Partecipate: nessuna svendita
Riportiamo l’articolo, a firma di Stefano Rizzi, pubblicato su “Lo Spiffero” il 12 novembre 2016
Se, come annunciato dal vicepresidente della Regione Piemonte Aldo Reschigna, il 2017 sarà l’anno delle Partecipate – riferendosi alla svolta nel settore il cui sfoltimento delle 67 società era stato uno dei punti prioritari indicati da Sergio Chiamparino al suo insediamento – un anticipo determinante per rispettare i tempi si attuerà già in questi ultimi mesi del 2016.
Entro dicembre le società che operano nel settore della logistica, considerate le più appetibili e strategiche e per questo definite i gioielli di famiglia (rispetto a non poche carabattole già cedute, liquidate o in via di dismissione) finiranno in una sub-holding. Completato questo processo che riguarderà Sito (l’interporto di Orbassano, partecipata al 52,74%), Rivalta Terminal Europa (4,73%), il novarese Cim (30,06%) e forse la stessa Sagat (8%) che gestisce l’aeroporto di Caselle, e ormai avviato il processo di messa in liquidazione del disastrato Eurofidi, sarà possibile passare alla fase che forse più di tutte rappresenta la svolta nella politica delle Partecipate della giunta Chiamparino: la fine di FinPiemonte Partecipazioni.
La società mista a prevalente capitale regionale istituita nel luglio del 2007 non arriverà a festeggiare il decimo anno, o meglio: probabilmente lo farà, ma già ormai in stato di liquidazione. La sua utilità, dopo il riordino e la riduzione delle società tenute in pancia e le scelte della giunta che per molti versi hanno anticipato sia alcune norme delle ultime leggi di stabilità sia le prescrizioni della legge Madia, è ormai ritenuta prossima allo zero. La decisione formale è prevista per l’inizio dell’anno, probabilmente già a gennaio. Prima è, tuttavia, necessario mettere al riparo da eventuali arrembaggi e svendite i gioielli di famiglia, quella logistica che l’assessore Giuseppina De Santis intende, come spiega allo Spiffero “utilizzare attraverso cessioni, che non escludo in futuro possano anche arrivare alla totalità, per rafforzare il sistema economico piemontese. Insomma, vendere per creare sviluppo, attraverso investitori seri, non certo vendere per fare cassa”.
Una prospettiva a breve termine che, proprio per evitare assalti alla diligenza, deve passare per un accorpamento in una holding delle quote regionali presenti nelle varie società, ma autonomamente, di FinPiemonte Partecipazioni. Nulla di diverso rispetto al percorso tracciato all’inizio dell’anno in una riunione, cui ne sarebbero seguite molte altre, tra Chiamparino, De Santis e Fabrizio Gatti, presidente di FinPiemonte spa. Quest’ultima continuerà a giocare un ruolo primario, accentuando quello sul versante finanziario grazie allo status di intermediario vigilato da Banca d’Italia anche e soprattutto dopo la triste fine di Eurofidi. Non è escluso che qualche società di quelle attualmente in capo a FinPiemonte Partecipazioni possa finire nella quasi omonima spa, anche se tolta la logistica, ormai in liquidazioni il grande consorzio fidi, vendute (dopo una tormentata vicenda) le Terme di Acqui, liquidata Ikarus e altre entità minori rimarrà ben poco. E quel che resterà potrà essere partecipato o da FinPiemonte o direttamente dalla Regione.
Regione che, per dirla ancora con le parole della De Santis, “ha dovuto fare un lavoro che nessuna tabella è in grado di mostrare, ma che è stato necessariamente complesso e difficile: avere un quadro completo e chiaro della situazione di ciascuna partecipata per poi fare le scelte”. Nel mezzo poi è capitato (si fa per dire, visto che non è piovuto da cielo) il disastro di Eurofidi “con decisioni dolorose, ma inevitabili”. Un percorso partito non certo a razzo come nei piani di Chiamparino, ma che alla fine ha recuperato terreno, tanto da far dire all’assessore che “alle scadenze imposte dalla Madia fissate a marzo del prossimo anno arriveremo puntuali, magari con qualche anticipo visto che di quella legge si aspettano ancora alcuni decreti attuativi e norme esplicative”.
Sul tavolo delle Partecipate ci sono ancora questioni aperte: una su tutte il dialogo competitivo per il Csi. Oltre mille dipendenti, 110 milioni di affidamenti, il Consorzio informatico che dovrebbe aprire alla cessione al privato di alcuni asset proprio attraverso la procedura avviata nella primavera dello scorso anno con le manifestazioni di interesse di tre grandi gruppi e destinata a concludersi con una gara, dovrà fare i conti anche con la linea che terrà sulla questione il Comune di Torino. In campagna elettorale Chiara Appendino e il M5s hanno sempre sostenuto la loro contrarietà all’ingresso dei privati nel consorzio. Cosa farà il Comune, socio del Csi, ma anche suo grande debitore con un trentina di milioni? Un mese fa, dal primo incontro sul tema tra il governatore e la sindaca, quest’ultima non disse né sì, né no. Alla vigilia dell’anno delle Partecipate l’incognita, per ora, rimane. La scioglierà Chiappendino, o quel che ne resta?