La Compagnia blinda Intesa, ma conta sempre meno

Riportiamo l’articolo, a firma di Stefano Rizzi, pubblicato su “Lo Spiffero” il 6 febbraio 2018
Taglio dei costi, cessione ad operatori esteri di oltre 10 miliardi di crediti in sofferenza, sviluppo del risparmio gestito così come del settore assicurativo e un profilo ancor più definito di banca di sistema: la conferma di queste linee di indirizzo per Intesa Sanpaoloarriverà oggi con la presentazione del piano quadriennale approvato ieri dal cda dell’istituto di credito che, pur a fronte delle ancora recenti rassicurazioni date dal presidente Gian Maria Gros-Pietro, vede sempre più sbiadita la sua coloritura originaria piemontese, ad incominciare di ruoli di primo piano e strategici del management. E solo per una serie di circostanze e di cautele, le cui interpretazioni circolano da settimane negli ambienti finanziari, il maggior azionista istituzionale – la Compagnia di San Paolo – pare intenzionato a dilatare ulteriormente nel tempo la peraltro annunciata riduzione della partecipazione al capitale, oggi pari all’8,2% (dopo aver venduto nell’ottobre 2017 150 milioni di azioni, pari allo 0,95%).
Sul fronte degli assetti finanziari, la mancata accelerazione da parte della fondazione presieduta da Francesco Profumo nella limatura del pacchetto azionario in suo possesso (e quindi dei dividendi che dal 2014 Intesa Sanpaolo ha distribuito complessivamente per un totale di circa 6,6 miliardi) non solo è salutata con estremo favore dalle istituzioni locali che hanno nella Compagnia una sorta bancomat, ma da alcune di esse è stata anche in qualche modo perorata. Tuttavia, il fattore che, probabilmente, ha inciso in maniera maggiore e forse decisiva sulla riflessione che potrebbe durare anche qualche anno, sarebbe da ricercare oltre i confini regionali e nazionali. Il possibile affacciarsi come potenziali acquirenti delle azioni che la Compagnia deciderà di mettere sul mercato, del fondo speculativo statunitense BlackRock che già detiene circa il 5% di Unicredit, così come della germanica Commerzbank (controllata per il 25% dallo Stato tedesco) o addirittura di istituzioni cinesi (magari introdotte dal colosso cinese Alibaba, tra i maggiori clienti di Intesa) ha indotto vertici e soci a muoversi con estrema prudenza.
Non serve, invece, attendere la presentazione del piano industriale per avere conferma di quanto ormai noto da tempo e chi riguarda proprio il Piemonte e Torino, regione e città dove per lunghissimo tempo la banca San Paolo radicò il suo sviluppo nazionale e internazionale senza tagliare quei legami che oggi appaiono ridotti a dimensioni fino a non molti anni fa inimmaginabili. Basta guardare alla nuova struttura organizzativa dove si sostituiscono due manager torinesi come Maurizio Montagnese e Silvio Fraternali, con uffici a Torino, con un manager milanese e ufficio nel capoluogo lombardo, Massimo Proverbiodi provenienza Accenture. Scendendo nella piramide, sui 18 manager con riferimento diretto al consigliere delegato Carlo Messina almeno 16 sono di stanza all’ombra della Madunina. Insomma, ciò che non era riuscito, si dice per il presidio di Enrico Salza, a Corrado Passera è stato attuato da Messina. Non sono torinesi, ovviamente, né Mauro Micillo, al vertice della divisione corporate e investment oltre che amministratore delegato di Banca Imi, né Stefano Barrese alla guida della Banca dei Territori, ovvero il retail.
Assodato un distacco con Torino da parte della banca, allungato in accordo con il Mefil tempo per il collocamento di parte delle azioni della Compagnia, il Piemonte pare sempre più rivestire il ruolo di spettatore. Magari anche del probabile passaggio dell’attuale presidente di Banca Imi, Gaetano Miccichè (fratello del politico berlusconiano, Gianfranco), al vertice di Cassa Depositi e Prestiti. Rumors, per ora. Ma quanto basta per alimentare voci su una possibile osmosi di dossier tra Intesa, sempre più banca di sistema con un ruolo chiave nei questioni più importanti – da Alitalia alle banche venete, da Telecom a Rizzoli, solo per citarne alcune – e il gruppo controllato per l’82,7% dal governo e che negli anni ha ampliato di molto il suo raggio d’azione. Operazione che andrebbe a configure la Cdp come una sorta di “filiale” esterna di Intesa.
Nel documento della commissione parlamentare di vigilanza sulla CdP, per il gruppo presieduto da Claudio Costamagnasi indica e auspica “un ruolo più incisivo nel finanziamento delle infrastrutture, sia sotto il profilo del coinvolgimento dei promotori e dei finanziatori del settore privato, sia sotto il profilo più generale della promozione dei progetti”, una sorta di nuova Iri attiva nel risanamento aziendale e leva del rilancio produttivo del Paese. Quanto ai vertici, oltre a Costamagna, Matteo Renzi sostiene anche l’ad Fabio Gallia, e una loro riconferma o sostituzione molto, se non tutto, ovviamente dipenderà dall’esito delle elezioni e dal futuro governo.