Lo Stato, sempre più affamato di soldi, rosicchia anche sul cinque per mille
Riceviamo in Redazione e riportiamo l’articolo, a firma del Professor Carlo Manacorda*, pubblicato in data 21 maggio 2019 su “www.lineaitaliapiemonte.it”
Lo Stato non ha scrupoli: stabilisce ogni anno un tetto per le somme del cinque per mille da ripartire e l’eccedente viene destinato ad altre spese. Infischiandosi della volontà dei contribuenti
Tempo di dichiarazione dei redditi. Dal 2006, ogni persona fisica che presenta la dichiarazione dei redditi può destinare il 5 per mille dell’ammontare della tassa sul proprio reddito (IRPEF) a enti senza scopo di lucro (non profit) che svolgano attività di volontariato o di utilità sociale, ovvero per finanziare attività di ricerca scientifica sanitaria e dell’università. Di fronte a uno Stato pigliatutto, e che poi dava lui i contributi a chi voleva, questa apertura fu salutata come una grande conquista di libertà: finalmente posso decidere io chi aiutare.
Il funzionamento di questa innovazione fu stabilito in questo modo. Lo Stato, tenendo conto delle volontà espresse dai contribuenti, totalizza le somme che ciascuno ha destinato ai suddetti enti, e poi le ripartisce secondo criteri stabiliti in un apposito decreto. Per dare trasparenza alla ripartizione, un altro decreto ha previsto che essa deve risultare da un rendiconto che indichi la somma destinata a ciascun ente beneficiario. Il rendiconto è pubblicato nei siti web delle amministrazioni coinvolte in questo processo.
Il pagamento delle somme che i contribuenti destinano agli enti suddetti con il 5 per mille rappresenta, com’è evidente, una spesa dello Stato. Ma va rispettata la volontà dei cittadini. Quindi, andrebbe redistribuito l’intero importo risultante dalle loro indicazioni.
Questo in teoria, secondo la legge. Nella realtà, in anni difficili per le finanze pubbliche, lo Stato non ha avuto scrupoli nel rosicchiare una parte delle somme destinate dai contribuenti al 5 per mille. Ha stabilito ogni anno, con legge, un tetto per le somme del 5 per mille da ripartire. Infischiandosi delle volontà dei contribuenti, le somme rosicchiate sono state destinate ad altre spese. In altre parole, non ha pagato per intero le somme che i contribuenti avevano indicato nel 5 per mille. Il Sole-24 Ore indica in 501 milioni di euro la somma del 5 per mille di cui si è appropriato lo Stato dal 2009 al 2014.
Dopo questi scippi, forse per un ritorno di moralità, lo Stato ha deciso di essere meno ingordo. Sulla base dei dati degli anni precedenti, ha fatto una stima di quanto i contribuenti avrebbero potuto destinare al 5 per mille. Cosicché ha stabilito che, a partire dal 2015, la spesa prevista nel bilancio dello Stato per erogare le somme indicate dai contribuenti per il 5 per mille era stabilita in 500 milioni di euro all’anno.
Tutto è andato bene negli anni 2015 e 2016. La somma dei contributi destinati dai contribuenti con il 5 per mille non ha superato i 500 milioni. Quindi la spesa ha avuto la necessaria copertura in bilancio.
Ora si trattava di procedere alla ripartizione delle somme del 5 per mille relative all’anno 2017. E qui nasce un giallo. C’è il sospetto che la somma indicata dagli italiani, nel 2017, per il 5 per mille abbia superato i 500 milioni. L’Agenzia delle Entrate, che ha il compito di fare il conteggio del 5 per mille, lo conferma. Poi però ne ripartisce una somma minore (495.841.714,55 euro) tenendo conto che la somma stanziata nel bilancio dello Stato è soltanto di 500 milioni. Qualora se ne pagassero di più, si sforerebbe lo stanziamento.
Per chiarire la situazione, 35 senatori guidati da Edoardo Patriarca (Pd) hanno presentato, recentemente, al Ministro dello sviluppo economico, del lavoro e delle politiche sociali Luigi Di Maio e al Ministro delle finanze Giovanni Tria un’interrogazione per fermare “l’odioso scippo” da parte dello Stato (per Il Sole-24 Ore, 9 milioni). Chiedono, in particolare, di conoscere: quale sia l’esatto importo che i contribuenti italiani hanno destinato, nel 2017, al 5 per mille; che sia messa a bilancio una somma sufficiente per erogare l’intero importo del 5 per mille secondo le volontà dei contribuenti. Infatti, come già sostenuto fin dal 2014 dal Servizio Bilancio della Camera dei Deputati, va rispettata la volontà dei cittadini e il 5 per mille non può avere tetti. Sarebbe una contraddizione addirittura linguistica, oltre che una violazione di legge, se di fatto diventasse solo il 4 per mille.
Per uno Stato sempre più affamato di soldi non basta rosicchiare sulle pensioni, appropriarsi dei conti bancari “dormienti”, far pagare l’IVA in maniera illegittima sulle bollette di gas e luce, o lucrare con le accise sul prezzo della benzina. Sotto tiro è anche il 5 per mille.
*Carlo Manacorda, docente di Economia Pubblica ed esperto di bilanci dello Stato