricette per evitare tra un paio d’anni di dover prendere quel che passa il convento del Nazareno, succursale piemontese. È un mondo che curiosamente mostra una certa animazione, dovuta a una non minore preoccupazione sul futuro incerto e nebuloso del governo regionale nella prospettiva del centrosinistra, quello che raccoglie uomini e donne dell’impresa, delle professione, insomma quegli stakeholder cui la politica politicante guarda sempre nei momenti di difficoltà, ma che osserva spesso con sospetto ogni qualvolta uno di essi prova a passare da comprimari di rango a protagonisti.
Tuttavia se le scelte – in questo caso la candidatura alla presidenza con tutto ciò che ne consegue – si fanno attendere e, agli occhi di alcuni, potrebbero riservare sorprese non all’altezza delle attese ecco che negli ultimi tempi attovagliarsi e discutere di futuro della regione (con e senza la maiuscola) per il mondo dell’economia e dell’impresa è stato spesso naturale come mai prima d’ora. Anche perché mai prima d’ora quel milieu si era trovato a fare rapidamente i conti con una delusione bipartisan: verso un governo regionale giudicato latitante e irresoluto nonché privo di visione di ampio respiro, e verso l’onda d’urto del grillismo in salsa confindustriale di Chiara Appendino, cui pure in ampi settori del mondo datoriale si era guardato con benevolenza.
Che fare allora? In uno di questi consessi (l’ultimo si è riunito domenica sera nel ristorante di una nota struttura socio-educativa dl capoluogo) pare sia maturata l’intenzione di “scendere in campo”, provando ad avanzare una proposta alla politica ufficiale. Il modello, ricalcato su quello che portò un quarto di secolo fa, l’accademico Valentino Castellani a diventare sindaco, potrebbe prevedere la nascita di una “Alleanza per il Piemonte” (anche se sul nome vi sono riserve) nel cui perimetro accogliere le “migliori espressioni” della cosiddetta “società civile, delle professioni e del mondo produttivo”.
Oggi, come allora, la ricerca e la probabile conseguente scelta dell’uomo o della donna cui affidare speranze e istanze (sempre più disattese, agli occhi degli imprenditori, dall’attuale maggioranza regionale e non certo risolte da quello precedente di centrodestra), cadrebbe sugli stessi ambienti: quello accademico e delle professioni. A confermarlo ci sono i rumorssui nomi che, in più di un incontro informale ma non per questo meno improntato alla concretezza, sono circolati e circolano con insistenza. C’è – e non è una sorpresa – quello dell’ex ministro Francesco Profumo, attuale presidente della Compagnia di San Paolo il quale, tuttavia, si sarebbe già chiamato fuori. Alcuni lo indicano, semmai, come più attratto da un’altra ipotesi di discesa in campo: quella per la successione alla Appendino a Palazzo di Città, dove potrebbe coltivare legittime e concrete aspirazioni, anche in virtù d alcune operazioni condotte dalla plancia della potentissima fondazione, tra cui la agognata soluzione del problema dell’ex Moi reso possibile certo più dalle risorse finanziarie della Compagnia che dai buoni propositi della sindaca.
Altro papabile è l’ex numero uno dei giovai industriali torinesi Davide Canavesio, un tempo vicino al Pd, ma poi spesosi per la Appendino, non prima di aver bussato alla porta di Enrico Salza per chiedere all’ex banchiere un’intercessione giacché egli stesso avrebbe coltivato il sogno di provarci per Palazzo di Città. Il suo nome era circolato tra gli aspiranti assessori della giunta Chiamparino, ma venne impallinato dai giochetti interni alle associazioni datoriali. Canavesio di sé nel sito della sua lobby tascabile NexTo scrive: “Imprenditore con la passione per le sfide del territorio. Ogni 10 anni prende un anno di sabbatico così fa un po’ di casino per cambiare lo status quo”. Bisognerà vedere se i due lustri scadono in concomitanza con le regionali. Alle quali, nei progetti abbozzati talvolta con qualche azzardo, potrebbe spuntare – semmai altre voci venissero confermate e la cosa prendesse aspetti più concreti – un altro nome di peso del sistema confindustriale: quello di Licia Mattioli, attuale vice di Vincenzo Boccia a viale Astronomia, con deleghe all’internazionalizzazione e, prima ancora, al vertice dell’Unione Industriale di Torino.
Ma è, probabilmente, il giurista e uomo dagli innumerevoli incarichi (tutti di peso e prestigio) Stefano Ambrosini ad avere oggi più chance nel caso l’idea di un’Alleanza per il Piemonte si tramutasse in progetto. Da poco voluto da Chiamparino al vertice di FinPiemonte, Ambrosini passa da una sorta di Mister Wolf, risolutore di questioni complesse quanto importanti, fino ai vertici di istituti di credito (è stato presidente, per un breve periodo, pure di Veneto Banca). Professore associato a 31 anni, ordinario a 36, una bisnonna che era la pronipote di Giovanni Giolitti, il padre magistrato con Violante e Caselli, tra i fondatori di Magistratura Democratica e presidente della sesta sezione penale della Corte di Cassazione, che nel 2006 condannò in via definitiva di Cesare Previti a sei anni di reclusione per corruzione in atti giudiziari, Ambrosini è uomo di relazioni, anche internazionali. Lo standing non manca al giurista, braccio destro di Chiamparino quand’era ai vertici di Corso Vittorio Emanuele e autore della riforma dello statuto della fondazione, il cui nome ricorre spesso nei conciliaboli della società civile che guarda a una sorta di nuova Alleanza per il Piemonte. Per la cui realizzazione non si rinuncerebbe a chiedere aiuto e collaborazione senza steccati, magari pensando per un supporto “tecnico” allo stesso fondatore dei Moderati Mimmo Portas. Ambrosini, inoltre, potrebbe allarmare ulteriormente chi nel Pd attende con ansia la decisione di Chiamparino, il quale da appassionato citazionista di titoli di film pare abbia attinto al repertorio western per mandare a dire che, per ora “non avranno il mio scalpo”. E se il presidente guardasse con interesse (maggiore rispetto a candidati interni al Pd) proprio al suo Mister Wolf? I mesi a venire diranno se quelle idee maturate tra una riunione e una cena si tramuteranno in un progetto indigesto, per il Pd, più che una bagna cauda colma d’aglio.



