Pasticcio della Procura “cancella” le tangenti
Riportiamo l’articolo, a firma di Andrea Giambartolomei, pubblicato su “Lo Spiffero” il 21 dicembre 2016
Dietro le zecche sui treni c’erano quasi 180mila euro di mazzette per evitare i controlli. Tuttavia uno sbaglio nelle notifiche inviate dalla Procura di Torino annulla le prove più esplicite della corruzione e così, alla fine, il pm ha dovuto abbassare le braccia. Rischia di essere stato un procedimento inutile quello contro Pietro Mazzoni, titolare di una ditta che per anni ha mantenuto l’appalto per le pulizie dei convogli di Trenitalia grazie ai favori di un ex dirigente, Roberto Colombo, finito anche lui alla sbarra.
Oggi il sostituto procuratore Francesco La Rosa, che ha ereditato il fascicolo da Raffaele Guariniello, ha dovuto cedere. Al termine della sua requisitoria ha chiesto ai giudici della Terza sezione penale di non procedere per prescrizione dei reati di frode in forniture pubbliche e lesioni (quelle dei passeggeri “morsi” dalla zecche) contestate all’imprenditore e l’assoluzione dall’accusa di corruzione (di cui entrambi gli imputati sono accusati) per insufficienza di prove.
Quelle prove c’erano, ma i giudici hanno dovuto scartarle, eliminarle, dichiararle inutilizzabili. All’inizio del processo, dopo aver chiesto e ottenuto la trascrizione dei brogliacci, i magistrati hanno constatato che erano illegittime perché – come faceva notare la difesa di Mazzoni e Colombo – erano state effettuate dopo la richiesta di proroga dell’inchiesta fatta da Guariniello, una richiesta ritenuta illegittima per dei difetti di notifiche.
In sostanza la procura ha sbagliato a inviare agli avvocati questa informazione e questo ha fatto sì che tutti gli atti di indagini svolti dopo siano stati dichiarati inutilizzabili. Tra questi ci sono anche una mole di intercettazioni dalle quali sarebbe emersa in modo esplicito la prova della corruzione. Soltanto una se ne è salvata, una conversazione dalla quale emerge che le schede di valutazione sulle pulizie dei treni sarebbero state aggiustate per permettere all’imprenditore, che con la sua Mazzoni Ambiente operava sui treni del Centro-Nord Italia, di non perdere l’appalto.
“Siamo stati abbandonati – commenta l’avvocato Andrea De Carlo, che nel processo rappresenta Trenitalia, costituita parte civile -. Le intercettazioni tra gli imputati non si possono usare per un cavillo formale e ora la Procura fa un passo indietro. Per noi la strada è in salita”. Nonostante questo Trenitalia ha chiesto un risarcimento di un milione di euro. Il 31 gennaio la parola andrà alla difesa, in attesa del verdetto dei giudici.



