Jihadista in casa, un bastardo con la faccia da bambino
Riportiamo l’articolo pubblicato su “Lo Spiffero” il 25 aprile 2017
“Che Dio lo maledica. Noi gli abbiamo dato un tetto, un letto. E lui ci ha traditi”. Margherita, 66 anni, la donna che insieme al figlio venticinquenne ha ospitato nel suo alloggio di Barriera di Milano Mouner El Aoual, il marocchino arrestato ieri per terrorismo, si sente tradita. “Dormiva fuori dalla moschea e non aveva da mangiare, lo abbiamo accolto in casa. Per me era come un figlio”, racconta all’Ansa. “Se c’è un problema parliamone, gli dicevo. E lui ci ha traditi”.
Una vita insospettabile, “aveva il viso di un bambino”, aggiunge. Ma il 29enne maghrebino, secondo carabinieri e magistrati, è di un’altra pasta: i suoi amici di internet, legati a lui dalla comune passione per l’Isis e la guerra santa, gli chiedevano di preparare manuali su come confezionare bombe per massacrare gli infedeli, ne ascoltavano i consigli, lo chiamavano Sheikh, sceicco, ovvero persona degna di massimo rispetto. Un personaggio misterioso, Mouner El Aoual, alias Mido, alias Ibndawla per i frequentatori della chat “Il Califfato dello Stato islamico”.
Ieri è finito in manette a Torino per associazione con finalità di terrorismo e istigazione a delinquere aggravata. “Un ragazzo educato e gentile”, testimoniano i vicini. “Un soggetto – sottolinea il gip Edmondo Pio nell’ordinanza di custodia – capace di vivere in assoluta clandestinità, muovendosi e comunicando senza lasciare alcuna traccia di sé”. Per nove anni. Tanto il tempo in cui è stato ospite di un’ignara famiglia italiana, tenendo tutto nascosto. Anche un provvedimento di espulsione emesso nei suoi confronti dalla questura di Trieste nel 2012. A Torino, Mido aveva “conquistato la fiducia di una famiglia” composta da una donna, due volte vedova, e di un venticinquenne che lavora come barista. “Dormiva fuori dalla moschea e non aveva da mangiare – racconta Margherita -. Mio figlio si è intenerito e lo ha portato con noi. Gli avevo arredato una camera e mi ero sistemata a dormire sul divano. Mi chiamava mamma, mi ha aiutato nel trasloco, mi faceva la spesa, portava fuori il cane”. Ma la sua attività principale, secondo gli inquirenti, era attaccarsi al computer, connettersi a una chat ricavata dalla piattaforma Zello e, dopo essersi autoproclamato “portavoce ufficiale dello Stato Islamico”, discutere, pubblicare notiziari sul conflitto nello Sham, applaudire i gravi fatti di sangue in Ohio, Francia, Germania, augurarsi che i nemici vengano uccisi “come branchi di mucche”.
“Che Dio lo maledica”, dice ora Margherita, che insieme al figlio è risultata all’oscuro di tutto. Su Mido i carabinieri del Ros indagavano dai primi mesi del 2016: avevano trovato un profilo Facebook intestato a un tale “Salah deen” molto “radicalizzato in senso islamista”. A settembre, monitorando la piattaforma Zello, l’Fbi scovò Ibndawla, riconducibile a un’utenza torinese, e informò le autorità italiane.
Di terrorismo, intanto, ha parlato oggi il ministro dell’Interno Marco Minniti. La risposta a questa minaccia, ha detto, “deve essere all’altezza di prevedere l’imprevedibile. C’è bisogno di più intelligence, prevenzione e capacità di indagine”. Ma, spiega il responsabile del Viminale, “se vogliamo prevedere l’imprevedibile l’unica cosa che si può fare è avere il controllo assoluto del territorio. Parola antica ma punto cruciale”.