IL PUNTO n.972 di Marco Zacchera
Riceviamo in Redazione, e riportiamo, la newsletter “Il Punto“, di Marco Zacchera del 19 ottobre 2024.
UN’ AMERICA IN DECLINO
A qualcuno potrà sembrare strano, ma la prima impressione sbarcando a New York è la conferma di un paese in declino, arretrato, vecchio.
Vecchie le procedure di ingresso, l’aeroporto, i vagoni della metro, i ponti delle ferrovie, le corsie delle autostrade ormai sottodimensionate rispetto alle necessità.
Vecchia la gente, i quartieri sporchi con troppi “modelli Scampia”, il degrado che attanaglia la metropoli. Certamente Manhattan e i quartieri bene delle villette unifamiliari con giardino non sono così, ma è per sottolineare come gli USA non sembrano più quel modello vincente di sviluppo e di integrazione che era l’America di quando, da ragazzi, sbarcavamo dal volo transoceanico con gli occhi spalancati e tutto ci appariva grandioso.
Fu nella Grande Mela che nel 1985 vidi il mio primo computer operativo alla reception dello Sheraton in 7a Avenue, con i taxi gialli che sembrano immensi con quei cofani ed i bagagliai enormi rispetto alle nostre microscopiche auto europee.
A parte che oggi un taxista di origini nord americane è impossibile trovarlo, che lo spagnolo ha conquistato anche il nord-est ed ha imposto tutti i cartelli bilingue, per trovare qualcosa di americano doc che non sia cambiato devi annusare l’aria che esce dai condotti della metropolitana o alzare gli occhi al cielo chiuso tra i palazzi che erano una unicità di New York e oggi però sono dovunque. Ma è comunque cambiata la gente che è ormai un miscuglio incredibile di razze, in cui i WASP (bianchi anglosassoni protestanti) sembrano una piccola minoranza. Ti circonda piuttosto una folla sformata dall’obesità con epidermidi di tutte le gradazioni e vestita nei modi più trash, mentre ascolti lingue di tutto il mondo.
Detto questo, ovvero sparate fuori le negatività della prima impressione, ritrovi poi la città multietnica e caotica di sempre con il suo richiamo particolare e cuore di una società che attende sconcertata più che preoccupata il 5 novembre. Uno dei problemi sul tappeto è però proprio quello dell’arretratezza tecnologica ed infrastrutturale con cui viene a confrontarsi un’America che in questo sta anche peggio di noi.
Un tema importante, dibattuto, che non è “colpa” di questo o quel presidente ma forse di una intera comunità che ha dato per scontato di essere per sempre al centro e alla guida del mondo e che invece (come noi) rischia di ritrovarsi ai margini.
Ho negli occhi visite recenti a Singapore, a Bangkok, in Cina…non c’è paragone: il futuro è laggiù in Asia, non qui.
A cascata crescono così le insicurezze, i dubbi, le accuse reciproche tra due candidati alla presidenza che non convincono nessuno a parte i rispettivi aficionados e con l’impressione, subito rafforzata, che se i repubblicani avessero messo in campo qualsiasi altro candidato minimamente credibile avrebbero vinto alla grande e invece rischiano di perdere vista l’antipatia che Trump ha profuso per anni a piene mani.
Tanto per essere chiari: vinceranno i democratici solo se i loro elettori (che in buona parte non amano la Harris) andranno comunque a votare in termini anti-Trump, altrimenti la partita è persa e la minoranza rumorosa dei trumpiani conquisterà una vittoria nata soprattutto sulle incapacità altrui. In Tv correvano in questi giorni le immagini del tornado in Florida e il governatore Ron De Santis era a tutti i TG: ecco un repubblicano che probabilmente avrebbe vinto facile.
Ma torniamo a questi States che hanno perso il loro slancio, un aspetto evidente soprattutto vedendo chi sono i nuovi americani.
Oggi le tendenze transgender, l’esasperato “mea culpa” razziale, tutte le ipocrisie che stanno attaccate a larghe componenti del mondo vicino ai democratici stanno esplodendo (con un conseguente cedimento verso Trump di molti indipendenti) proprio perchè il nuovo “deal” americano non è più quello dei suoi cittadini originali, ma di nuove ondate immigratorie che stanno condizionando il paese. Sono gli indiani (dell’India) a pullulare, i caraibici, i sudamericani e non più quegli italiani o irlandesi che arrivavano poveri ed ignoranti, ma con il passaporto in mano e decisi a conquistarsi con volontà uno spazio e una pagnotta, ma soprattutto di sistemare i figli nella nuova patria americana.
Questa più recente ondata immigratoria non solo è molto più massiccia ma conserva tutti i contatti con i paesi d’origine e non solo la nostalgia degli spaghetti al pomodoro. Gli immigrati europei avevano comunque molte cose in comune con gli americani, queste nuovi venuti invece hanno (e mantengono) costumi, religioni, culture (e non solo cucine) profondamente diverse e variegate…e sono tantissimi.
Restano collegati al villaggio di partenza che è comunque raggiungibile 24 ore al giorno via whatsapp, non si chiudono così i legami di quando una lettera ci metteva magari un mese ad arrivare e, a casa, spesso era letta prima dal parroco. I nuovi arrivati degli ultimi decenni si sopportano, ma quando diventano regolari (dopo molti sacrifici) sono i più grandi nemici di chi viene dopo di loro: una concorrenza che nasce dal bisogno, dalla paura, dall’insicurezza in una società dove a parte pochissimi il grosso non sta vivendo molto bene, stretto in una crisi economica e un’inflazione che è palpabile per chi manca da un po’ di tempo.
Aspetti che esplodono soprattutto in una campagna elettorale dove non votano gli ultimi arrivati ma i penultimi e che – secondo i sondaggi – sono con Trump, il che appare davvero un paradosso.
ALBANIA
Trovo giusta l’iniziativa per effettuare in Albania una preventiva verifica di chi arriva in Italia in modo irregolare o clandestino. Non capisco le critiche della sinistra se si offre comunque un’ospitalità decorosa ma nello stesso tempo cercando di contenere i flussi migratori tagliando le unghie ai trafficanti umani. Vediamo se il tentativo funzionerà, intanto sarà sicuramente un deterrente agli immigrati “economici” ovvero per chi non ha titolo per chiedere asilo politico od umanitario senza averne i requisiti e che sparisce appena sbarcato ritrovandosi poi nella più assoluta illegalità e quindi più debolenel difendere i propri diritti.
UN PAESE NORMALE?
Ma vi sembra normale che ad un anno e mezzo dalla morte del protagonista Silvio Berlusconi (assolto nel processo di primo grado per questa vicenda) la Cassazione abbia deciso la riapertura del processo “Ruby Ter” come richiesto dalla Procura di Milano per la piccante vicenda delle “olgettine” di 15 anni fa e che quindi il processo ripartirà da capo? Ma alla procura di Milano non hanno altro da fare? Tutto funziona così bene da non avere fascicoli arretrati e quindi ci si debba occupare in eterno di queste cose anche dopo la morte del “reo”? Insomma: siamo un paese normale?
Approfondimento: ECONOMIA SPICCIOLA
In Italia poca gente segue le cronache economiche, pochi capiscono i ragionamenti degli economisti e i commenti in TV spesso confusi.
Quando si sente parlare di tassi, spread e mille altri termini inglesi (che hanno i loro perfetti sinonimi in italiano, ma dirli in inglese fa molto figo) si resta incerti e si cambia canale.
Tutti, però, soprattutto quando in autunno si parla di legge finanziaria, ci accorgiamo che qualcosa non quadra e ci sembra di vivere sotto una “cupola” finanziaria che ci controlla la vita, organizza il mondo (almeno quello occidentale e soprattutto quello europeo) e fissa i prezzi di tutto, dai farmaci all’energia, dal costo del mutuo al futuro dei nostri risparmi.
Perché non c’è più l’ “Europa dei Popoli” e neppure dei cittadini, ma vince “l’Europa dei banchieri” alla quale anche i capi di stato e di governo devono adeguarsi e rendere omaggio perché altrimenti, se criticano troppo il “giro”, finiscono prontamente a fondo e con loro i rispettivi paesi “ricattati” dai media che sono in mano alle banche a loro volta controllano finanziariamente i loro editori.
Nel gioco sottile della moneta unica (che ha avuto anche grandi vantaggi di stabilizzazione, non dobbiamo dimenticarcelo) già per cominciare chi a suo tempo ha dato le carte (era il tempo dell’Italia di Prodi) ha valutato poca cosa la nostra lira al momento del concambio in Euro, ma d’altronde eravamo con le pezze sul sedere.
Di fatto l’Italia “conta” circa il 14% dell’Europa, ma molto meno in campo finanziario sia perché ci viene continuamente ripetuto che siamo debitori quasi insolventi e che in buona sostanza facciamo debiti nuovi per coprire quelli vecchi.
La lunga premessa è per sottolineare come sia ben difficile contestare da posizioni di forza le scelte della Banca Centrale Europea che nel suo sito sostiene che “il suo compito principale è mantenere la stabilità dei prezzi, favorendo in tal modo la crescita e l’occupazione.”
Per esempio il mese scorso la BCE ha ridotto gli interessi dello 0.25% per “raffreddare” il costo del denaro, ridurre l’inflazione e rilanciare così teoricamente l’economia.
Perché l’inflazione che cinque anni fa era nulla è schizzata di colpo e come mai i mutui costano comunque ben più cari di allora? Una delle risposte si chiama guerra in Ucraina, con l’Europa che si è auto-evirata non volendo più avere rapporti e forniture energetiche ufficiali con la Russia nel momento in cui – causa COVID – vi era già una situazione di deficit e generale estrema debolezza economica.
Salendo l’inflazione (che non era dovuta a carenza di beni sul mercato, ma ai maggiori costi per produrli, è un aspetto molto importante) la politica BCE è stata di aumentare velocemente i tassi, copiando l’esempio della FED americana. Di colpo così le banche – che continuavano e hanno continuato a pagare poco o niente per interessi ai propri clienti sulle somme depositate – hanno potuto così far schizzar il costo dei soldi prestati (che erano però sempre dei clienti) guadagnando loro (e non i clienti) somme favolose.
Un bengodi, ma mettendo in crisi le imprese e le famiglie che avevano fatto investimenti e che con l’aumento dei tassi non erano più in grado di pagare i debiti, di qui anche la crisi europea e tedesca in particolare.
Calati i consumi perché c’era poco da spendere è scesa l’inflazione che ora è più o meno tornata ai valori di cinque anni fa. Uno si aspetterebbe che di conseguenza anche i tassi bancari fossero scesi al livello di allora e invece no: i tassi sono scesi in modo solo millimetrico permettendo alle stesse banche di continuare però a godere in buona parte di quegli extraprofitti mentre le imprese produttive soffrono la crisi e non possono investire.
L’anno scorso il governo Meloni propose una cosa semplice ma secondo me corretta: tassare questi mega-profitti sui quali le banche non avevano alcun merito operativo, ma la proposta è finita in nulla per il ricatto subito messo in campo dalla grande finanza: “Fammi pagare di più e io ti taglio le gambe con l’informazione che controllo” con la BCE – che è la banca delle banche – che non vuole togliere le uova d’oro dal nido dei propri soci-clienti.
Con un indice di inflazione che oggi è meno del 2% il tasso minimo applicato su un prestito va ancora comunque ben oltre il 5% con punte molto più elevate per il famigerato “prestito al consumo” proposto da banche e finanziarie-strozzine varie ai poveri cristi, spesso ben oltre il 15%. Una vergogna, ma che non impressiona più di tanto la BCE.
Eppure – se i tassi fossero tornati a livelli 2020 – a guadagnarci non sarebbero stati solo le aziende che avrebbero potuto così nuovamente investire, ma gli stessi governi perché la riduzione del costo del denaro sul debito pubblico pregresso farebbe risparmiare somme enormi all’ Italia, soldi dirottabili a chieder meno fondi a prestito oppure a finalmente ridurre le tasse o ad aumentare gli interventi e/o la spesa sociale.
Ma nonostante le chiacchiere (piano Draghi) si preferisce far guadagnare somme folli a banche, colossi farmaceutici, petrolieri ecc.ecc. Brutta faccenda…
[Fonte: https://www.marcozacchera.it/]