AL DI LA’ DELLE ELEZIONI (FRANCESI)

Riceviamo in Redazione e riportiamo la newsletter n.17/2017 di Alpina-Dialexis, a cura di Riccardo Lala, del 1 maggio 2017
Le elezioni francesi dimostrano una volta di più che l’intero armamentario concettuale e istituzionale messo insieme dopo la IIa Guerra Mondiale sta perdendo anche gli ultimi margini di credibilità.
A parte il fatto (del tutto logico) che i partiti tradizionali (gollista, socialista e comunista), sono semplicemente scomparsi dalla scena, al primo turno ha vinto un giovincello con una moglie sessantenne ex coniuge di un banchiere, maturato al Lycée Henri IV, laureato all’ Ecole Normale Supérieure e addottorato all’ ENA, ex Inspecteur de Finances, ex assistente di Hollande, ex dirigente della Banca Rothschild, ex ministro dell’Economia di Hollande, che pretenderebbe di rappresentare …”il nuovo che avanza” solo perché ha appena fondato un nuovo movimento che ha raccolto immediatamente miliardi di finanziamenti e il sostegno di tutti i mezzi di comunicazione mondiali.
Il secondo candidato è Marine le Pen, che ha ereditato dal padre (attivo da 70 anni nella politica della IV e V Repubblica) un partito che si riallaccia addirittura al Maresciallo Pétain (il quale per altro si era rifiutato di creare un proprio partito, tenendosi quelli dell’ anteguerra). Ora, la Le Pen sarebbe addirittura “l’antisistema”! Così si comprende perché l’Europa continui inesorabilmente a decadere. I politici sono l’espressione sintetica di tutte le forme di conservazione. Basti dire che la cosiddetta “uscita dalla NATO” di Marine le Pen è più timida perfino di quella iscritta nel primo programma di De Gaulle, quello del ‘58. Riciclano ininterrottamente idee vecchie di 200 o 300 anni, dandogli di tanto in tanto una “riverniciatina” mediatica. L’Alleanza dei Popoli Europei Indipendenti, di cui sta ora parlando, ricalca pedissequamente la Comunità di Stati Indipendenti (Sodruzhestvo Nezavisimyh Gosudarstv),creata simultaneamente allo scioglimento dell’ URSS, che non ha mai funzionato, sicché è stata sostituita dall’Unione Eurasiatica, ricalcata sull’ Unione Europea.
E il popolo li vota!
1.Abolire gli stereotipi provinciali
“No agl’immigrati! No, anzi, accogliamoli tutti, senza discussione! Usciamo dall’ Europa! No, l’Unione Europea è il nostro baluardo!” Frasi che non significano nulla di concreto, ma servono solo a giustificare l’esistenza di questa classe politica (e culturale), e l’utilità di queste elezioni. Nessuno che tenti neppure di vedere i problemi nella loro interezza. Come vogliamo organizzare la società fra 10 anni, quando si prevede che solo il 25 per cento della popolazione sarà occupata? Perché l’Europa declina da decenni, mentre Cina e India avanzano? Chi censisce chi e quanti siano i migranti (orfani e vedove e ricchi professionisti; renitenti alla leva e disoccupati; contadini cacciati dai campi e approfittatori; Europei ed extraeuropei; Siriani e Nigeriani; Afghani e Eritrei)? Sono di più o di meno di quelli che vanno in America, in Russia e nella penisola arabica? Che cosa gli possiamo far fare in Europa, visto che non abbiamo nessun’idea neppure su che cosa far fare ai nostri giovani? Qual sarebbe una divisione del lavoro “equa” nel mondo?
Altra questione, che, in questa campagna elettorale, tutti tendono a legare a quella dell’ immigrazione: quella del terrorismo. Tutti si chiedono che cosa fare per arrestare il terrorismo, ma, anche qui, nessuno ha una soluzione. Anche noi crediamo che immigrazione e terrorismo abbiano vari punti in comune. Innanzitutto, il fatto che ambedue i fenomeni hanno un carattere strutturale, e, quindi, risalente nel tempo. L’Europa ha conosciuto l’immigrazione indoeuropea, le colonizzazioni fenicia e romana, lo schiavismo, le invasioni dei Popoli delle Steppe, le immigrazioni islamiche nel Mediterraneo e in Europa Orientale, migrazioni interne fra i vari Paesi europei e dalle colonie. Nello stesso modo, anche il terrorismo in Europa c’è sempre stato, dai pirati saraceni a quelli Vichinghi, dai Beati Paoli ai tirannicidi, dagli anarchici agl’IRA, dall’ Organizzazione Consul alla Cagoule, dagli Ustascia ai GAP, dai Werwoelfe ai Sudtirolesi, dall’ ETA alle Brigate Rosse, dai NAR ai Palestinesi, dai Corsi ai Ceceni…Esso deriva dal fatto che spesso i conflitti irrisolti si trascinano e s’incancreniscono, e, in un territorio ampio e variegato come l’ Europa, i conflitti non mancano mai. Non si vede perciò come, nel lungo periodo, si possa evitarlo.. Soprattutto se ci si ostina a mantenere in piedi le strutture artificiali che oggi reggono l’ Europa: “Stati membri” che sono un mosaico di nazioni; un’Europa Occidentale che demonizza quella orientale…
2.In particolare, sul terrorismo islamico
Quanto alla specificità del terrorismo islamico, soprattutto in Francia, ricordiamo che, in questo Paese, c’è stato, negli ultimi 250 anni, uno sforzo inaudito, da un lato per nazionalizzare più popolazione possibile, e, dall’ altra, per reprimere ogni velleità di esprimere un’identità etnica non conformistica. Al punto che oggi, quando ci sono almeno 12 milioni di Francesi con inequivocabili origini extraeuropee, e altrettanti chiaramente appartenenti a gruppi etnici minoritari autoctoni, pari, in totale, a quasi la metà della popolazione, si continua assurdamente a parlare di “Français de souche” (“autoctoni”), e si continua a rivendicare un’identità francese unitaria, che non corrisponde alla storia. Dimenticando quanta parte della storia e della cultura francese siano legate al Nordafrica, al Mediterraneo latino, al Nord germanofono e al mondo celtico. Quanti Francesi si chiamavano e si chiamano De Medici, Mazzarino, Bonaparte, Masséna, Gambetta, Blum, Kojève, Aznavour, De Gaulle, Pompidou, Mitterrand, Derrida, Attali, Sarkozy, Dati, Toubira, Valls, Moscovici, ecc…
Se poi si pensa che il “nocciolo duro” di questo mondo allogeno e alloglotta, quello arabo-mussulmano, viene giudicato dai Francesi, consapevolmente o no, come alieno ed opposto all’identità francese (identificata monoliticamente con la Rivoluzione Francese), e, per questo motivo, viene di fatto discriminato, se non altro culturalmente, da molte generazioni, finendo sistematicamente confinato nelle banlieues, c’è solo da stupirsi che il terrorismo non raggiunga livelli più elevati, come nell’Irlanda ai tempi di Michael Collins o nell’ attuale Afghanistan.
3.La nuova Europa dovrà inaugurare una nuova storia
Ma allora, c’è una soluzione? Eccome se c’è, e sarebbe anche facile da conseguirsi, perché è puramente culturale. Occorre, a nostro avviso, rivalutare, ma veramente, l’immagine delle etnie minoritarie, ingiustamente perseguitate, insegnando molto di più, ai Francesi (come agli altri Europei) l’ Arabo, l’Occitano,il Russo; ammettere che la cultura medievale europea e francese era stata pesantemente influenzata da al-Andalus, dalla Provenza, dal Sacro Romano Impero; che le Regioni Storiche francesi (comprese Fiandre, Bretagna, Normandia, Roussillon, Provenza, Alsazia, Lorena) e i Federalisti di Vergnaud, erano stati ingiustamente repressi sotto la Rivoluzione; che, infine, l’Europa (e la Francia) di domani non potranno essere orientate culturalmente solo verso il razionalismo laicistico “à la Francaise”, né verso il tecnicismo del sistema informatico-militare americano, ma dovranno fare spazio anche alle correnti culturali “minoritarie”, come il misticismo arabo ed ebraico, alla cultura problematica e “multiculturale” di Pascal e di Montaigne, all’antimodernismo di Baudelaire e di Guénon, allo spiritualismo di St. Exupéry e di Simone Weil…
Si tratta, dicevamo, di educare gli Europei e i Francesi prima ancora che non le “minoranze”. Solo se i Francesi non discrimineranno più le “minoranze”, queste potranno “integrarsi” veramente, e non come cittadini di seconda classe, dando anche un loro contributo creativo.
Lo stesso vale, si badi bene, un po’ dovunque in Europa -in Inghilterra con il la Keltia, in Turchia con il Kurdistan, in Ucraina con i Russofoni, in Russia con i Caucasici. L’ammettere, per dirla con il Papa, la “poliedricità” delle identità “piccolo-nazionali”, non indebolisce, bensì rafforza le identità stesse. Per esempio, l’Italia risulta rafforzata dalle sue radici alpine, mitteleuropee, levantine e mediterranee, perché può interloquire più autorevolmente in dialettiche storiche quali l’Euroregionalismo, il “nucleo carolingio”, il dialogo euro-islamico e quello con la Russia.
E l’Europa tutta sarebbe posta finalmente in grado di affrontare in modo obiettivo, corale e risoluto le grandi sfide della post-umanità e della globalizzazione.
4.Una “Destra sociale”?
Tutti hanno “letto”, nei risultati delle votazioni di domenica per il 1° turno, una netta polarizzazione sociale, con Macron che raccoglie i voti dell’ “establishment” e della Capitale, e Marine Le Pen quelli del proletariato, delle regioni periferiche (Nord-Est e Midi) e delle etnie minoritarie (fiamminghi, Alsaziano-lorenesi, Occitani, Catalani, Corsi.
Quest’inversione dei trend storici è veramente rimarchevole, soprattutto per ciò che concerne il partito socialista, polverizzato, e il cui elettorato è passato in gran parte al Front National. Anche il partito gollista è agli sgoccioli, dopo avere liquidato l’enorme patrimonio accumulato dal Generale. Il vice di Marine Le Pen, Philippot, è un ex gollista.
C’è chi si chiede se, allora, quella lepenista sia una “destra sociale”. D’altra parte, la destra, in Francia, è sempre stata “sociale”, rivendicando le sue radici addirittura in Proudhon e in Sorel. Nel Governo di Vichy, il premier Laval e il Ministro del Lavoro Déat erano socialisti; il secondo mantenne la sua posizione ideologica originaria anche quand’era ministro e segretario dell’ RNP. Se poi consideriamo “di destra” anche il gollismo, allora non si possono non ricordare Malraux, Vallon e Capitant, ai quali dobbiamo la cogestione “à la Francaise”.
Dopo il primo turno delle Presidenziali, Marine Le Pen si è scatenata a ricercare i voti degli elettori dell’ estrema sinistra di Mélenchon (les Insoumis).
Che cosa voglia dire “sociale”, soprattutto oggi, non è stato chiarito da nessuno. A nostro avviso, vorrebbe dire soprattutto pensare ad una soluzione armonica per tutti gli strati della società, cosa che, in realtà, non è stata mai veramente al centro delle preoccupazioni dei politici. Nel XXI° secolo, poi, questa è l’ultimo dei loro pensieri. Sta di fatto che, fra i due candidati, Marine Le Pen è più “sociale” di Macron, visto che vuole mantenere le 35 ore, bloccare le delocalizzazioni e ridurre l’età pensionabile. Tuttavia, neppure essa sembra affrontare i temi che veramente potrebbero rilanciare l’economia e garantire l’occupazione, come per esempio il finanziamento dei campioni nazionali, un’ulteriore redistribuzione del lavoro e il ripristino delle tutele legali dei lavoratori.
La realtà vera è che nessuno, soprattutto in Europa, è ancora riuscito ad immaginare una società, non diciamo giusta, ma capace di funzionare, nell’ era delle macchine intelligenti, le quali, per definizione, distruggono il lavoro umano. Si ha un bel dire che si darà ai disoccupati un reddito di cittadinanza tassando le multinazionali, ma ne mancano due fondamentali presupposti. Primo: le multinazionali devono essere sotto il controllo delle autorità fiscali, non già all’ estero. Invece, attualmente, i loro enormi profitti sfuggono quasi interamente al fisco europeo. Quindi, bisognerà creare multinazionali europee o “europeizzare” quelle americane. Secondo: occorre pretendere, dai disoccupati, a fronte del “reddito di cittadinanza”, una prestazione lavorativa. Cosa difficile quando, come oggi, solo un terzo della popolazione lavora. A meno di non modificare radicalmente le strutture sociali.
Nonostante che i discorsi d’occasione di questo 1° Maggio hanno parlato molto di disoccupazione, ma non si è sentita una sola idea concreta.Né la destra, né la sinistra, hanno alcun’ idea:
-perché continuano a ragionare come se esistessero ancora grandi fabbriche piene di operai,che non ci sono più in nessuna parte del mondo;
-non osano neppure pensare che si possano creare nuovi posti di lavoro in Europa con un energico intervento pubblico per favorire le nostre imprese, fare pagare le tasse alle multinazionali e distribuire più equamente il lavoro.
Vincerà chi riuscirà a pensare questa nuova società. Ma non in queste Presidenziali.