La lezione dei Papi. No alle “crociate atlantiche”, sì alla costruzione della pace con il multipolarismo
Riceviamo in Redazione, e riportiamo, l’articolo a firma di Marco Margrita* pubblicato in data 7 Luglio 2022 su “www.strumentipolitici.it“
L’Europa che respira con i suoi due polmoni non si fa soffocare dalla frontiera imposta dagli occidentalisti
“Difendere i valori occidentali”. Larghissima coalizione politico-culturale de facto – o, più realisticamente, massiva coazione a ripetere nel convergere su un refrain – quella tra quanti, più o meno intenzionalmente confondendo i termini Europa e Occidente, indicano questo – mai troppo precisato nelle sue conseguenze – compito quale imperativo categorico; “di civiltà”, si usa sempre aggiungere. Un fronte amplissimo, “inconsapevolmente” coeso, che parte dalla destra neo-con (anche nella declinazione teo, con l’aggravante qui di ridurre il cristianesimo a religione civile occidentalista) e arriva alla sinistra liberal-radicaleggiante (che conosce solo la libertà individualista e i suoi “nuovi diritti”, da far preservare con tecnocrazie stataliste). Un fascio di forze che stiamo vedendo in azione nel supporto a retorica e prassi bellicista rispetto al conflitto russo-ucraino. Presente e attiva nella delegittimazione di ogni lettura che cerchi una comprensione più complessiva.
Europa e Occidente non sono sinonimi
Nella geografia e, conseguentemente, nella geopolitica mainstream esiste una frontiera – di volta in volta definita rigida e invalicabile, seppur assai mobile – tra Occidente e Oriente. Una frontiera che inesorabilmente spacca l’Europa rendendola docile alle colonizzazioni. Un limes che ingloba progressivamente porzioni del Vecchio Continente, di quello che Massimo Cacciari ebbe a ben definire “arcipelago europeo”, nell’Occidente degli occidentalisti.
La “natura oggettiva” della geografia, della geopolitica quindi, tra dichiarata fissità e fluidità di fatto, è d’altronde ben difficile da chiarire (così malleabile alla potenza dell’immaginazione e alla capacità performativa dell’ideologia). Al geografo de “Il Piccolo Principe”, Antoine de Saint-Exupéry mette in bocca la certezza che quelli sua scienza “sono i libri più preziosi fra tutti i libri. Non passano mai di moda. È molto raro che una montagna cambi di posto. È molto raro che un oceano si prosciughi. Noi descriviamo cose eterne”. Sulla sponda estrema si colloca lo scrittore russo Aleksej Ivanov: a un personaggio del romanzo “Il Geografo si è bevuto il mappamondo” fa sostenere che a geografia “basta un attimo ed è già obsoleta”.
Preziosa e pungente voce fuori da ogni coro, riferendosi a quando prodotto dalla guerra tra Russia e Ucraina, lo storico Franco Cardini ha recentemente scritto che “La crisi che stiamo attraversando ha avuto tra i suoi effetti concettualmente più deleteri – a prescindere dalla tragicità delle distruzioni e delle vittime – quello di spingere molti europei verso opposte scelte polarizzanti: l’Atlantico sembra per alcuni essersi ridotto a un rigagnolo, mentre la linea che separa la Repubblica Federale Russa dai paesi ex aderenti all’Urss o collegati al patto di Varsavia, ma che sono entrati nella Ue e quindi automaticamente hanno aderito all’alleanza Nato, si è trasformata in un’impervia, immensa, altissima muraglia. Alcuni europei, che si dichiarano “atlantisti”, sembrano aver addirittura posto da canto autoqualifiche quali quelle di “sovranisti” o di “patrioti” (termini comunque impropri, dato il loro asservimento alla Nato che li subordina alla volontà degli alti comandi statunitensi e della volontà di Washinton) e si autodefiniscono fieramente e decisamente “occidentali”” (Domus Europa, 3 marzo 2022). Nello stesso commento, con un meritevole esercizio di parresia, non si sottrae dal rimarcare che “nonostante il disinvolto entusiasmo con il quale certi leaders politici italiani si sono autodefiniti “occidentali”, i due concetti e le due aree storico-culturali, l’occidentale e l’europea, restano lontani e diversi”.
Europa è polifonia e poliedro, Occidente è polarizzazione manichea (una polarizzazione che ai tempi dell’Iraq tirava forte a destra mentre ora “si porta” più a sinistra). Lo si può sostenere, ci pare, senza dover essere inscritti, mascariati, nel novero dei rosso-bruni. Basta, al contrario, essere tra i mediamente attenti al pensiero degli ultimi Pontefici (mai “cappellani dell’Occidente”).
Quale frontiera per l’Europa?
Qualche mese prima di essere chiamato al Soglio, In un saggio pubblicato su “Vita e Pensiero” (1978, fascicolo unico 4-6, luglio-dicembre), l’allora arcivescovo di Cracovia, il cardinale Karol Wojtyla si chiedeva “Una frontiera per l’Europa: dove?”. In quello scritto, che meriterebbe davvero di essere riscoperto e rimesso a tema della riflessione nel mondo cattolico e non solo, in apertura sostiene che “L’inclinazione a pensare e parlare dell’Europa in dimensioni esclusivamente “occidentali” è una caratteristica degli uomini e degli ambienti che rappresentano proprio questa parte occidentale dell’Europa, e forse non soltanto di essi. Senza dubbio questo modo di pensare e di esprimersi ha le sue ragioni; deriva anche da certi fattori e circostanze oggettivi. Ciononostante, vi è in essi una certa unilateralità, forse anche qualcosa del genere: un certo “malcontento professionale” (se il fatto dell’europeità oppure di essere europeo in senso “occidentale” si può capire come una “professione”).
Colui che diventerà il Pontefice che contribuirà in modo determinante all’abbattimento della Cortina di Ferro, in nome della solidarietà e l’amicizia tra i popoli, chiarisce che “Quando ci poniamo la domanda «Una frontiera per l’Europa: dove?», già con la stessa formulazione di questa domanda lasciamo intendere che tale frontiera dev’essere concepita in modi molteplici, che noi la accettiamo con diversi significati. È giusto; proprio così dev’essere posto tale problema”.
Se si parla della frontiera geografica dell’Europa, per il futuro Giovanni Paolo II, “allora questa è già precisata: corre lungo le montagne degli Urali. A oriente di essi inizia l’enorme continente asiatico, a occidente c’è il molto più piccolo continente europeo, il quale, considerando le proporzioni meramente numeriche espresse in chilometri quadrati, si potrebbe dire una vistosa penisola di questo continente euro-asiatico. Così la frontiera geografica dell’Europa non crea problemi a occidente, a settentrione e a meridione, e neanche a oriente, dove essa sembra più concordata che naturale. Nondimeno la domanda che viene posta qui riguardo alle frontiere dell’Europa è giusta e necessaria. Si tratta, infatti, non soltanto delle frontiere che traccia la terra stessa, ma delle frontiere molto più profonde che si trovano negli uomini stessi”.
Più facile, per Wojtyla, indicare “le frontiere che dividono le società, soprattutto le nazioni, legandole a una determinata parte di territorio, che ha avuto un particolare significato proprio nel continente europeo. Sappiamo allora quali fattori decidono una simile divisione (…) La lingua, la cultura, la storia ci permettono di tracciare la linea lungo la quale corre la frontiera tra la Francia e la Germania oppure tra la Germania e la Polonia”.
Interrogandosi sul fatto che si possa “dire che la frontiera corre nello stesso modo a oriente, dove si trova l’uomo che definiamo “asiatico”, e a occidente, dove c’è l’uomo cosiddetto “europeo”? In quale modo tale frontiera può essere considerata anche “naturale” e in quale modo “concordata”?”, risponde che “Tale frontiera è “naturale” in un grado molto minore che le frontiere tra le nazioni, mentre l’analogia riguardo alle frontiere statali spesso concordate è ancora più lontana. Come si sa, gli sforzi intrapresi al termine della Prima guerra mondiale per stabilire le frontiere politiche tra gli Stati secondo i criteri dell’appartenenza nazionale non hanno superato nel continente europeo le prove della Seconda guerra mondiale”.
Dall’Atlantico agli Urali, l’Europa respiri con i suoi due polmoni
Proprio Giovanni Paolo II, in continuità con quanto abbiamo richiamato, recuperando una formula del peculiare poeta russo Vjaceslav Ivanov, ha sempre indicato all’Europa la necessità – per essere se stessa, cioè portare un contributo specifico alla comunità umana – di “respirare con i suoi due polmoni, l’occidentale e l’orientale”.
Come rilevò il professor Giovanni Barberini, già ordinario di Diritto ecclesiastico e canonico all’Università di Perugia scomparso lo scorso anno, “La visione dell’Europa come continente unico dall’Atlantico agli Urali ha rafforzato la sua rilevanza politica nel magistero di Giovanni Paolo II man mano che il continente con i suoi popoli e i suoi potenziali strumenti di distruzione si è confrontato, specie in tempi più recenti, con il rischio della guerra nucleare e quindi con l’indifferibile esigenza della pace. Dunque, il problema Europa si è saldato con il problema della pace e della guerra. Questo elemento può aiutare a spiegare il carattere ultimativo che è stato possibile cogliere in molti discorsi del pontefice circa l’inderogabilità della riscoperta e del rilancio della comune origine. A parte l’esigenza della ricostruzione di un cristianesimo non più diviso – si è già detto, non di una improponibile nuova Christianitas istituzionalizzata – portatore di valori validi per la vita dell’uomo contemporaneo, balzava con notevole evidenza l’invito rivolto agli europei a superare le innaturali frontiere, la divisione in blocchi o mondi, a considerare nel futuro, a differenza di quanto avvenuto in passato, la guerra come un fenomeno sempre ingiusto, a prendere sempre più coscienza della assurdità della guerra e del fatto che la guerra moderna, sia essa nucleare o convenzionale, è totalmente inaccettabile come mezzo idoneo a risolvere le controversie e le stesse ingiustizie e discriminazioni”(Stato, Chiese e pluralismo confessionale – Rivista telematica (www.statoechiese.it), n. 34/2014 – 3 novembre 2014).
In questo contesto di pensiero e di azione, sempre nell’impossibilità di fare del cristianesimo una strumentale declinazione religiosa dell’occidentalismo, un cristianismo cioè, va letta la profetica opposizione del Papa polacco alle due Guerre del Golfo della famiglia Bush.
Benedetto XVI e il superamento con “sana laicità” del cesaropapismo
Il polmone orientale della “nostra patria Europa” è certo minato, va detto con schiettezza, come in particolare papa Ratzinger ha spesso puntualmente sottolineato, dall’eccessiva sovrapposizione tra Stato e Chiesa. Benedetto XVI, a tal proposito, ebbe a dire nel suo intervento al Senato italiano, il 13 maggio 2004, “Tra le due Europe, pur in mezzo alla comunanza dell’essenziale eredità ecclesiale, c’è tuttavia ancora una profonda differenza, alla cui importanza ha accennato specialmente Endre von Ivanka: a Bisanzio (ma vale anche per la Mosca letta come Terza Roma, ndr)Impero e Chiesa appaiono quasi identificati l’uno con l’altro”. Ciò non toglie, però, che “Certamente ci sono anche sufficienti elementi unificanti, che possono fare dei due mondi un unico, comune continente: in primo luogo la comune eredità della Bibbia e della Chiesa antica, la quale del resto in entrambi i mondi rinvia aldilà di se stessa verso un’origine che ora giace al di fuori dell’Europa, e cioè in Palestina; inoltre la stessa comune idea di Impero, la comune comprensione di fondo della Chiesa e quindi anche la comunanza delle fondamentali idee del diritto e degli strumenti giuridici; infine io menzionerei anche il monachesimo, che nei grandi sommovimenti della storia è rimasto l’essenziale portatore non solamente della continuità culturale, bensì soprattutto dei fondamentali valori religiosi e morali, degli orientamenti ultimi dell’uomo, e in quanto forza pre-politica e sovra-politica divenne portatore delle sempre nuovamente necessarie rinascite”. Il rinvio “verso un’origine che ora giace al di fuori dell’Europa, e cioè in Palestina” è esattamente la pietra d’inciampo a ogni riduzionismo occidentalista, di marca neo-con o catto-dem relativista poco importa, dell’Avvenimento e dell’esperienza cristiana (del suo permanere nella storia nella realtà della Chiesa).
Papa Francesco vede un’Europa argine agli “imperi sconosciuti” e conferma che la Chiesa cattolica non è la cappellania dell’Occidente
“Mantenere viva la democrazia in Europa richiede di evitare tante ‘manie globalizzanti’ di diluire la realtà: purismi angelici, i totalitarismi del relativo, i fondamentalismi astorici, gli eticismi senza bontà, gli intellettualismi senza sapienza”. Evitando, soprattutto, che la democrazia “forza espressiva dei popoli”, “sia rimossa davanti alla pressione di interessi multinazionali non universali che le indeboliscano e le trasformino in sistemi uniformanti di potere finanziario al servizio di imperi sconosciuti”. Papa Francesco parlando agli eurodeputati a Strasburgo, il 25 novembre 2014, in un discorso che meriterebbe di essere ripreso e rimeditato con attenzione in queste temperie, ha indicato in un’Europa consapevolmente “unita nelle diversità” quale possibile argine all’omologazione. Quell’omologazione che è grande tentazione-obiettivo dell’ideologia occidentalista. A cui creativamente opporre “Il sogno di un nuovo umanesimo europeo è animato dal respiro creativo e armonico di questi due polmoni e dalla comune civiltà che trova nel cristianesimo le sue radici più solide”, come lo stesso Pontefice ha ricordato ai vescovi polacchi in occasione del suo viaggio apostolico nella terra d’origine di San Giovanni Paolo II in occasione della Giornata Mondiale della Gioventù 2016, proprio esplicitamente ricollegando al magistero del suo venerato predecessore che “amava parlare dell’Europa che respira con i suoi due polmoni”.
Una visione certamente diversa dai desiderata statunitensi, verso questo e i precedenti Papi, che lo scrittore e analista statunitense Victor Gaetan, nel suo “God’s Diplomats”, riassume nella formula “Ciò che il governo USA vuole dal Sommo Pontefice è qualcos’altro: uno yes-man”. Il Papato ridotto, insomma, a cappellania dell’Occidente. Come evidenzia Gianni Valente, in un recente post sul blog Senza Mandato, riferendosi al volume in rapporto al volere dei meri benedicenti delle “crociata atlantiche”, proprio il volume “attesta fin dalle prime pagine quanto il potere nordatlantico abbia sempre avuto come obiettivo costante nei rapporti con la Santa Sede l’allineamento papale e vaticano alle proprie linee strategiche, anche quando esse imboccano la via della soluzione dei problemi per via militare. La storia degli ultimi decenni, ripercorsa anche nello studio di Victor Gaetan, attesta che il trattamento riservato al Papa da circoli e apparati d’Occidente risponde a riflessi condizionati conosciuti da tempo. Non è una questione personale. Non c’entrano gli orientamenti individuali del Papa regnante”.
Non farsi soffocare dalla frontiera imposta dagli occidentalisti
L’Europa che respira a due polmoni, che la Chiesa non si stanchi di indicare come una realtà praticabile dando futuro alla sua vera storia, invece, non può che essere in ricerca della pace nel mondo accogliendo una prospettiva multipolare. Non si fa soffocare, insomma, dalla frontiera imposta dagli occidentalisti. Il “caso serio” è proprio questo. Papale papale, verrebbe da aggiungere.
* Marco Margrita, classe 1977, giornalista e consulente nel settore della comunicazione. Direttore del settimanale “Il nuovo Monviso” e di “2006più Magazine” (voce del gruppo Dai Impresa). Dirige la comunicazione di Echos Group. Collabora con diverse testate nazionali (tra cui Tempi) e locali. Ha lavorato per Pubbliche Amministrazioni, realtà d’impresa e del Terzo settore. Presidente regionale piemontese e componente dell’Esecutivo nazionale del Mcl – Movimento Cristiano Lavoratori. Consigliere d’amministrazione della Fondazione Italiana Europa Popolare e Componente del Comitato Scientifico della Fondazione De Gasperi. Co-autore, con Giorgio Merlo, del libro “I Granata” (Daniela Piazza Editore)
[Fonte: https://strumentipolitici.it/la-lezione-dei-papi-no-alle-crociate-atlantiche-si-alla-costruzione-della-pace-con-il-multipolarismo/]