MA QUANDO FINISCE LA RICREAZIONE ITALIANA?

Riceviamo in Redazione e riportiamo la Newsletter n.232 del 18 aprile 2017 di Daniele Capezzone
Anche gli alunni meno diligenti, a scuola, almeno nell’ultimo mese e mezzo prima della pausa estiva, tra sensi di colpa e paure, cercano di darsi da fare: per preparare quattro-cinque interrogazioni “strategiche”, per limitare i danni, per convincere i professori più severi a non infierire…
Ecco, invece per l’Italia della politica, dell’establishment e dei mainstream-media, la ricreazione sembra non finire mai. E soprattutto sembra non iniziare mai il tempo di fare le cose seriamente. Viviamo dentro una permanente strategia di “negazione” dei problemi, come se non dovessero mai arrivare al pettine, come se un altro rinvio fosse sempre possibile.
Non voglio infierire sul governo Gentiloni: pur nel dissenso totale, comprendo bene che oggi è una specie di fragile punto di equilibrio, messo in discussione e insidiato dalle ambizioni di ritorno renziano e dal congresso permanente del Pd. E comunque non sarebbe giusto prendersela con questo governicchio, e dimenticare i governi (a destra, a sinistra, tecnici, ecc) che hanno avuto a disposizione tre anni pieni o anche più tempo per realizzare un programma di legislatura, e che – a ben vedere – non hanno fatto scelte migliori.
I guai sono tutti lì, anche se fingiamo di non vederli:
-la crescita più bassa d’Europa, in compagna di Grecia e Finlandia;
-un debito pubblico ben oltre il 130% del Pil;
-con la fine imminente del Qe e i tassi crescenti, una prospettiva di strangolamento per l’Italia in corrispondenza con le nuove emissioni di titoli;
-una tassazione vertiginosa, che in particolare sulle imprese ci mette totalmente fuori competizione;
-una spesa pubblica saldamente oltre il 50% del Pil;
-un collasso di tutte le funzioni e i servizi pubblici decisivi (giustizia, scuola, università);
-un residuo ma persistente diritto di veto sindacale e corporativo su tutto (dai taxi all’apertura dei negozi, dai voucher al no contro Uber);
-un dibattito pubblico incattivito, incarognito, velenoso;
-una difficoltà drammatica di far circolare idee (con i grandissimi quotidiani che sono quasi sempre il luogo della negazione – non dell’affermazione – di proposte, progetti, ragionamenti).
Dinanzi a ciò, la riproporzionalizzazione del sistema politico indurrà un po’ tutti non a elaborare proposte per l’Italia, ma a coltivare il proprio orticello. L’idea è: io mi organizzo il mio “peculio” di voti e seggi, e poi si vedrà. Dimenticando o comunque mettendo tra parentesi le risposte complessive che dovrebbero invece essere al centro della discussione pubblica.
A volte, dicendo queste cose, proponendo soluzioni strutturali, cercando disperatamente di stare al merito delle questioni più grandi e decisive (tasse, spesa, debito), si ha la sensazione di essere patetici, di limitarsi a una testimonianza.
E intanto il piccolo ma arrogante establishment italiano (giornalisti che parlano con politici, politici che parlano con giornalisti, capitalisti senza capitale che parlano un po’ con tutti) parla d’altro, distrae e si distrae, cerca l’interlocuzione furba con il potente del momento (ieri renziani in tempi di renzismo, adesso grillini in pellegrinaggio a Ivrea, un domani chissà).
Mala tempora, con quel che segue.