Verso lo Stato di polizia digitale?
Riceviamo in Redazione, e riportiamo, l’articolo a firma di Rodolfo Casadei pubblicato in data 26 marzo 2020 su “www.tempi.it”
Pensatori come Harari e Byung-Chul Han si interrogano sul coronavirus. Biopolitica e psicolpolitica digitale sono il nostro futuro?
Agamben, Fusaro, Pera: da sinistra a destra, cresce lentamente il numero degli intellettuali che criticano l’accentramento dei poteri e le misure restrittive delle libertà personali adottate dal governo per combattere il Covid-19 vedendo in esse un attacco alla democrazia. A intervenire per primo è stato Giorgio Agamben, che su Il Manifesto del 26 febbraio scorso ha denunciato «lo stato di eccezione come paradigma normale di governo»; gli ha fatto eco Diego Fusaro che ha parlato di virus che diventa «sistema di governo liberista», mentre Marcello Pera ha lanciato un appello al presidente Mattarella firmato da altri tredici politologi e docenti universitari contro la «sospensione della democrazia» di cui si sarebbe reso protagonista il governo Conte II.
Le persone costrette a restare per la maggior parte del tempo chiuse in casa, polizia ed esercito che fermano auto e viandanti per le strade, il governo che governa per decreti: sono questi i connotati della fine della democrazia e dell’avvento dell’autoritarismo che ci aspetta, perché molto di tutto ciò durerà anche dopo la fine dell’epidemia? Tsk, tsk, come direbbe Paperino: la svolta autoritaria che il Covid-19 rischia di innescare è molto più profonda e pervasiva delle tradizionali caratteristiche dello “stato di eccezione”. Ad averla messa in evidenza sono due intellettuali stranieri: l’israeliano Yuval Noah Harari, famoso per i suoi bestseller venduti in milioni di copie come Sapiens. Da animali a dèi e Homo Deus, e il filosofo sud-coreano che insegna all’università di Berlino Byung-Chul Han, autore di testi molto citati come Psicopolitica e La società della stanchezza.
La temperatura del dito
Per primo si è espresso Harari, che sul Financial Times del 20 marzo ha spiegato:
«Oggi per la prima volta nella storia la tecnologia rende possibile controllare chiunque sempre. Cinquant’anni fa il KGB non poteva seguire 240 milioni di cittadini sovietici per 24 ore al giorno. (…) Ma ora i governi possono affidarsi a sensori ubiqui e a potenti algoritmi al posto degli spioni in carne ed ossa. Controllando strettamente gli smartphone delle persone, utilizzando centinaia di milioni di videocamere per il riconoscimento facciale e obbligando la gente a controllare e comunicare la propria temperatura e condizione fisica, le autorità cinesi possono non solo identificare rapidamente i sospetti portatori di coronavirus, ma anche controllare i loro movimenti e identificare chiunque sia venuto a contatto con loro. Una quantità di app sui cellulari avvertono i cittadini della prossimità di persone contagiate».
«Questa epidemia potrebbe marcare un importante spartiacque nella storia della sorveglianza. Non soltanto perché potrebbe normalizzare il dispiegamento di strumenti di sorveglianza di massa in paesi che fino ad ora li hanno rigettati, ma perché significherebbe una drammatica transizione dalla sorveglianza esterna a una sorveglianza “sottocutanea”. Fino ad ora, quando le nostre dita toccavano lo schermo dello smartphone o cliccavano un link, il governo voleva sapere che cosa esattamente avevamo cliccato. Ma col coronavirus, il centro dell’interesse si sposta. Ora il governo vuole conoscere la temperatura del nostro dito e la pressione del sangue».
Guardi Fox o Cnn?
Le conseguenze della “sorveglianza sottocutanea” sono potenzialmente catastrofiche per la nostra libertà:
«(…) Immaginate un ipotetico governo che chiede ad ogni cittadino di indossare un braccialetto biometrico che controlla la temperatura corporea e il battito cardiaco 24 ore al giorno. I dati risultanti verranno archiviati e analizzati dagli algoritmi del governo. Gli algoritmi sapranno che voi siete malati prima che lo sappiate voi stessi, e sapranno anche dove siete stati e chi avete incontrato. Le catene dell’infezione potranno essere drasticamente accorciate, e anche del tutto bloccate. Un sistema del genere potrebbe fermare un’epidemia alla sua origine nel giro di pochi giorni. Una cosa bellissima, no? Lo svantaggio sta nel fatto che tutto ciò legittimerebbe un nuovo terrificante sistema di sorveglianza. Se voi sapete, per esempio che io clicco i link di Fox News piuttosto che quelli della CNN, potete apprendere da questo qualcosa circa le mie opinioni politiche e forse circa la mia personalità. Ma se voi potete controllare cosa succede alla mia temperatura corporea, alla mia pressione e al mio battito cardiaco quando guardo un certo videoclip, scoprirete che cosa mi fa ridere, che cosa mi fa piangere e che cosa mi fa arrabbiare moltissimo. È decisivo ricordare che la rabbia, la gioia, la noia e l’amore sono fenomeni biologici proprio come la febbre e la tosse. Se le multinazionali e i governi cominciano a raccogliere massicciamente i nostri dati biometrici, possono riuscire a conoscerci meglio di quanto ci conosciamo noi, e possono non solo prevedere i nostri sentimenti, ma anche manipolarli, e venderci tutto ciò che vogliono: che si tratti di un prodotto o di un leader politico. Al confronto del controllo biometrico le tattiche di Cambridge Analytica per acquisire dati sembreranno cose dell’età della pietra. Immaginate la Corea del Nord nel 2030, quando ogni cittadino dovrà indossare un braccialetto biometrico 24 ore al giorno: se ti trovi ad ascoltare il discorso del Grande Leader e il braccialetto segnala sentimenti di rabbia, sei fregato».
Possiamo immaginare anche paesi diversi dalla Corea del Nord…
Stile cinese
In un testo che propone anche altre interessanti intuizioni sul significato delle reazioni sociali all’epidemia, Byung-Chul Han converge con l’analisi di Harari per quanto riguarda i progressi del sistema della sorveglianza totale – facendo praticamente gli stessi esempi, con abbondanza di ulteriori dettagli – e manifesta parecchio pessimismo. Paragonando i successi dei paesi asiatici nel contenimento dell’epidemia con le grandi difficoltà dei paesi europei scrive su El Pais del 22 marzo:
«In confronto all’Europa, che vantaggi offre il sistema dell’Asia che risultino efficaci per combattere la pandemia? Stati asiatici come Giappone, Corea, Cina, Hong Kong, Taiwan o Singapore hanno una mentalità autoritaria, che gli proviene dalla loro tradizione culturale confuciana. Le persone sono meno riottose e più obbedienti che in Europa. E hanno più fiducia nello Stato. Non solo in Cina, ma anche in Corea o in Giappone la vita quotidiana è organizzata molto più strettamente che in Europa. (…) Gli apologeti della vigilanza digitale proclameranno che i big data salvano vite umane. La coscienza critica nei confronti della vigilanza digitale in Asia è praticamente inesistente. A malapena si parla di protezione dei dati, anche in stati liberali come il Giappone e la Corea. Nessuno si inquieta per la frenesia delle autorità nell’accumulare dati. (…) a causa della protezione dei dati, in Europa non è possibile un contrasto digitale al virus comparabile a quello asiatico. Gli operatori cinesi della telefonia mobile e di Internet condividono i dati sensibili dei loro clienti con i servizi di sicurezza e coi ministeri della Salute. Perciò lo Stato sa dove sto, con chi mi incontro, cosa faccio, cosa cerco, a cosa penso, cosa mangio, cosa compro, dove mi dirigo. È possibile che in futuro lo Stato controlli anche la temperatura corporea, il peso, il livello di zuccheri nel sangue, ecc. Una biopolitica digitale che accompagna la psicopolitica digitale che controlla attivamente le persone. (…) Ora la Cina potrà vendere il suo Stato di polizia digitale come un modello di successo contro la pandemia. La Cina esibirà la superiorità del suo sistema con sempre maggior orgoglio. È possibile che arrivi anche da noi in Occidente lo Stato di polizia digitale in stile cinese».
Auguri…
Cosa suggeriscono i due autori come alternativa allo Stato di polizia digitale nella lotta alle pandemie? Byung-Chul Han è molto modesto, e si limita a suggerire una diffusione universale delle mascherine, cosa che l’Occidente ha colpevolmente sottovalutato. Harari, più ambizioso, incoraggia la nascita di un movimento politico che trasferisca i mezzi della sorveglianza ai singoli cittadini:
«Al posto di creare un regime della sorveglianza, non è troppo tardi per ricostruire la fiducia delle persone nella scienza, nelle autorità pubbliche e nei media. Dovremmo certamente utilizzare le nuove tecnologie, ma queste tecnologie dovrebbero trasferire potere ai cittadini. Sono a favore del controllo della mia temperatura corporea e della mia pressione del sangue, ma tali dati non dovrebbero creare un governo onnipotente. Piuttosto, quei dati dovrebbero consentirmi di fare scelte personali più informate, e anche ritenere responsabile il governo per le sue decisioni. Ogni volta che parlate di sorveglianza, ricordatevi che quella stessa tecnologia della sorveglianza di solito può essere usata non solo dai governi per controllare gli individui, ma anche dagli individui per monitorare i governi».
Auguri…
[Fonte: https://www.tempi.it/verso-lo-stato-di-polizia-digitale/]