IL PUNTO n. 988 di Marco Zacchera del 14 febbraio 2025

Riceviamo in Redazione, e condividiamo “Il Punto” di Marco Zacchera del 14/02/2025, disponibile su www.marcozacchera.it
BUONA NOTIZIA: DOMANI FINISCE SANREMO
Finalmente una buona notizia: domani sera finisce il festival di Sanremo, edizione 2025.
Un festival con poche polemiche meno indecente del solito, ma il mondo può essere in pace o in guerra e comunque l’Italia (dicono) si ferma incantata davanti a uno spettacolo di cui si parla in ogni luogo ed occasione da settimane e mesi. Il dopo festival ci porterà ad un mesetto di polemiche e commenti finali, poi verso Pasqua cominceranno le “anticipazioni” della prossima edizione.
Ci tocca, non c’è nulla da fare: la RAI è riuscita a trasformare un festival canoro in un evento che è tra il business e l’incubo, decisamente asfissiante. Mi chiedo spesso se alla fine siano più beoti quelli che corrono dietro agli “influencer” per scegliere gli acquisti o le vacanze a Roccaraso oppure il teleascoltatore medio che si lascia incantare dal quasi-nulla che va in scena in Riviera.
Dubbio amletico, mamma RAI ci penserà.
PAGARE PER IL CONSENSO
Quanti hanno saputo che a fine 2023, in vista delle elezioni europee, i vertici dell’ Unione Europea e segnatamente Roberta Metsola e Ursula Von der Leyen avrebbero speso ben 132,8 MILIONI di Euro (delibera Comm/Dg/Fmw/2023/30) per pagare stampa e TV perché si parlasse bene di loro in vista del voto? Il tutto violando le norme comunitarie e facendolo tramite la agenzia di comunicazioni Havas Media France. Lo scandalo è uscito nei giorni scorsi, ma per ora la magistratura europea tace, come sempre.
UCRAINA: CHI GUADAGNA DALLA GUERRA
Avete presente Jens Stoltenberg, il mitico norvegese ex segretario generale della NATO, quel tizio con gli occhialini e il piglio da duro che per due anni e mezzo ha quotidianamente scaldato i cuori occidentali, tutto infervorato per la guerra in Ucraina sottolineando la assoluta necessità di fornirle nuovi armamenti e mettere altre più dure sanzioni alla Russia, specialmente in campo energetico perché – diceva – “La libertà non ha prezzo!”
Mr. Stoltenberg è ora il nuovo Ministro delle Finanze della Norvegia paese che – guarda che combinazione – ha le più vaste riserve di petrolio e gas naturale del continente dopo la Russia e che ha contribuito a compensare parte del crollo delle forniture di Putin a quest’Europa assetata di energia. Altruismo? Non solo visto che se il costo del gas sale sul mercato internazionale chi lo vende ci guadagna e la Norvegia in questi tre anni di guerra di profitti energetici ne ha lucrati, eccome, perché man mano che forzatamente diminuiva la quota di gas russo serviva quello “alternativo”, in primis quello norvegese che in Europa è quasi a portata di mano.
Se fra il 2021 e l’anno scorso gli acquisti di metano scandinavo sono infatti cresciuti, come volume, solo del 5,8% totale (questo secondo la banca dati del Centro studi Bruegel di Bruxelles) il costo di quel gas sul mercato è letteralmente esploso. Siamo passati da una media di 15,9 miliardi di euro di fatturato all’anno (periodo 2016-2020) a un incasso di 74,3 miliardi di euro in media all’anno (tre volte la £finanziaria italiana per un paese che ha un decimo degli abitanti dell’Italia) .
E non c’è poi solo il gas, ma anche il petrolio. La “Equinor” è la società che in Norvegia ha il monopolio del settore ed è controllata per il 67% dallo Stato. Nel quinquennio precedente alla guerra in Ucraina la società ha pagato al governo norvegese 7,2 miliardi per imposte e dividendi, mentre l’anno scorso le imposte sul reddito sono schizzate a 31 miliardi, con 6,1 miliardi di dollari di dividendi, su quasi 10 miliardi di profitti totali.
Insomma, la Norvegia ha guadagnato davvero bene dall’aggressione russa in Ucraina e se per qualche trattativa fosse improvvisamente scoppiata la pace, addio guadagni. Quindi l’aggressione di Putin ha almeno fatto felice qualcuno – oltre ai fabbricanti e venditori di armi – ed è ben curioso che a capo della NATO ci fosse proprio l’esponente di un paese che dalla guerra ha guadagnato più di tutti.
Peccato poi che la Norvegia dopo aver guadagnato più di 100 miliardi “netti” ne abbia poi destinati in aiuti all’Ucraina – e questo dato è del Kiel Institute for International Economics – solo 3,5 miliardi, davvero miseri spiccioli rispetto ai lauti profitti.
In ogni paese essere il Ministro delle Finanze – chiedete a Giorgetti – è un mestiere infame, stretti tra spese obbligatorie e pregresse, limiti europei, indici di indebitamento da rispettare… Beato Stoltenberg che da ministro di problemi ne avrà invece molto meno visto che, numeri alla mano, ogni norvegese ha guadagnato dalla guerra in Ucraina oltre 20.000 dollari a testa. Insomma, la guerra è un ottimo investimento finchè dura, quindi … facciamolo durare!
PS ma tutto ciò non configura un gigantesco conflitto di interessi, almeno moralmente?
(EX) ALBERI
Vedo con sgomento lo sfregio ambientale che avviene lungo le strade dove, interpretando male una norma del codice, si tagliano “a raso” migliaia di alberi invocando ragioni di sicurezza. In zone montane come le nostre significa uccidere i boschi, sfregiarli, aprire ferite che non si rimarginano facendolo nel modo più stupido possibile. Basterebbe un po’ di logica nel tagliare solo gli alberi effettivamente pericolosi, cimarli, metterli in sicurezza e non spianarli rovinando tutto.
Lo stesso lungo le autostrade dove – ferme restando logici criteri di sicurezza e visibilità – è del inutile trasformare in spoglie praterie quello che erano i boschi – piantati o spontanei -circostanti gli svincoli, le piazzole, le rampe di accesso. Perché subito dopo, raccolto il legno di pregio, tutto viene lasciato lì a coprirsi di rovi, innesco per incendi e agevolando le invasioni delle specie alloctone.
Una bruttura incredibile, una sofferenza a dimostrare come chissà perché l’ecologismo demagogico poi si dimentica, sembra, della natura circostante che va protetta e non sfregiata. Che dicono i “carabinieri forestali” assistendo silenti allo scempio? non ci sono chiare responsabilità comunali e provinciali assegnando gli appalti per tagliare in questo modo? Quali agronomi firmano lo scempio? Tutto tace, queste cose sembrano non interessare nessuno.
PS: Sabato scorso a Belgirate un interessante convegno del WWF ha mostrato immagini eloquenti, dolorose. Mi auguro che seguano denunce anche all’autorità giudiziaria perché non si può assistere passivamente alla distruzione in atto e che non accenna a fermarsi.
10 FEBBRAIO: IL RICORDO “SOFFERTO”
Venerdì 21 febbraio a Turbigo (MI) alle 21 nella “Sala delle vetrate” terrò, su invito del “Comitato 10 febbraio”, una conferenza sulla storia del sofferto ritorno di Trieste all’Italia (1945-1954)
Anche quest’anno la “Giornata del Ricordo” del 10 febbraio per molti è stata ancora una ricorrenza, scomoda e “sopportata” forse perché troppi, a sinistra, la vedono come un pericoloso intralcio alla vulgata della Resistenza sempre letta in chiave eroica e liberatrice.
Per decenni quanto successe dal 1943 in Dalmazia, Istria e in Venezia Giulia è stato un ricordo rimosso pur di non dover ammettere le troppe nefandezze che gravano sulla coscienza (e la responsabilità) di un certo modo di intendere la “liberazione”. Questo perché la verità storica che nei decenni è pian piano emersa dall’oblio ha raccontato di una lunga serie di eccidi per mano dei partigiani jugoslavi non solo verso i “fascisti” ma i civili, i sacerdoti, chiunque fosse italiano.
Purtroppo tra di loro ad uccidere vi furono anche molti partigiani comunisti italiani, alcuni dei quali – va allo stesso modo ricordato – con altri antifascisti quando si accorsero di quanto stava accadendo si ribellarono e finirono “infoibati”, uccisi anche loro per il solo torto di essere e difende altri italiani.
Sullo sfondo quelle migliaia di morti che scomparvero nel nulla, ma anche dal ricordo collettivo come fossero mai esistiti, dimenticati. Così come per almeno un trentennio furono volutamente ghettizzati e dispersi oltre 300.000 profughi giuliani e dalmati costretti a scappare lasciando tutto pur di rifugiarsi in Italia dove spesso si ritrovarono poi profughi in patria, odiati, emarginati, reietti.
Tante, troppe le pagine dimenticate: i giorni della “liberazione” di Trieste con circa 4.000 persone uccise o scomparse, eccidi permessi dalla vergognosa capitolazione degli alleati davanti ai titini nel 1945, la repressione anti-italiana di un decennio, i morti per strada ancora nel 1954 finché, finalmente, almeno Trieste tornò ad essere italiana,
Un incubo, riassunto da migliaia di testimonianze, dai numeri, dalla tragica realtà di quegli anni che uscì dall’oblio grazie al presidente Ciampi e di una legge – quella del “Giorno del Ricordo” – fortemente voluta da un deputato di Alleanza Nazionale di Trieste, Roberto Menia, votata poi da tutti noi tranne che da Rifondazione comunista ed un manipolo di comunisti ultrà. Una riparazione tardiva, ma che almeno ha dato una voce alle migliaia di morti dimenticati anche perché la vergogna è poi continuata negli anni, per esempio firmando nel 1975 il trattato di Osimo con la Jugoslavia (che si sarebbe dissolta poco dopo) con i quali le ultime speranza ed i diritti della comunità italiana nella zona B (ovvero soprattutto in Istria) furono negati per sempre.
Non solo, neppure quel trattato è stato rispettato perché Slovenia e Croazia non lo hanno direttamente sottoscritto e quindi neppure formalmente riconosciuto. Se oggi in Italia, nelle zone al confine con la Slovenia, il bilinguismo è un fatto riconosciuto e tutelato, basta che recarsi a Pola o a Capodistria per non trovare più nulla di italiano, né un toponimo né un ricordo, né sono arrivati gli indennizzi agli italiani costretti a fuggire cui sono stati rubati case e terreni.
Chi va in vacanza in Dalmazia neppure sa quello che lì hanno sofferto le genti italiane, nessuno ricorda che a Pola dei 32.000 residenti fuggirono in 28.000 prima e dopo il 1947, quando gli alleati imposero un confine assurdo che divideva le case, le piazze, i cimiteri. La Jugoslavia ebbe quasi tutto, l’Italia solo le briciole e comunque ci vollero altri dieci anni e tanti altri morti perché almeno Trieste, pur mutilata nel suo territorio e circondata dalla Slovenia, fosse riammessa alla madrepatria. Ecco perché il “Giorno del ricordo” ha almeno fatto un po’ di giustizia, di memoria, anche se ancora questo passato tragico non è condiviso e lo si è visto ancora pochi giorni fa profanando il monumento alla foiba di Basovizza, dove i corpi dei cadaveri straziati si contarono a metri cubi e non a numero, nell’impossibilità di identificare perfino i poveri resti degli italiani “infoibati”.
[Fonte: https://www.marcozacchera.it/]