Regione, nuovo consiglio con la vecchia legge
Riportiamo l’articolo, a firma di Stefano Rizzi, pubblicato su “La Nuova Bussola Quotidiana” il 21 marzo 2018
Cambiano un bel po’ di consiglieri, cambiano due capigruppo e pure l’ufficio di presidenza, ma a non cambiare sarà la norma per eleggere il prossimo consiglio regionale. Il Piemontellum, com’era stata battezzata la legge elettorale ancor prima di nascere e addirittura di essere concepita, resterà un nome che se non ci fosse di mezzo il latino potrebbe indicare un lungo valzer, del Gattopardo. Per mesi e anni si è detto che si sarebbe dovuto cambiare molto del sistema per comporre l’assemblea di Palazzo Lascaris, ma alla fine della legislatura tanto sembra essere stato fatto o non fatto perché nulla cambi.
Il nodo sta tutto (o quasi) nella maggioranza. E se qualcuno potrebbe obiettare che questa interpretazione che arriva dal leader dei Cinquestelle Davide Bono – “Non penso che questa legge si vedrà. Lo stesso Pd non è compatto sul modello di norma” – sia dettato dallo scontro politico, difficile far reggere questa spiegazione di fronte a quel che dice proprio un autorevole esponente democrat: “Ancor prima che dalle opposizioni, un ostruzionismo è arrivato da parti della maggioranza” dice il presidente del consiglio regionale e neosenatore Mauro Laus. “Avevo fatto tutta l’istruttoria, ma alla fine quando ti accorgi che non ci sono i numeri, che non si è riusciti a trovare la sintesi sui nuovi collegi così come sull’alternanza di genere, arrivi a un certo punto e per non prendere in giro i cittadini devi prendere atto che non ci sono le condizioni” spiega Laus che più volte, rammenta, aveva “spinto il più possibile per dare alla Regione un nuovo sistema elettorale, meno penalizzante per alcuni territori, più consono al rispetto della parità di genere”.
È proprio sulla doppia preferenza obbligatoria (se si indica un uomo va indicata anche una donna e viceversa) che tra i banchi del Pd si è insinuata una crepa. C’è chi si ricorda ancora la faccia terrea di un consigliere democrat che davanti a quell’ipotesi, sussurrò a un collega dell’altro fronte: “Se passa, io nella mia provincia devo vedermela con la… Sono fregato”. Già, perché mica tutti avrebbero avuto la coppia pronta. Come i detrattori ricordano, con un velo di perfidia ma dicendo la verità, sia proprio il caso del quasi ex presidente del consiglio, il quale replicando il ticket per la Sala Rossa avrebbe avuto modo di far convergere il suo esteso bacino di voti sulla consolidata e fedelissima coppia Mimmo Carretta-Maria Grazia Grippo.
“Si può fare, non ci vuole molto” diceva Sergio Chiamparino della nuova legge elettorale, allora comprensiva di una modificazione dei collegi. Era la primavera del 2015. Il presidente forse non aveva messo in conto quell’ostruzionismo silenzioso ma efficace che oggi Laus indica come un ostacolo insormontabile, o quasi. “Ho lanciato precisi messaggi alla giunta, anche se questa è materia del consiglio” ricorda sibillino il neo inquilino di Palazzo Madama, lasciando intendere che un pressing deciso e chiaro da parte di Chiamparino avrebbe potuto o potrebbe ancora evitare di tornare al voto, il prossimo anno, con lo stesso sistema che tutti, a parole, vorrebbero cambiare.
C’è la doppia preferenza di genere, ma c’è anche l’abolizione del listino del presidente, quegli aspiranti consiglieri che senza essere votati se viene eletto il candidato governatore entrano automaticamente in consiglio. “Noi, nella nostra proposta lo abbiamo sostituito con un premio di maggioranza che, però, si attua a favore dei primi non eletti e quindi favorisce anche quelle province che oggi hanno meno rappresentanza” ricorda il quasi ex capogruppo di Forza Italia Gilberto Pichetto, anche lui in partenza per Palazzo Madama. Gli azzurri, in più hanno proposto di allungare i tempi di presentazione delle liste per ovviare al problema della raccolta della firme, ma pure tra i loro banchi che tra pochi giorni verranno occupati da una pattuglia tutta nuova eccetto il “superstite” Franco Graglia, serpeggia un forte pessimismo circa la possibilità di avere in questa legislatura la nuova norma. “Fra sei mesi saremo in campagna elettorale e viste le divisioni più o meno evidenti all’interno della maggioranza su questo tema – osserva l’azzurro Massimo Berruti, anch’egli da via Alfieri in partenza per il Senato – credo che si perderà l’occasione per dare al Piemonte una legge che riequilibrii la rappresentanza, in particolare di alcune province”.
Il Pd nei prossimi giorni eleggerà il suo nuovo capogruppo, in sostituzione di Davide Gariglio (a sua volta sostituito pro tempore alla guida del partito regionale dal reggente-traghettatore Chiamparino). Chi governerà la pattuglia democrat di Palazzo Lascaris prenderà il toro per le corna, accelerando un iter che pare orma al capolinea fugando ogni sospetto di tenere il piede sul freno, oppure porterà di nascosto il fieno alla mucca nel corridoio?



