Il collasso
Riceviamo in Redazione e riportiamo l’articolo, a firma di Marcello Veneziani, pubblicato sulla rivista “Formiche”, gennaio 2019
Dall’anno che verrà ci aspettiamo più rassicurazioni che cambiamenti. È una strana sensazione ma entriamo nel nuovo anno quasi estenuati dalle troppe novità dell’anno che lasciamo alle spalle. Sentiamo il bisogno di una prospettiva di stabilità o comunque di minore incertezza. Ballano troppe riforme, troppi strappi, troppe incognite sul nostro futuro.
Nel giro di pochi anni abbiamo visto e consumato tante leadership che sembravano destinate a durare: agli inizi del decennio in corso, il berlusconismo appariva un’epoca, e a taluni un regime, e invece fu sbaragliato da un mezzo golpe e poi affossato da un prolungato suicidio del suo leader-Monarca. I Tecnici apparvero allora la soluzione obbligata ai fallimenti della politica; furono invocati e osannati ma altrettanto presto caddero in disgrazia senza aver realizzato la riforma del rigore, i tagli e le razionalizzazioni. Venne poi l’era di Renzi e pareva destinata a durare un ventennio o forse più, anche per la giovane età del leader; e invece bastò un breve giro di boa per far precipitare il berlusconismo giovanile dell’ “inquilino di fronte” nel discredito generale. Dopo il fallimento di governi di centro-destra e di centro-sinistra, o guidati da Tecnici e da Istrioni, entrammo nell’Era dell’Imprevisto, il gialloverdismo su base contrattuale, il governo a due teste, grillo-salviniano. Due rivoluzioni diverse che si consociavano per cambiare l’Italia e reagire all’Europa. Dopo un semestre è cresciuto a dismisura il salvinismo leghista ed è in seria difficoltà il grillismo. Si apre così un anno disposto a ogni esito, di continuità o di rottura, divorzio tra i due contraenti o addomesticamento d’entrambi ai dettami di Bruxelles, con l’incognita del voto europeo che cambierà gli equilibri dell’europarlamento ma difficilmente ne stravolgerà gli assetti. Perché i populisti-sovranisti, peraltro poco sommabili tra loro, probabilmente otterranno un gran risultato ma difficilmente conquisteranno la maggioranza assoluta. Più prevedibilmente i popolari, i socialdemocratici, i liberali si alleeranno per sbarrare loro la strada e mantenere il controllo della commissione europea.
In Italia dopo decenni di stagnazione siamo entrati ormai in un ciclo di perturbazioni e rovesciamenti elettorali. Tutto sembra di passaggio, l’elettorato è psicolabile ma è una risposta conforme al leaderismo emozionale dei nostri tempi che cavalca il momento ma non lascia tracce destinate a durare e soprattutto strategie non lungimiranti ma quantomeno di medio respiro.
Il bipolarismo sembra finito, è nato il bifrontismo nel senso di Giano bifronte, governo a due facce, al momento unite, ma poi non si sa.
Tutto sembra precario meno una cosa: è una tendenza ormai mondiale la crisi delle democrazie rappresentative, delegate, e in fondo oligarchiche che abbiamo conosciuto. È il tempo dei populismi e dei leader contro gli assetti precostituiti, l’establishment e il politically correct. Trump e Putin, Orban e Bolsonaro, e sullo sfondo Erdogan, e i tanti populismi che emergono dalla Germania alla Spagna, dopo aver conquistato Visegrad e buona parte di quel che un secolo fa fu liquidato: l’Impero austroungarico, e gli imperi centrali.
C’è chi di fronte alle incertezze del futuro e allo scenario inedito, si rifugia nel passato e grida al ritorno del razzismo, del nazismo, del fascismo, con esiti a volte grotteschi e ossessioni patologiche. Ma il futuro non è la copia conforme del passato, e se di passato si deve parlare allora perché non pensare che il pauperismo emergente, il cavallo di battaglia dell’accoglienza, l’egemonia del politicamente corretto (sempre più impopolare ma sempre più intollerante), siano le nuove facce di un comunismo di ritorno?
Siamo arrivati a un punto di non ritorno per le democrazie e i loro potentati, e bisogna aprirsi alle sfide del tempo che viene. Certo, spaventa l’assenza di cultura politica, di preparazione e di competenza, l’ignoranza abissale, l’assenza di senso storico, l’irrilevanza di artisti e intellettuali. Ma siamo entrati in un mondo nuovo, e siamo ancora ai primi segnali. Il populismo è la fase infantile, lo stadio puerile di una mutazione forse più radicale che ancora non si è profilata. Superata l’angoscia, cristallizzato lo spaesamento, ci resta la curiosità di vivere tempi “interessanti”.
Avanti il prossimo.