Eurofidi non dà più garanzie conti in rosso per 50 milioni
Riportiamo l’articolo, a firma di Oscar Serra, pubblicato su “Lo Spiffero” il 18 giugno 2016
Il 2016 sarà l’anno in cui la Regione Piemonte dovrà definitivamente prendere una decisione sul futuro di alcune sua aziende partecipate, tenute dall’inizio della legislatura a bagnomaria, nonostante alcune siano ormai decotte da tempo. Una di queste è Eurofidi, che nel 2015 ha totalizzato perdite per 50,5 milioni e ora chiede ai soci (il primo azionista è proprio l’ente di piazza Castello, attraverso Finpiemonte Partecipazioni, con il 19,36% delle quote) una ricapitalizzazione di 35 milioni. Ma per fare cosa? E con quali prospettive? Al momento Sergio Chiamparino non ha nemmeno un interlocutore, dopo che il presidente Stefano Ambrosini ha lasciato l’incarico un mese fa per andare a guidare Veneto Banca.
È stato un anno orribile, il 2015, per la più grande società di confidi italiana. Le garanzie erogate sono passate da 948 milioni a 679, con una contrazione del 28% “i cui impatti – si legge nella relazione – sono risultati significativamente rilevanti nelle corrispondenti componenti di ricavo e di contributi al Fondo Rischi su Garanzie, complessivamente diminuiti di 17,5 milioni”. In forte contrazione anche il numero complessivo delle aziende beneficiarie, che passa da 6.092 a 4.603 (-24%) con un importo medio pari a 147mila euro rispetto ai 156mila dell’anno precedente (-6%). Uno dei principali motivi di sofferenza, sempre secondo quanto riportato nella relazione, è da ricercarsi nella possibilità delle banche di avere un accesso diretto alle garanzie rilasciate dal Fondo Centrale per le aziende di “fascia 1”, cioè le migliori, causando la “disintermediazione” del sistema bancario nei confronti dei Confidi. A ciò si aggiunga che senza un presidente (e per mesi senza direttore generale) anche una serie di scelte strategiche della società sono rimaste congelate. A partire dalla fusione, più volte prospettata anche dallo stesso Ambrosini, con Unionfidi, la “sorella minore” legata a Confindustria.
I vicepresidenti del cda Marco D’Acri e Antonio Piras hanno messo in evidenza “un ripetuto calo dei volumi del core business aziendale” che conferma, in modo preoccupante, un trend negativo che prosegue dal 2012 (-17 milioni), nel 2013 (-27 milioni) e nel 2014 (-7,5 milioni). Per far fronte a una costante contrazione del giro d’affari, i vertici hanno provato a ridurre le spese amministrative che sono passate da 31,8 milioni nel 2013 a 23,5 nel 2015, ma non basta. Gli indici di solvibilità sono scesi a livello inferiore rispetto a quanto stabilito dalle disposizioni di vigilanza: il Total Capital Ratio è passato dal 9,14% all’1,91% con il requisito minimo chiesto da Bankitalia. A fronte di tale situazione ora Finpiemonte, ma in particolare la Regione, dovranno prendere una decisione – che a questo punto risulta urgente – su che fare della propria società di confidi. Il cda chiede un “intervento patrimoniale per 35 milioni” ai suoi principali soci (Regione e banche): in questo modo gli indici di solvibilità tornerebbero entro i parametri stabiliti dalla Banca d’Italia e la società potrebbe continuare a operare. Ma a che pro? Anche perché, se da una parte gli amministratori chiedono di mettere mano al portafoglio, dall’altra sono proprio loro a evidenziare una “rilevante incertezza che può far sorgere dubbi significativi sulla capacità della società di continuare ad operare sulla base del presupposto della continuità aziendale”.