NELLA CITTA’ IMPRESA, GOVERNARE E AMMINISTRARE NON SONO SINONIMI di *Carlo MANACORDA

Proseguendo nell’attuazione dei propri fini statutari, http://www.rinascimentoeuropeo.org/statuto/Statuto.pdf, RINASCIMENTO EUROPEO ha creato, sul proprio sito web www.rinascimentoeuropeo.org, uno spazio interamente destinato a raccogliere scritti e riflessioni su temi d’interesse generale che rientrino nelle finalità dell’Associazione.
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Tempo di elezioni amministrative. Sindaci e Consigli comunali da scegliere. Candidati e alleanze da cercare. Programmi elettorali da predisporre. Per governare o amministrare la città? L’interrogativo merita qualche riflessione.
Linguisticamente, governare e amministrare sono sinonimi. In realtà semplici, si usano, indifferenziatamente, per indicare le modalità di gestione che si praticano. In realtà complesse possono, tuttavia, assumere valori sostanziali diversi. In sintesi, governare significa essere capaci di tenere sotto controllo una pluralità di fenomeni di diversa natura, tuttavia sapendoli calare in linee di programmazione e di gestione definite e finalizzate al conseguimento di obiettivi prestabiliti. Amministrare si riferisce, piuttosto, alla gestione della quotidianità, indipendentemente da visioni d’insieme e prospettiche. Chi si limita ad amministrare, confida che situazioni difficili si risolvano da sole o grazie all’intervento di terzi, e assume decisioni che non creano scontenti o tensioni sociali. La differenza interpretativa si percepisce se, per le circostanze contingenti richiamate all’inizio, proviamo ad applicarla alla gestione di una città.
Sebbene con le loro numerose sfaccettature, le città erano, in anni passati, realtà semplici. Formate da una popolazione prevalentemente omogenea, avevano una vita che si svolgeva seguendo schemi e regole tradizionali. Schemi e regole erano accettati dai cittadini, educati nel rispetto dell’Autorità. Anche l’ordinamento giuridico che reggeva queste realtà era cristallizzato in schemi rimasti immutati nel tempo. Governare e amministrare potevano quindi esprimere, con sinonimia, le modalità della gestione della città.
Negli anni recenti, le città sono diventate realtà sempre più complesse. Processi di varia natura ne hanno mutato gli elementi costitutivi. Fenomeni migratori hanno modificato la composizione degli abitanti, con tensioni nella convivenza e percezioni di insicurezza da parte dei cittadini da tempo residenti sul territorio. Questa situazione ha portato a una crescita della domanda in tema di ordine pubblico. Progressivi invecchiamenti della popolazione hanno ridotto le esigenze della scolarità ma hanno aumentato i bisogni delle categorie più fragili della popolazione. Situazioni di precarizzazione o perdita del lavoro e, in generale, diffusi stati di incertezza economica richiedono interventi di sostegno anche da parte delle amministrazioni locali.
La stessa architettura istituzionale delle città si è modificata. Se n’è ampliata l’organizzazione. Per rendere i servizi pubblici di competenza con maggiore efficienza, nascono le partecipazioni delle città in numerose società. Spesso è la stessa città che, per svolgere suoi ruoli specifici, assume la posizione di azionista unico della società. La città acquisisce, dunque, anche caratteristiche d’impresa. L’ordinamento giuridico delle città disciplina queste evoluzioni. Conseguentemente, l’ordinamento contabile le dota di strumenti assimilabili a quelli vigenti per la gestione delle aziende. E così: Documento unico di programmazione (Dup), quale guida strategica e operativa dell’ente (una sorta di business plan per individuare obiettivi strategici e operativi e definire le risorse dedicabili ad essi). Piano esecutivo di gestione (Peg), per l’affidamento di obiettivi e risorse alla dirigenza (un embrione di budget). Contabilità economico-patrimoniale, per disporre, come nelle imprese, di un quadro completo delle risorse e degli asset e non soltanto dei movimenti finanziari come negli schemi contabili precedenti. Controllo di gestione, con l’utilizzo di mezzi aziendalistici per verificare il raggiungimento dei risultati di essa. Bilancio consolidato, per rappresentare le risultanze gestionali della città e delle partecipate (quasi in una struttura di holding). E così via.
Del tutto evidente che, in presenza di un simile quadro, non sia più sufficiente amministrare la città utilizzando metodologie e strumenti del passato. Anzi, professionalità formatesi in tali contesti e che hanno prodotto risultati spesso insoddisfacenti si palesano inidonee ad applicare gestioni innovative agendo su sistemi complessi. È necessario un rinnovamento, segnatamente nella posizione di vertice dell’organizzazione operativa. In buona sostanza, si richiede un nuovoidentikitdel sindaco. Occorre, cioè, la presenza di sindaci dotati, in primo luogo, di una leadership riconosciuta. In secondo luogo, che possiedano competenze manageriali idonee per coordinare situazioni dalle accentuate articolazioni, competenze magari acquisite in esperienze di conduzione aziendale esterne alla pubblica amministrazione. In altre parole, la funzione di sindaco di una città ― specie se di dimensioni rilevanti ― deve essere svolta da persone che abbiano una visione organicamente proiettata nel futuro e che abbiano già dato prove delle capacità manageriali possedute. E, infatti, le migliori esperienze di gestione di una città si hanno dove il sindaco possiede queste caratteristiche (ad esempio, Marco Bucci, Sindaco di Genova, imprenditore, dirigente d’azienda, e con esperienze maturate anche all’estero).
Leggendo programmi elettorali e curricula dei candidati alla funzione di sindaco si potrà intendere se governeranno o amministreranno la città.
* Carlo Manacorda, economista ed esperto di bilanci pubblici
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Autore: Prof. Carlo Manacorda
Titolo: NELLA CITTA’ IMPRESA, GOVERNARE E AMMINISTRARE NON SONO SINONIMI
Data di pubblicazione: 2 Agosto 2021