Summit di Helsinki, rovinato dal clima del Russiagate
Riportiamo l’articolo, a firma di Andrea Magni, pubblicato su “La Nuova Bussola Quotidiana” il 17 luglio 2018
Hanno creato un clima infame. A meno di due giorni dall’inizio del summit di Helsinki fra Vladimir Putin e Donald Trump, venerdì scorso erano stati pubblicati i risultati dell’inchiesta del procuratore speciale Robert Mueller sullo spionaggio russo, parte dell’inchiesta “Russiagate”, su presunte interferenze del Cremlino nel processo elettorale del 2016. Venerdì sono stati incriminati 12 cittadini russi, tutti ufficiali dell’intelligence, per aver trafugato dati dalla Democratic National Convention per rovinare l’immagine di Hillary Clinton. L’indagine è una bomba ad orologeria che è scoppiata al momento giusto (o sbagliato, a seconda dei punti di vista). Con un precedente così, è chiaro che Trump si sarebbe trovato nella condizione di scegliere un atteggiamento ostile e a quel punto sarebbe stato accusato di voler coprire il Russiagate. Oppure un atteggiamento amichevole e a quel punto sarebbe stato accusato ancor di più di collusione col Cremlino. Una volta a Helsinki Trump ha fatto prevalere l’imprenditore che c’è in lui. Ma il risultato, stavolta è stato molto contestato dagli stessi Repubblicani, che per poco non lo accusano di tradimento.
Cosa sappiamo del summit di Helsinki? Poco, al di là della conferenza stampa, nuova pietra dello scandalo. I due presidenti hanno discusso a porte chiuse. La prima cosa che viene rimproverata a Trump, dai diplomatici di professione, è di non essersi portato dietro qualcuno che prendesse nota dei colloqui, probabilmente per paura che qualcosa potesse trapelare alla stampa ed essere usato contro di lui. Al contrario, Putin aveva al seguito chi prendeva appunti. In questo modo, i russi potrebbero in futuro interpretare a modo loro e in modo unilaterale, quel che si è concordato. La questione che gli europei temevano di più, cioè un possibile riconoscimento dell’annessione russa della Crimea, è stata comunque evitata. Lo stesso Vladimir Putin, a domanda, risponde: Trump “continua a ritenere che l’annessione sia illegale”, aggiungendo “il nostro punto di vista è diverso”.
I problemi veri sono arrivati quando le domande dei giornalisti, dalla politica internazionale sono passati alla politica interna. Cioè alla presunta interferenza russa nelle elezioni e quindi anche nella vittoria di Trump. E’ a quel punto che il presidente statunitense, alla domanda “a chi crede”, se all’intelligence degli Stati Uniti che sta conducendo l’indagine o al signor Putin, Trump ha preferito dar ragione a … Putin. Le sue frasi verranno analizzate e rianalizzate migliaia di volte dagli addetti alla comunicazione, ma suonano abbastanza chiare sin da subito. Trump riferisce che Dan Coats, direttore dell’intelligence nazionale sia “venuto da me per dirmi che crede che la Russia sia coinvolta. Putin ritiene che la Russia non sia coinvolta. Io dico questo, non vedo alcuna ragione perché lo sia”. Assoluzione piena per Putin da parte di Trump, dunque? Questo significa sfiduciare i servizi di intelligence, di cui il presidente Usa è a capo? Giusto per scavare un po’ più a fondo nel gelo dell’imbarazzo, Trump ha anche aggiunto che la stessa indagine è “un disastro per il nostro paese” che ha minato le relazioni fra le due potenze.
Il presidente statunitense è stato sicuramente sincero, ha espresso quel che pensa davvero, perché ha detto quel che ha più volte ribadito alla stampa. Anche sulle relazioni Usa-Russia ha dichiarato ancora una volta che la condotta degli Stati Uniti è stata “folle”. E per ribadire il concetto, ha successivamente twittato: “Le nostre relazioni non sono mai state peggiori di quanto lo siano ora. Ciò era vero fino a quattro ore fa”. In pratica: “sono io che ho ricostruito una relazione che altri hanno distrutto”. Va detto, però, che la sincerità del presidente in questo caso cozza contro la sua veste istituzionale. Perché l’intelligence è statunitense ed è di sua responsabilità, i suoi risultati, per quanto sgradevoli, non possono essere posti sullo stesso piano del parere di un presidente di un paese (anche se non “nemico”) rivale. Così come per la politica estera. Nel momento in cui ha sostenuto che “entrambe le parti sono responsabili” del deterioramento delle relazioni, ha lanciato un’accusa anche alla sua stessa politica estera, che dura da due anni.
Inevitabile, dunque, la bordata di fischi da parte dei conservatori. Come Newt Gingrich, che pure è sempre stato molto vicino a Trump: “Il più grave errore nella sua presidenza e deve essere corretto, immediatamente”. Molto più caustico il rivale interno McCain: “La conferenza stampa di oggi a Helsinki è stata una delle più disgraziate performance di un presidente americano a memoria d’uomo”. E anche Paul Ryan, capogruppo repubblicano alla Camera: “Non ci sono dubbi che la Russia ha interferito nelle nostre elezioni e continua a destabilizzare la democrazia, qui come nel resto del mondo. Il presidente deve realizzare la Russia non è un nostro alleato”.
Ma nella sostanza, le relazioni fra Russia e Usa sono migliorate o no? Hanno risolto problemi comuni, quali la Siria prima di tutto e il conflitto ormai cronico in Ucraina? Cosa è cambiato negli accordi nucleari, finora considerati a rischio per lo schieramento di nuove armi russe e l’annuncio di un rilancio nucleare americano? Anche da questo punto di vista, Helsinki è stato un grande flop comunicativo. La politica interna americana ha eclissato del tutto quella internazionale. E così questo sarà ricordato come il vertice in cui “fra Putin e l’intelligence americana, il presidente scelse Putin” e niente altro. I risultati veri saremo costretti a dedurli, strada facendo, osservando eventuali cambiamenti nelle relazioni internazionali.