Incertezze della politica e certezze (poco felici) dell’economia.
Riceviamo in Redazione, e riportiamo, l’articolo a firma di *Carlo Manacorda, pubblicato in data 24 gennaio 2021 su “www.lineaitaliapiemonte.it“.
Mentre resta incerto il destino del governo Conte, le certezze ci sono, e poco felici, per ciò che riguarda l’economia pubblica. Gli sguardi ora sono tutti puntati sui soldi del Next Generation EU, già Recovery Plan, per il quale Conte ha elaborato il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza su cui però il giudizio della Commissione non è affatto entusiasta: peccato che i soldi, 209 miliardi, arriveranno solo se il PNRR sarà approvato nel corso del 2021 e che tutta l’operazione europea si svilupperà di qui al 2026. Le incertezze dunque sono tante ma la politica pare ispirarsi a Orietta Berti: finchè la barca va lasciala andare…
Negli ultimi giorni, la politica parla molto di “responsabili”, di “costruttori” e di specie simili. E proclama: “Se l’arruolamento di questi soggetti va male, il Governo Conte se la vede brutta”. I sostenitori del Governo Conte dipingono la caduta del suo Governo come la peggiore delle catastrofi che potrebbero capitare all’Italia. Forse dimenticano il detto: “Morto un Papa se ne fa un altro”. Comunque, poiché a Conte sembrano mancare le stampelle dei “responsabili”, resta incerta la conclusione politica del suo Governo. Per l’economia pubblica nostrana, invece le certezze ci sono e, purtroppo, poco felici. Ma di queste la politica parla poco. Può dunque essere utile dirne qualcosa.
Il 20 gennaio ― quasi all’unanimità ―, il Parlamento ha votato un ulteriore scostamento di bilancio da 32 miliardi. Lasciando perdere le espressioni comprensibili soltanto a ministri dell’economia, per provvedere giustamente ai cosiddetti “ristori” ― cioè agli aiuti da dare a molte categorie di operatori economici in difficoltà a causa della pandemia di Covid-19 ―, in buona sostanza si è deliberato un ulteriore buco nel bilancio dello Stato di 32 miliardi. I 32 miliardi ― tuttavia ancora insufficienti per concedere i “ristori” sia per l’importo modesto stabilito per essi, sia per riconoscerli ad altre categorie non considerate ―, sommati a tutti gli altri già deliberati per fronteggiare la pandemia, fanno salire il colossale buco di bilancio di altri 180 miliardi. Ma il bilancio dello Stato non ha le disponibilità per coprire queste spese. Quindi si aumenta il debito pubblico emettendo BOT, BTP e altri titoli simili.
Il debito pubblico ― e questa è una certezza dell’economia pubblica nostrana ― sta quindi veleggiando verso i 2.700 miliardi; molti temono che salga ancora a causa dell’irrefrenabile politica dei “bonus” che il Governo Conte sta attuando. Per ora, una buona quantità dei titoli del nostro debito pubblico la compra la Banca Centrale Europea (BCE). In cambio, ci dà i quattrini che ci servono per pagare “ristori”, “bonus” e quant’altro ― anche se spesso si sente dire dagli interessati, inspiegabilmente, di non aver visto ancora un euro ―. Ma la BCE ― altra certezza dell’economia ― i quattrini non ce li dà a fondo perduto. Vuole gli interessi e poi che, alle scadenze, i titoli siano rimborsati. Poiché queste scadenze avverranno di qui a un bel numero di anni, se la vedranno le generazioni future. E ciò spiega l’inesistente dibattito politico su questo argomento da parte di tutti coloro che oggi siedono in Parlamento e votano, all’unanimità e senza limiti, ogni tipo di spesa pubblica
Mentre dunque degli argomenti detti sopra si parla poco, ora va di gran moda parlare di Recovery plan o, per dirla all’italiana, di Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR). La vicenda dell’origine di questo documento è nota. Un’Europa prima distratta, di fronte alla crescita della pandemia causata da Covid-19, ha uno slancio di vitalità e vara il Recovery fund, poi ridefinito Next Generation EU. Mette a disposizione degli Stati che fanno parte dell’Europa unita 750 miliardi e assegna loro le quote. All’Italia spetteranno 209 miliardi, 81 a fondo perduto e 128 come prestiti. L’Europa stabilisce però come andranno spesi e come la spesa sarà controllata. Il materiale trasferimento dei fondi avverrà sulla base di piani presentati dagli Stati.
Conte ― per quanto si sa in totale solitudine ― elabora il PNRR. Su questo modo di procedere scoppia la bagarre e Conte comincia a traballare. Di gran fretta, smentendo se stesso per quanto rappresentato nel precedente, predispone un nuovo PNRR e lo consegna ai suoi ministri. Secondo la procedura prevista, la nuova bozza di piano ― finora per nulla discussa in Parlamento ― è inviata alla Commissione europea.
Orbene, mentre fans del Governo Conte, ignorando le voragini esistenti nel bilancio dello Stato, si affannano, quotidianamente, a dire ai cittadini che non esistono difficoltà finanziarie in quanto: “Ci sono i 209 miliardi dell’Europa da spendere presto e bene”, e componenti dello stesso Governo affermano ― forse senza aver troppo chiara la materia― che PNRR, bilancio 2021 e piani ristori fanno parte di uno stesso piano industriale che dovrebbe salvare l’Italia dagli effetti nefasti della pandemia da Coronavirus per rilanciarla in Europa e nel mondo, l’Europa comincia a farci capire che il piano Conte va rivisto.
Il Commissario all’Economia nella Commissione europea Paolo Gentiloni, leggendo la bozza del PNRR italiano, ha sottolineato infatti che c’è “ancora molto da fare per tradurlo in obiettivi, target, pietre miliari e impegni” (cioè in un piano industriale) e che occorrono “messaggi chiari sulle riforme relative alle raccomandazioni specifiche per Paese comunicate dalla Commissione nel 2019 e dettagli sul tempismo dei progetti”. Insomma, il giudizio sul PNRR finora non è entusiasmante. D’altro canto, è un giudizio simile a quello che anche economisti italiani hanno espresso: il PNRR è soltanto un documento politico, una declamazione di obiettivi generici, ma privo di analisi economica.
Quanto a quelli che dicono che i 209 miliardi sono lì dietro la porta e basta prenderli, sarebbe bene ricordare loro che i 209 miliardi ci saranno se il PNRR sarà approvato nel corso del 2021; che le quote verranno all’Italia tenendo conto delle richieste e dei controlli (che potrebbero anche interrompere i trasferimenti di denaro) e che tutta l’operazione europea si svilupperà di qui al 2026. E tutte queste sono altre certezze dell’economia.
Prendendo atto di quanto avviene nella gestione della nostra economia pubblica, vien quasi di pensare che la politica preferisca operare sulla base del ritornello di una canzoncina di qualche anno fa. Diceva il ritornello: “Fin che la barca va, lasciala andare, fin che la barca va, tu non remare, fin che la barca va, stai a guardare…”. Ma la barca potrebbe anche andare contro gli scogli… ed allora sarebbero lacrime per tutti.