Ha votato Atene, ma ha perso Bruxelles
Riportiamo l’articolo, a firma di Roberto Arditti, pubblicato su formiche.net il giorno 8 luglio 2019
Ancora una volta un Paese europeo va al voto e travolge le forze di governo.
Ancora una volta chi ha dovuto governare dentro la gabbia dorata (!) del rigore pensato a Berlino ed applicato a Bruxelles finisce punito dagli elettori, nonostante quel risanamento finanziario che comunque la Grecia sta lentamente attuando.
Tramonta così la stella di Tsipras ed è un tramonto sacrosanto per una ragione essenziale: l’enfant prodige della sinistra greca prende (settembre 2015) i voti dei suoi concittadini sull’onda di un referendum (luglio 2015) che boccia l’accordo proposto dalla Troika, esito che Tsipras cavalca fino alla vittoria elettorale salvo poi fare (più o meno) l’esatto contrario, scegliendo cioè la via dei tagli micidiali al bilancio ed accordandosi quindi con quelli che lui stesso aveva dipinto come i nemici da battere.
Sia chiaro (perché altrimenti si rischia di ragionare fuori dalla realtà): i conti dello Stato in Grecia erano totalmente sballati e anche l’ingresso nell’euro è avvenuto sulla base di una finzione contabile (di cui tutti, ma dico tutti, erano perfettamente consapevoli).
Quindi mettere ordine nella finanza pubblica è stato giusto.
Va però detta anche una seconda verità, di cui pochi parlano (perché scomoda e sgradevole).
Non sono i prestiti internazionali ad avere rimesso in sesto i conti, perché i famosi 280 miliardi (tale è l’entità stimata) sono stati provvisoriamente messi a disposizione dai circuiti finanziari, dove sono prontamente rientrati (con interessi più forti e meglio garantiti).
Il ritorno sui binari della Grecia è stato possibile attraverso un’imponente manovra sui redditi e sui servizi sociali, quindi è stato totalmente pagato dai greci (il che può anche essere considerato giusto), oggi indebitati fino al collo con rate miliardarie da pagare fino al 2060.
Ecco perché con il voto appena svoltosi si è semplicemente regolato un conto aperto da quattro anni: la bugia di Tsipras del 2015 ha finalmente trovato la giusta punizione.
Ma non è tutto, perché questo voto greco contiene due altri fenomeni interessanti.
Il primo è nel profilo del vincitore, quel Kyriakos Mitsotakis che è un solido esponente dell’élite ateniese.
Figlio e pronipote di primi ministri, ha studiato negli Usa e lavorato per JP Morgan e McKinsey.
È dunque un liberale di destra con solide relazioni internazionali, quindi lontano anni luce da ogni deriva sovranista e populista (non a caso Alba Dorata è fuori dal Parlamento).
È un dato molto importante, perché potrebbe segnare un’inversione di tendenza tutt’altro che isolata (ci rifletta Salvini, soprattutto dopo le batoste prese in Europa).
E poi c’è un tema più vasto, perché ormai è acclarato un punto essenziale: con poche eccezioni (la Germania, guarda caso, l’Ungheria e poco altro) da ormai un decennio succede in tutti i Paesi la stessa cosa: chi governa perde sistematicamente alla prima occasione di verifica elettorale.
E questo accade per un fatto tanto semplice quanto sconvolgente: l’immenso spostamento di poteri avvenuto con la moneta unica ha reso gli Stati deboli e le istituzioni europee fortissime (BCE in testa), con conseguente sistematica sconfitta dei governanti nazionali che si presentano agli elettori dopo aver operato con ridottissimi mezzi a disposizione, andando così incontro a sconfitte annunciate.
Così è andata in Italia a Berlusconi e al PD, così in Francia a Sarkozy e Hollande, così un po’ in tutti i Paesi che hanno votato negli ultimi anni.
Si fanno le elezioni ma i cordoni della borsa sono altrove.
Tu chiamala, se vuoi, democrazia.