EUROPA A GEOMETRIA VARIABILE / EUROPA POLIEDRICA
Riceviamo in Redazione e riportiamo la Newsletter n. 10 di Alpina – DIALEXIS a cura di Riccardo Lala del 12 marzo 2017
Il 3 marzo si è svolta, presso il Centro Studi San Carlo, la prevista manifestazione del Comitato della Società Civile per il Libro Europeo dedicata a Crisi della Rappresentanza e della Governabilità e Memoria culturale (cfr. https://www.rinascimentoeuropeo.org ). Due giorni prima, il Presidente della Commissione, Juncker, aveva presentato al Parlamento Europeo un Libro Bianco sul Futuro dell’ Europa che dovrebbe valere per i prossimi otto anni, e le cui vicende seguiremo con le prossime maniufestazioni e newsletters. La manifestazione del 3 ha costituito così un’eccezionale occasione per rileggere la storia dell’ integrazione europea alla luce di quello che il documento dice, e, soprattutto, di ciò che esso non dice, alla luce del diritto comparato (Monateri) della storia antica (Lasagni), e del pensiero federalista (Levi).
Nel frattempo, i leaders di Germania, Italia, Francia e Spagna si sono riuniti a Versailles per esporre le loro idee sull’ “Europa a due velocità”. Significativo il dissenso di un Paese, come la Polonia, che, per le sue dimensioni, ben sarebbe stato rappresentativo di un gruppo di Paesi leaders.
In questo intervento, vogliamo dimostrare che il dibattito fra Polonia e gli altri Stati Membri è, come al solito, un “gioco d’acqua” per fingere di esistere, mentre invece si continua a non fare nulla. Infatti: (i) l’Europa a più velocità (ONU, OSCE, NATO, Consiglio d’ Europa, Associazioni, UEO, , Schengen , Euro, CSI, Unione Eurasiatica) esiste già fin dall’ inizio (ii) da sempre è esistita un’Europa a più dimensioni; (iii) l’ “Europa poliedrica”-come dice il Papa- costituisce un elemento essenziale dell’ Unità Europea, ed è, soprattutto, la sua forza.
L’idea di Juncker era appunto quella di dimostrare un minimo di reattività dell’ Unione dopo Brexit, e di controbattere, così, le accuse degli Euroscettici. Ma le pur modeste velleità della Commissione di “proporre qualcosa di nuovo” si sono scontrate contro le solite forze che dominano sotterraneamente l’ Unione. Le quali dicono di essere europeiste ad oltranza, ma, in realtà, perseguono la continuazione dell’ attuale stato di sudditanza nei confronti della globalizzazione occidentale. E non sono soprattutto-come dicono tanti- gli Stati Membri ad opporsi al rafforzamento dell’ Europa. Come ha dichiarato il Commissario Moscovici, usando per la prima volta quest’espressione, sono “i Poteri Forti”, che hanno avuto tutto da guadagnare dal declassamento dell’ Europa, dalla demonizzazione della sua cultura, dall’omologazione delle sue classi sociali, dal boicottaggio dei suoi campioni nazionali, dalle continue trasfusioni di tecnologia, di capitali e di reddito in altri continenti, dall’evasione fiscale scientifica delle multinazionali, dalla debolezza strutturale degli Stati Membri e dell’Unione. Infatti, i vertici delle Istituzioni, nazionali ed europee, i finanzieri, gl’intellettuali conformisti, i politici, la “borghesia illuminata” hanno prosperato, in tutti questi anni, svendendo i loro Paesi e l’Europa al miglior offerente (cultura, informatica, automotive, finanza), e contano di poterlo fare per sempre.
Oramai, però, le cose sono andate tanto avanti che non sono più solo gli ”Euroscettici” a “sparare a zero” contro questa eterodirezione della Commissione, bensì gli stessi partiti del Parlamento Europeo e i più qualificati commentatori politici. Come ha detto il Presidente del gruppo socialista al Parlamento, Gianni Pittella, “è un errore limitarsi a presentare cinque possibili scenari per il futuro dell’Ue invece di presentare un piano completo per essere più forti di fronte alla tempesta che dobbiamo affrontare”. Ha deluso, in particolare, l’assenza di quel coraggio che da Juncker ci si attendeva e che invece, contrariamente alle attese, è mancato. Per Eleonora Forenza (“l’Altra Europa con Tsipras”),il “white paper” non è che “un puro esercizio di stile; ‘Non c’è nulla che metta in discussione l’impianto ultra-liberista e monetarista, nulla che dica basta all’austerità e al folle patto di stabilità’; non c’è “nessuna proposta di riforma della Bce, del suo mandato e della sua funzione”. Come ha affermato poi Sergio Fabbrini nell’ articolo di fondo de “Il Sole 24 Ore” di domenica, esso”..fornisce un contributo modesto e confuso alla discussione che dovrebbe condurre alla Dichiarazione di Roma del prossimo 25 marzo. Modesto, perché non vi è alcuna seria riflessione sulle cause della crisi europea, crisi che ha condotto alla secessione di un grande paese (il Regno Unito) dall’ Unione Europea (UE). confuso, perché si delineano addirittura cinque scenari per il futuro della UE, che sembrano emersi da un seminario universitario piu’ che da una riflessione politica. quel libro Bianco dice più cose sulla crisi in cui si trova la Commissione che sulla crisi in cui si trova la Unione”.Come afferma poi perfino la newsletter del Centro Studi per il Federalismo, “Se infatti la definizione dei nuovi traguardi dell’Unione europea (Ue) muove dalle premesse poste dal documento della Commissione, si profila all’orizzonte un periodo di profonda frustrazione degli ideali e dei valori sui quali poggia il comune edificio europeo. Ad una visione di insieme il libro bianco appare inadeguato rispetto al lungimirante obiettivo di stimolo e riflessione che esso si pone”.
In realtà, i vertici dell’Unione non possono mostrare il coraggio richiesto per il semplice fatto che l’intera struttura di potere nell’ Occidente, nella NATO e nell’ Unione Europea è stata scientemente costruita in modo che nessuno abbia il potere di fare nulla, cosicché, soprattutto, l’equilibrio di potere cristallizzatosi con la IIa Guerra Mondiale resti tale per sempre, impedendo all’ Europa di riacquistare il ruolo che le spetta nel mondo. Del resto, Wikileaks, pubblicando l’altro giorno una serie di documenti relativamente allo spionaggio elettronico della CIA, in particolare operando dal Consolato americano di Francoforte (“Vault 7”), concludeva addirittura affermando: “la Germania non può pretendere di esercitare un ruolo di guida mei confronti dell’ Unione Europea perché è eterodiretta da un Paese straniero”
“A monte”, si era deciso infatti allora unanimemente (come ribadito insistentemente dallo stesso Stalin, per esempio parlando con Gilas, Togliatti e Nenni), che l’Europa Occidentale facesse ormai parte dell’ Occidente, senza avere per altro diritto ad entrare a fare parte degli Stati Uniti, così come la Germania dell’Ottocento aveva fatto parte dell’Impero, ma non della Prussia, e le “Repubbliche” facevano parte dell’ URSS, ma non della Russia. Come afferma il numero 2/2017 di Limes, “Si può immaginare il Congresso degli Stati Uniti decretare, sciogliendo il dilemma di Burgess che tutti i sudditi dell’ Impero sono cives, emulando Caracalla?” Certo che si può immaginare, perché vari Paesi concedono già ora a degli stranieri il diritto di cittadinanza (o ameno il doppio passaporto), per scardinare la lealtà di questi cittadini verso lo Stato di rispettiva appartenenza. Il caso estremo è costituito dalla concessione, da parte della Romania, del passaporto rumeno a tutti i Moldavi, per forzare la loro integrazione nell’ Unione Europea. Così pure, la Russia ha concesso il passaporto russo a tutti gli Osseti (del Sud), per realizzare in pratica la loro integrazione con gli Osseti del Nord (Alani), che fanno parte della Federazione Russa. Tuttavia, gli Stati Uniti concedono il doppio passaporto solo “con il contagocce”, affinché l’ingresso e la permanenza negli Stati Uniti rimangano dei privilegi, con il quale ricattare l’enorme massa di aspiranti all’ immigrazione. Alla faccia del dovere di ospitalità che invece incomberebbe incondizionatamente sugli Europei.
Si era continuato decidendo che l’Europa non potesse sostenere le proprie “infant industries” e la propria cultura; che il Presidente dell’ Unione fosse un “re travicello”, che, appena tenta, come ha fatto recentemente Tusk, una dichiarazione un po’ ardita, venga minacciato di non-rinnovo; che l’Alto Rappresentante venga “dimezzata”, visto che Juncker si è nominato un suo proprio consigliere personale per la politica estera e di Difesa, in barba alle competenze dello stesso Alto Rappresentante; che lo stesso Juncker sia stato minacciato di pre-pensionamento avendo manifestato l’idea di inserire, nel “Libro Bianco”, “più Europa”; che, infine, né l’”establishment” centrista, né i sedicenti “sovranisti”, formulino mai una sola proposta sensata, né a Bruxelles, né a Roma, né a Torino, in modo che la maggioranza dei cittadini si tenga ben lontana dalle urne, e continui semplicemente ad accusare delle cose più nefande “l’ Europa”, non già, come dovrebbe, l’”establishment” locale, nazionale, e, solo di riflesso, anche europeo.
Solo così si spiegano le inaudite affermazioni di Juncker , secondo le quali la Commissione non potrebbe fare nulla per ridurre la disoccupazione, e di Tajani, secondo cui “il Presidente del Parlamento Europeo non ha un suo programma”. Il che s’apparenta alla recente affermazione del Papa: “Chi sono io per giudicare?”, che, per altro, ha, almeno, un preciso riferimento evangelico. Come dice Denault nel suo recentissimo libro “Mediocrazia”, “Più che una domanda è un grido che viene dal cuore: “Cosa posso fare io, Piccola Cosa, rinchiusa nella mia sterile individualità, costretta nel mio seminterrato a mangiare pizza surgelata considerando la diffusa disoccupazione, il rincaro degli affitti, la brutalità della polizia e il mio livello d’indebitamento?” Sì, ma, allora, chi decide? Evidentemente, i “poteri forti” di cui ha parlato lo stesso Moscovici, i quali restano liberi di indottrinare, di spiare, di monopolizzare, di evadere il fisco, di monopolizzare, di delocalizzare, come dimostrato ancora ora dalle più recenti rivelazioni di Wikileaks ecc…. Quella professione generalizzata di modestia, figlia dell’ idea luterana del “servo arbitrio” e di quella hegeliana e marxista della dialettica storica, serve, oggi, alla subordinazione degli Europei, e per preparare, domani, la loro accettazione automatica del dominio delle macchine intelligenti, come espressamente previsto in “The Singularity is near” di Ray Kurzweil.
Sintetizzando un po’ semplicisticamente: come diceva Don Abbondio, “il coraggio uno non se lo può dare”.
1.La “Passionarnost’”
Nel corso del convegno del 3, è stata sollevata dal pubblico la fondamentale domanda di come fare a fare amare l’Europa.
Il dissidente sovietico Lev Gumilev (figlio di Anna Achmatova) chiamava “Passionarnost’” – passionalità-, la qualità necessaria per avviare un qualsivoglia processo di “etnogenesi”, ma, soprattutto, per il faticoso emergere di un nuovo “etnos” da una “ situazione statica”(come quella europea di oggi): “La prima fra le varianti dell’ etnogenesi è costituita dall’emergere, dalla posizione statica sopra descritta, di un nuovo etnos – cosa che non può verificarsi in modo spontaneo-. Innanzitutto, nessun membro dell’ etnos vuole quel’evoluzione; anzi, nessuno riesce neppure a immaginarla; infine, già soltanto per un riorientamento del processo si richiede un impulso energetico forte e determinato, che, o non è possibile in forza alla semplice autocoscienza, o opererebbe in contrasto con la legge di conservazione dell’ energia.”
Come realizzare quest’obiettivo, quando, secondo un’indagine demoscopica illustrata domenica al Limes Forum da Ilvo Diamanti, il livello di affezione verso l’ Unione Europea è sceso a livelli bassissimi? La prima vera riforma dell’ Europa consisterebbe dunque proprio nell’ iniettare una massiccia dose di “Passionarnost’” negli esangui vertici dell’ Europa: nel Movimento Europeo, nei Gruppi Politici Europei; nel vertice dell’Unione.
In conclusione dell’incontro del 3 marzo, avevamo affermato che il primo passo sarebbe distinguere fra ciò che è obiettivamente legato all’ Europa (paesaggio, storia, identità, cultura, religione) e ciò che è invece un’espressione, voluta o meno, dell’ attuale classe politica (“Occidente”, ideologie, classi egemoniche). Infatti, l’impropria mescolanza con idiosincrasie e diatribe ideologiche e di potere dell’ Establishment, delle questioni europee, è la causa prima del discredito in cui anche queste sono cadute. Innanzitutto, per il cinismo dei comportamenti (dal trasformismo, al familismo, alle tangenti, alle faide personalistiche, ecc…), ma anche per la ormai assoluta irrealtà della loro cultura, fondata su ideologie sette-ottocentesche che non hanno più alcuna corrispondenza nel mondo di oggi (Stati-nazione, liberalismo, comunismo, socialismo). Pretendere d’ispirarsi a tali irreali modelli di pensiero costituisce la più evidente prova della mancanza di progettualità e, quindi, del puro e semplice carrierismo. Inoltre, la pretesa di uniformarsi a tale ideologie irreali ha posto, in questi 70 anni, le basi dell’insostenibilità dell’ Europa Occidentale: nazionalismo senz’ambizioni; privilegiamento delle multinazionli suglioperatori nazionali; determinismo, livellamento sociale.
Anche il federalismo europeo, cristallizzatosi circa un secolo fa, si presta oramai a quello stesso tipo di strumentalizzazione delle ideologie sette-ottocentesche, anche perché, dopo l’originario orrore di Spinelli, espresso tra l’altro nel Manifesto di Ventotene (1941), tanto per i comunisti quanto per i democratici, esso si è trasformato addirittura in uno strumento in mano alle attuali classi politiche. Era partito tra l’altro come una critica del nazionalismo e un superamento del comunismo, ma purtroppo condivideva con questi l’analisi della realtà storica, che, al momento, non poteva ovviamente essere basata se non su un mondo in via di industrializzazione, in cui stava divenendo centrale il rapporto fra operai e imprenditori. Oggi, tuttavia, viviamo in un mondo in via di de-industrializzazione, in cui i temi politici dominanti sono ben altri: l’avvento delle macchine intelligenti e la speculare difesa delle identità…Questo non sottrae interesse al progetto europeo -anzi-, perché esso era nato prima del nazionalismo e del marxismo, e indipendentemente da essi. Tuttavia, il federalismo assume rilevanza, ai nostri occhi “postmoderni”, non più per favorire, a scapito delle identità individuali, nazionali e di ceto, l’ulteriore meccanizzazione di un mondo industrializzato, bensì per dominarla, con il rilancio di tutte le forme di soggettività ancora non soggiogate dal sistema informatico-militare, e che sopravvivono, almeno come residui, nella fede, nel sogno, nella cultura, nell’ etnos, nella sessualità, nell’individualità, nelle comunità.
Quanto sta avvenendo in Cina, in Russia e in India, dove si stanno riscoprendo gli specifici miti di ciascun Paese, soprattutto per la loro capacità di rafforzare le soggettività individuali e collettive, viene ora replicato in America e potrebbe esserlo anche in Europa. Il modo in cui questo era stato tentato al tempo della prevista Costituzione (bocciata nel 2005) non era stato certo adeguato, in quanto la banale elencazione delle principali fasi della storia culturale europea (contenuta nel Preambolo), era ben lontana dallo stimolare una qualsivoglia passione per l’ Europa. Anzi, aveva avuto l’effetto di accrescere lo scetticismo intorno all’ intero esperimento costituzionale. Affinché un’identità sia “autentica”, occorre infatti che la sua ricerca sia effettuata con trasparenza, e non già, come è stato fatto con quella europea, con l’obiettivo di favorire, con delle “Tradizioni Inventate”, la prevalenza di questa o quella fazione dell’ “Establishment”.
2.La ricerca di un’ identità autentica
Le esigenze di un siffatto programma culturale dell’ Europa, al contempo efficace e sintetico, che stimoli la “passionalità” della scelta europea, ci portano, come dicevamo, ad isolare, nel “mare magnum” della storia culturale, quelle, comunque tantissime, esperienze che sono state espressamente finalizzate all’ Europa stessa, trascurando quelle che invece possono essere invocate solo per analogia, per affinità ideologiche certamente parziali (democrazia, confessioni religiose, dottrine economiche..).
Parliamo dunque innanzitutto del mito d’Europa, delle concezioni specifiche che, degli Europei, avevano Ippocrate, Jordanes, Machiavelli, Voltaire, Mazzini, Niezsche, Viaceslav Ivanov, Coudenhove-Kalergi, Simone Weil, Galimberti, Spinelli, De Gaulle, Giovanni Paolo II e alcuni altri. Tanti altri invece, spesso citati a questo proposito, avevano, in realtà, in mente altri e diversi obiettivi (la Grecia, l’ Impero, il Progresso, la Grande Germania, l’”Occidente”). Pensiamo a Eschilo, a Dante, a Kant, a Hugo, a Drieu la Rochelle, agli stessi Padri Fondatori dell’ Europa “funzionalista”. Cioè di un’Europa deliberatamente autolimitantesi, per non essere ostacolo alla globalizzazione tecnocratica e all’ avvento delle macchine intelligenti.
Per essere concreto, l’avvio di una siffatta etnogenesi europea dovrebbe accompagnarsi , come minimo, all’adozione di due fondamentali obiettivi di assertività politica:
-un Movimento Europeo inteso non più come associazione culturale subordinata ai partiti e alle istituzioni, bensì come un “fronte continentale di liberazione”, a cui i partiti europeistici dovrebbero essere, in prospettiva, subordinati, così come i partiti indiani facevano parte del Partito del Congresso;
-un vertice europeo (formale o informale) autorevole, che non sottragga competenze agli Stati Membri, bensì, fedele al ”Principio di Sussidiarietà”, svolga veramente i compiti che, palesemente, gli Stati Membri non possono o non vogliono assolvere (politica culturale europea, controllo sulle nuove tecnologie, esercito europeo, arma missilistico-nucleare-spaziale europea, servizio segreto europeo, campioni europei nei media, nell’informatica, nella difesa).
3. L’ “Europa a due velocità”
Fra le tante professioni di umiltà che Juncker ha dovuto fare per sopravvivere politicamente, c’è anche la presa d’atto che gli Stati Membri non sono disponibili, oggi, a modificare i Trattati istitutivi. Il che viene letto nel senso che, se si vuole migliorare qualcosa, questo si può fare solo attraverso le “cooperazioni rafforzate”, già previste dai Trattati stessi: e, si lascia intendere, queste potrebbero permettere di realizzare le politiche “più avanzate”, cioè proprio quelle che, secondo il cosiddetto “Principio di Sussidiarità” si potrebbero condurre solo al livello più elevato). Il tutto battezzato incredibilmente dalla Merkel come “Europa a Due Velocità”, quando è chiaro a chiunque conosca un po’ l’ Europa, che oggi di velocità ce ne sono almeno 10 (cfr. figura in alto).Il tutto per fare vedere che qualcosa si muove (ma, come dice il Centro Studi sul Federalismo, si muove all’ indietro). Insomma, una questione di “Brand”, per giunta non azzeccata, perché, secondo lo stesso Tusk, dopo Brexit, l’espressione “due velocità” fa pensare soprattutto ad una disgregazione. Soprattutto perchè ha due gravissimi sottintesi: (i) l’ Europa quale veicolo del “progresso irreversibile”; (ii)l’Europa Nord-Occidentale quale area centrale e quelle orientale e meridionale come periferie.
Si dice, che, della “prima velocità”, farebbero parte la Politica Estera e di Difesa Comune e l’Unione Fiscale. Due politiche che, per altro, non si sono mai potute fare fino ad ora non già per motivi giuridici, bensì perché non c’è stata (né c’è), da parte di nessuno, la minima volontà di farle.
Non c’è la volontà di fare l’”Unione Fiscale” perché questa si potrebbe fare non già in base alla paralizzante ideologia monetaristica oggi imperante, bensì solo in base a quelle stesse politiche economiche che stanno conducendo nel mondo tutti gli Stati di grandi dimensioni: cioè, specializzare, come fa la Cina, le diverse vocazioni per i diversi territori -per esempio, l’uno dedicato alla cultura e alla tecnologia ( la Germania?), l’altro, alla politica e alla difesa (la Francia?), il terzo, all’industria e ai servizi (la Polonia), il quarto al commercio e al turismo (l’Italia?), ecc…. Questa sarebbe la vera Europa Poliedrica, che valorizzerebbe anche tratti dell’identità dei singoli territori (le famose università tedesche, la Force de Frappe francese, gli “uomini di marmo” e “di ferro” di Danzica e Ursus, le tradizioni delle Città Marinare e delle Signorie)…
Non si vuol fare la Politica Estera e di Difesa perché ciò vorrebbe dire sostituire un certo tipo di mondo militare (politicizzato e burocratico) con un altro, di orientamento culturalistico e tecnologico (il “soldato politico”, che, nell’era delle macchine intelligenti, potrebbe essere descritto anche come ”Mazinga contro i robot”). Un tipo di militare che non potrebbe muoversi se non in autonomia, non già all’ interno dell’ asfissiante gabbia ideologica e tecnocratica della NATO.
Quindi, se non si cambiano le culture delle classi dirigenti nazionali ed europee, non si potrà fare nessuna “Cooperazione Rafforzata”,bensì solo delle grottesche parodie, come un ulteriore assurdo ingessamento delle leve economiche del vertice europeo, e un inutile coordinamento delle modeste operazioni di polizia condotte per conto della NATO.
Anche la tanto strombazzata “Europa a due Velocità ” rischia perciò di non essere altro che l’ennesima presa in giro dell’ elettorato per poter tirare ancora avanti qualche anno, in attesa che le multinazionali del web e le tre Grandi Potenze si giochino tra di loro la partita intorno al controllo dell’ Impero Tecnologico Mondiale (come sta accadendo con “Volt 7” e con le voci di candidatura presidenziale di Zuckerberg).
4. L’Europa a geometria variabile
Noi però, come sempre, accettiamo senza preconcetti anche questa sfida concettuale dell’ Establishment. Sì, l’ “Europa a più velocità” si può fare, e si può fare, come si dice, “a Trattati invariati”, ma a condizione di fare almeno anche due, fondamentali, altre cose, vale a dire:
a)una programmazione economica europea (foss’anche solo limitata alla spesa pubblica, ma finalizzata a ben precisi risultati di Campioni Nazionali e di sconfitta dei concorrenti), molto più importante della cosiddetta ”politica fiscale”, che non incide minimamente sui rapporti di forza fra l’ Europa e il resto del mondo;
b)il vero e proprio esercito europeo (anche snellissimo, ma che comprenda almeno il nucleare, i servizi segreti e le truppe speciali, che non richiedono masse di soldati, ma solo una razionalizzazione e una centralizzazione di attività esistenti).
Per fare ciò “a Trattati invariati” si deve ”reinterpretare” l’ Europa a molte velocità (oggi già pienamente esistente), nel senso di riutilizzare in modo creativo tutti i trattati europei, e non solo quelli dell’ Unione Europea. Vi sono due possibili punti di partenza:
a)individuare un “leader carismatico” (poco importa se individuale o collettivo; se ricoprente, o meno, una carica istituzionale, o se rappresentante “carismatico” dei movimenti di base), che si faccia carico di promuovere e di sostenere le innovazioni che sono necessarie i tutte le istanze attualmente esistenti, compresi il Consiglio d’Europa, la UEO, l’ Agenzia Europea degli Armamenti, l’ESA e gl’istituti universitari europei (perché non potrebbe essere Tusk, che si sta comportando così bene?);
b)Unificare in qualche modo l’azione dei pletorici vertici attuali (Presidente Europeo, Presidente della Commissione, Alto rappresentante, Presidente del Parlamento, presidente della BCE), se non altro nella forma di un direttorio come il Consiglio Federale svizzero.
In tal modo, si risponderebbe anche all’ obiezione di Tusk sull’inefficacia del “brand” delle “due velocità”, che giustamente non piace a Est perché sembra contenere un giudizio negativo dell’ Est Europa, che, con la Civiltà Danubiana, i Kurgan, i Sarmati, la Grecia e Bisanzio, Sobieski, Stalingrado e Solidarnosc, non è certo stato meno decisivo, per il Continente, dell’ Europa Occidentale.
5.Le vere carenze del Libro Bianco
Le critiche a Juncker da parte dei gruppi politici del Parlamento Europeo e dei commentatori politici sono quindi giuste, ma parziali. Infatti, esse non sfiorano nemmeno le principali carenze del Libro Bianco, che invece sono, a nostro avviso:
1)la mancanza di qualunque idea sulla politica culturale europea. Senza una concezione del perché dell’ Unione Europea, questa non può sopravvivere. L’idea, ribadita ancora da Juncker e da Pittella, che l’Unione serva alla causa della pace perché concentra tutta l’attenzione sull’ economia è parzialmente colpevole e parzialmente falsa. E’ vero che, se tutti si concentrano sull’ economia, non hanno più molto tempo di pensare ad altro, quindi, fra l’altro, neanche alla guerra (ma neanche alla religione, alla cultura, alla carità, alla famiglia, alla salute, al tempo libero…). Ma è proprio detto che quest’”uomo senza qualità” sia l’obiettivo dell’ Identità Europea? Inoltre, un’economia europea che va sempre peggio mentre le altre migliorano è il miglior incentivo per nuove guerre e rivoluzioni. E non è proprio quest’insensatezza della monomania economicistica a suscitare tanta ostilità per l’ Unione, e, in definitiva, la sua ingestibilità? E, comunque, il motivo della relativa pace in Europa Occidentale (anche se gli Europei Occidentali hanno fatto nel frattempo un centinaio di guerre all’estero ,tra l’altro in Corea, Sud Est Asiatico, Algeria, Kenya, Corno d’Africa, Egitto, ex Jugoslavia, Libia, Mali, Niger, Costa d’Avorio, Irak, Afghanistan, ecc…) sono le atomiche russe e americane presenti sul nostro territorio. Non si vede come un’Unione Europea con limitatissime competenze (solo economiche) possa influenzare la pace e la guerra, né come, anche volendolo, gli Europei avrebbero potuto fare la guerra senza gli Americani o i Russi. E, difatti, quando qualcuno vuole fare una guerra, chiede il permesso degli uni o degli altri (vedi Suez, Nagorno-Karabagh, Bosnia, Libia, Donbass…);
2)L’assenza di idee circa l’informatica, il web, l’intelligenza artificiale, la disoccupazione tecnologica. Il documento non menziona neppure il superamento dell’intelligenza umana da parte di quella artificiale, né la rivoluzione biopolitica, né l’uomo in provetta, né la sorveglianza di massa, né il monopolio sino-americano sui motori di ricerca, né l’evasione fiscale generalizzata delle multinazionali del web, né lo spionaggio di massa sugli Europei. Addirittura, Juncker ha affermato che la Commissione non può fare nulla contro la disoccupazione. Certo, con le limitate competenze di cui dispone. Però, dovrebbe averne delle altre, che glielo permettano, o prendersele “di brutto”, come fanno sistematicamente i presidenti americani (e il Presidente del Consiglio italiano, che in pratica governa con i decreti-legge). Se non si affronta ora, la disoccupazione tecnologica ci distruggerà. E quest’inattività sarà forse l’ argomento principe che sarà fatto valere contro l’ Unione.
3)La scomparsa dell’idea di un esercito europeo. Quando Trump aveva osservato che la NATO era obsoleta e che gli alleati dovevano contribuire alle spese della NATO con il 2% del loro PIL, tutti si erano affrettati a dire che “adesso ci voleva un esercito europeo”. Ora, anche questo tema è completamente scomparso, mentre si parla solo di coordinamento di insignificanti e controproducenti operazioni in Africa. Eppure, esso sarebbe più che mai indispensabile, anche per poter dare una vera politica culturale e tecnologica all’ Europa, che, in tutti questi anni, è stata bloccata dal mancato dibattito sul falso problema della pace e della guerra. Oggi, come dicono i Cinesi, c’è la “guerra senza limiti”, sicché anche cose come la “diplomazia culturale” (vedi “espressionismo astratto) e i social networks (vedi legami con la NSA) fanno parte delle operazioni militari.
6. Restituire all’Europa il suo vero ruolo, quello della difesa dell’Umano
Le retoriche dell’ Idea di Europa (a cominciare da Juenger e da Spinelli) hanno sempre sostenuto che l’ Europa avesse una missione storica. Che, dopo la Seconda Guerra Mondiale, non poteva più essere quella (sostenuta ai loro tempi, da Condorcet, da Fichte, da Victor Hugo, da Mazzini e da Coudenhove-Kalergi), di colonizzare il mondo, bensì quella di dimostrare concretamente che, grazie al federalismo, anche dei “nemici ereditari” come Francia e Germania non si sarebbero più fatti la guerra. Non crediamo che nessuno, soprattutto fuori dell’ Europa, abbia mai preso sul serio questa “missione”, innanzitutto perché Francia e Germania non erano poi tanto nemici neppure prima, se si pensa ai Russi e agli Americani, agli Arabi e agl’Israeliani, agl’Indiani e ai Pakistani, e poi perché, viste da fuori Europa, Francia e Germania sono due province lillipuziane assolutamente irrilevanti. Basti vedere il film “Francofonia” di Alexandr’ Sokurov.
Altri, come Rifkin, avevano provato a identificare una nuova “Missione dell’ Europa”, nella costruzione di un’”economia sociale di mercato”, contrapposta al liberismo americano (in particolare, la “Terza Rivoluzione Industriale”).
A noi sembra che tutti questi discorsi siano irrimediabilmente “datati”.
Ai tempi del Manifesto di Ventotene, della “Pace” di Juenger o del Congresso dell’ Aia del Movimento Europeo, il tema dominante era la guerra atomica (vedi Jaspers), e, quindi, si poteva spacciare come decisivo il “portare qualche mattone” per la causa pace, anche se con mezzi discutibili come l’ Equilibrio del Terrore. Oggi, il problema prioritario non è la guerra atomica, bensì la cyberguerra, nelle sue infinite sfaccettature. Anche la contrapposizione fra il presunto “liberismo” degli Americani e l’”Economia Sociale di Mercato” degli Europei ha perduto di senso, quando Obama introduce la sicurezza sociale e Trump impone le rilocalizzazioni, mentre l’ Europa condona le tasse ai miliardari e abolisce le protezioni dei lavoratori.
Oggi, la missione dell’ Europa potrebbe essere soltanto quella proposta a suo tempo da Simone Weil: difendere , con energiche iniezioni di cultura orientale, il “radicamento” delle tradizioni culturali dell’ Occidente, per controbilanciare il carattere tecnocratico e disumanizzante della globalizzazione, sposato invece dall’ America, che sta trascinando anche noi nell’ oblio della nostra comune cultura.
Il mito del Golem (come del resto la figura dell’Homunculus nel Faust e l’”Apprendista Stregone” di Goethe) ci ricorda che gl’ intellettuali universalisti, che, nel Rinascimento, avevano progettato questo sviluppo abnorme dell’alchimia e della magia, avevano almeno ancora chiara, contrariamente agli uomini d’oggi, l’idea che l’uomo deve controllare la macchina, e, nel caso che questa prevarichi, disattivarla. Nel caso del Golem, la cosa era estremamente evidente: finchè il suo padrone, Rabbi Loew, teneva inserita una certa “scheda” con la forma della lettera ebraica “alef”, sul Golem compariva la scritta “emeth” (“verità”). Quando Rabbi Loew toglieva la “scheda”, restava solo la scritta “meth” (“morte”).
Il Movimento Europeo, le Istituzioni europee (che non si riducono certamente all’ Unione), e l’intera classe dirigente del nostro Continente, che in tutti questi anni hanno tentato di sopravvivere mascherando la loro inconsistenza con la pretesa missione dell’ Unione Europea, hanno ora un’ultima occasione per rendersi utili, facendo propria la concezione della missione dell’ Europa sopra esposta.
I passi che abbiamo indicato in precedenza sarebbero soltanto un inizio in quella direzione.
Nelle prossime manifestazioni, che saranno dedicate a commentare i 60 anni dei trattati e il Libro Bianco di Juncker, svilupperemo questi concetti.



