Bilbo Baggins, il Terzo Pilastro e il Coronavirus

Riceviamo in Redazione, e riportiamo, l’articolo a firma di Marco Margrita, pubblicato su “www.eupop.it” in data 3 marzo 2020
“Essi cercano sempre di evadere/ dal buio esteriore e interiore/ sognando sistemi talmente perfetti che più nessuno avrebbe bisogno d’esser buono”. Sono versi noti, che ci è capitato spesso di ripetere, tratti dai “Cori dalla Rocca” di T.S.Eliot. Addensata nella sintesi pregnante del poeta, forse una delle più puntuali accuse alle degenerazioni ideologiche. Tutte. Guardando all’attuale contingenza politica, calzano bene sia ai grigi esecutori (più o meno consapevoli) dei disegni tecnocratici di quelli che papa Francesco ha chiamato “imperi sconosciuti”, sia agli sloganistici innalzatori dell’identità quale assoluto astratto (che porta a incovare muri piuttosto che a fare il proprio nella costruzione di ponti). Per usare due formule ancora più puntuali: tanto ai globalisti quanto ai sovranisti. Sia a chi vorrebbe schiacciare in una sfera le differenze, sia a chi arbitrariamente ne prende alcune come un vessillo da sventolare a mo’ di spada (grottesca).
Gli oltre trecento amministratori locali che avevano accolto l’invito del Mcl all’Assemblea Nazionale “Ricostruire la rappresentanza: le Amministrazioni Locali e i Corpi Intermedi a servizio dei cittadini ed espressione delle identità territoriali”, che sarebbe dovuto tenersi gli scorsi 28 e 29 febbraio, nella trincea del governo di prossimità, nel loro impegno quotidiano, sono interpreti di una posizione più autentica e non ideologica: quella che il presidente Carlo Costalli ha efficacemente definito “civismo nazionale”.
Facendoci aiutare ancora dalla letteratura – evocandone un altro gigante: J. R. R Tolkien – essi possono essere paragonati a tanti operosi (nient’affatti ideologici, ancor meno convinti d’essere invincibili) Bilbo Baggins. Come spiega Paolo Gulisano, uno dei più grandi tolkeniani di casa nostra: “Bilbo Baggins della Contea è la testimonianza di come si possa divenire eroi, pur non essendo grandi e grossi, pur non appartenendo ad una élite, affrontando le sfide che la vita pone di fronte, per quanto insormontabili esse possano apparire. L’avventura che aveva vissuto gli aveva inoltre insegnato che le grandi imprese non sono opera di un eroe solitario, ma di una compagnia. L’amicizia fu per Tolkien uno dei sentimenti più importanti della vita, e così anche i suoi personaggi la coltivano con passione”.Ecco, il costruire diffuso e puntuale di amministratori e “civil servants sussidiari” nei corpi intermedi è amicizia civica e sociale. Un’azione intensa, che non si nasconde i limiti, con una tentatività buona perchè ironica. Non stenterebbero a riconoscersi nel finale de“Lo Hobbit”, quando Gandalf rammenta a Bilbo i suoi limiti, dopo aver valorizzato tutti i suoi meriti: “Sei una bravissima persona, signor Baggins, e io ti sono molto affezionato, ma in fondo sei solo una creatura in un mondo molto vasto!” “Grazie al cielo! disse Bilbo ridendo”.
Nel “mondo vasto”, però, le communities (tali sono tanto gli Enti locali quanto i “corpi intermedi”) non sono un accessorio. L’economista indiano Raghuram Rajan, che è stato chief economist del Fondo Monetario Internazionale e ha diretto per tre anni la Bank of India, in un suo consigliatissimo saggio che porta proprio questo titolo, l’ha definite “Terzo Pilastro”. Alle comunità affida il compito di rendersi protagoniste di un “localismo inclusivo” (che è, in fondo, proprio l’orizzonte a cui guarda anche il Movimento Cristiano Lavoratori nel suo valorizzare il “popolarismo diffuso”). Come ha spiegato Hamilton Santià recensendo il libro per Linkiesta: “Il “localismo inclusivo” si pone come soggetto inedito che prende il pregio delle comunità (prossimità, solidarietà, volontà di lavorare per il bene comune) e lo mette a sistema come nuovo motore politico oltre lo stato (necessario, ma che deve cedere sovranità al locale per permettere alle forze fresche di essere stimolate e poter crescere) e capace di dialogare sulla scena internazionale”. Si tratta insomma, come spesso ci richiama a fare il Pontefice, di difendere “dal basso” la qualità della democrazia. Per tornare al titolo dell’Assemblea, cioè, di “Ricostruire la rappresentanza”. Con essa, quindi, un’adeguata idea di sovranità.
Ecco che proprio la causa del rinvio dell’incontro (il Coronavirus) e come la si sta affrontando al di là delle polemiche mediatiche di chi, dal governo o dall’opposizione, non sa preticare al registro, ci viene in aiuto. Come ha sostenuto in una bella intervista mons. Massimo Camisasca, vescovo di Reggio Emilia – Guastalla: “La mentalità corrente ci spinge a pensare che tutto sia programmabile, gestibile e quando si scopre che non è così la persona sembra non avere più la possibilità di reggere ed entra in crisi. Se l’epidemia ci aiuterà a maturare una concezione diversa di noi stessi, non sarà stata una sofferenza inutile”. Una concezione adeguata che non può non essere vissuta che “in compagnia”, nelle comunità.
La rappresentanza può essere difesa, infatti, solo ponendo la persona al centro. Come avviene spesso nell’agire degli amministratori locali e nel grande arcipelago del Terzo Settore. Non “sognando sistemi talmente perfetti che più nessuno avrebbe bisogno d’esser buono”.