Una eroica donna di Casa Savoia: la principessa Mafalda
Riceviamo in Redazione, e riportiamo, l’articolo a firma di Cristina Siccardi*, pubblicato in data 13 Novembre 2024 su “www.corrispondenzaromana.it“.
Il 18 novembre 1945 il vescovo di Napoli Giuseppe Gagnor (1884-1964), originario della Val Susa, approvò questa preghiera in onore di Mafalda di Savoia, Langravia d’Assia, scomparsa l’anno prima, lunedì 28 agosto: «Pietosissimo Iddio, che nei Tuoi imperscrutabili disegni, permettesti che la Tua serva Mafalda, nata e vissuta nella regalità della corte, si dipartisse da questa terra in seguito alle sofferenze ed all’abbandono vissuto negli ultimi mesi della sua esistenza terrena, lontano dalle cure e dall’affetto dei suoi, umiliata e vilipesa in suolo nemico, accetta il suo sacrificio! Fà che ella, spiritualmente ricollegata alle grandi donne della sua casa che la precedettero, in una dinastia di Santi e di Eroi, ascenda presto alla Beatitudine del Regno dei Cieli, onde intercedere presso di Te per la grandezza del Regno d’Italia. Così sia».
Quest’anno ricorre l’80° anniversario dalla morte della principessa Mafalda, nata il 19 novembre del 1902 e divenuta langravia d’Assia dopo aver sposato Filippo d’Assia (1896-1980) il 23 settembre 1925. Semplice, indulgente, benevola e amabile, era piuttosto cagionevole di salute, ma affrontò ugualmente e con amore quattro gravidanze, dando alla luce Maurizio, Enrico, Ottone, Elisabetta, formando così con il marito una splendida famiglia.
Mafalda partì per Sofia per stare accanto alla sorella Giovanna (1907-2000), rimasta vedova, in quanto zarina consorte di Boris III di Bulgaria (1894-1943), morto per avvelenamento il 28 agosto 1943 per mano dei sovietici. La principessa di Savoia non fu messa al corrente dell’armistizio e venne informata soltanto a cose fatte alla stazione ferroviaria di Sinaia, in piena notte, dalla Regina di Romania, mentre stava tornando in Italia. Tuttavia, dimentica di sé, decise di fare ritorno a Roma per congiungersi con i suoi figli e con la sua famiglia d’origine, ma il marito era già prigioniero di Hitler in Germania, alla sua insaputa. Con mezzi di fortuna, il 22 settembre raggiunse Roma e scoprì che la famiglia reale aveva lasciato la capitale. Riuscì a rivedere, per l’ultima volta, i figli Enrico, Ottone ed Elisabetta (Maurizio era arruolato in Germania), protetti da monsignor Giovanni Battista Montini, futuro Paolo VI (1897-1978), nel proprio appartamento.
La Gestapo, che aveva aperto su di lei un vero e proprio dossier, fece scattare l’«Operazione Abeba»: cattura e deportazione, su coordinamento di Herbert Kapler (1907-1978), di Mafalda di Savoia. Arrestata a Roma il 22 settembre 1943, venne imbarcata su un aereo con destinazione Monaco di Baviera, fu poi trasferita a Berlino ed infine deportata nel lager di Buchenwald e rinchiusa nella baracca n. 15, sotto il falso nome di Frau von Weber. Le fu vietato di rivelare la propria identità e per scherno i nazisti la chiamavano Frau Abeba. La dura vita del campo, il poco cibo, che divideva con coloro che reputava avessero più bisogno di lei, ed il glaciale freddo invernale, deperirono ulteriormente il già gracile e provato fisico di Mafalda.
Nell’agosto del 1944 gli anglo-americani bombardarono il lager e la sua baracca venne distrutta. La principessa riportò gravissime ustioni e contusioni su tutto il corpo. Fu ricoverata nell’infermeria della casa di tolleranza dei nazisti, presente nel lager, dove, dopo quattro giorni di agonia, sopraggiunse la cancrena al braccio sinistro che fu amputato con un interminabile e dissanguante intervento chirurgico. Ancora addormentata, Mafalda fu riportata nel postribolo e abbandonata, senza assistenza. Spirò a 42 anni. Il dottor Fausto Pecorari (1902-1966), radiologo internato a Buchenwald, dichiarò che Mafalda era stata intenzionalmente operata in ritardo e l’intervento era stato il risultato di un assassinio sanitario avvenuto per mano di Gerhard Schiedlausky, in seguito condannato a morte dal tribunale militare di Amburgo e giustiziato per impiccagione nel 1948. Pecorari, esponente eminente dell’Azione Cattolica e noto studioso della Sacra Sindone, fu antifascista e anticomunista, nonostante fosse entrato nella resistenza e per questo arrestato dai tedeschi e condannato a morte, condanna commutata con la deportazione nel campo di concentramento di Buchenwald, dove rimase fino alla liberazione, lavorando clandestinamente con la resistenza interna e occupandosi dei malati internati. Egli seppe che la principessa Mafalda si trovava nel campo, nonostante ella fosse obbligata a mantenere segreta la sua identità. Opinione del dottore è sempre stata quella che Mafalda di Savoia fosse stata intenzionalmente operata in ritardo e con una lunghissima procedura per provocarne la morte. Occorre precisare che il metodo delle operazioni ritardate ed esageratamente lunghe venne applicato più volte a Buchenwald ed eseguito dalle SS su personalità di rilievo, con lo scopo preciso di eliminarle.
Dopo la liberazione e con il rientro a Trieste, Fausto Pecorari si recò a Roma dal regio luogotenente Umberto II (1904-1983) per comunicargli la tragica notizia del decesso per assassinio della sorella; anche la madre, la regina Elena (1873-1952), seppe molti mesi dopo che cosa era accaduto a sua figlia e per il terribile dolore perse la vista da un occhio.
Collaborò molto con un altro prigioniero, l’abate priore padre Joseph Tyll, che gli consegnava il Santissimo Sacramento da distribuire a chi lo desiderava. Proprio grazie al boemo padre Tyll, monaco dell’ordine degli Agostiniani Premostratensi, che amministrò i sacramenti alla stessa Mafalda di Savoia, la salma della principessa non venne cremata, ma fu posta in una cassa di legno e sepolta sotto la dicitura «262 eine unbekannte Frau» (donna sconosciuta). Trascorsero alcuni mesi e sette marinai italiani, reduci dai lager nazisti, trovarono la bara della vittima sacrificale e posero una lapide identificativa. Il sacrificio della breve vita di Mafalda è l’ultimo atto di una scena terrena occupata prioritariamente dalla presenza del Vangelo nella sua esistenza: anche nel campo di concentramento di Buchenwald non badò a se stessa, in cima ai suoi pensieri c’erano i figli, il marito, i genitori, gli internati del campo e in particolare agli italiani del lager, ai quali fece sentire tutta la sua vicinanza. Le sue ultime parole furono proprio dirette a loro: «Italiani, io muoio, ricordatemi non come una principessa ma come una vostra sorella italiana».
Mafalda di Savoia, che riposa oggi nel piccolo cimitero degli Assia nel castello di Kronberg in Taunus a Francoforte-Höchst, frazione di Francoforte sul Meno, rappresenta i valori eterni, ovvero quelli di Dio, della patria e della famiglia. Profondamente cattolica, grazie soprattutto anche agli insegnamenti ricevuti dalla madre fin dalla più tenera età, Mafalda visse sempre secondo i richiami battesimali, in funzione del prossimo piuttosto che di se stessa. Dallo studio dell’esistenza e della personalità della principessa e langravia d’Assia emerge la figura di una persona gioiosa e mite, intelligente e colta, perennemente dedita agli altri. Fu una sposa ed una madre esemplare, costantemente pronta alla carità per i più bisognosi e disagiati. Donna di grande classe e finezza di tratti, era fortemente ancorata ai valori e ai principi evangelici. Mafalda, un’eletta del Signore, rappresenta ciò che nel sentire progressista e femminista è considerato sminuente per l’essere femminile: il senso pieno del proprio dovere di stato senza badare ai “propri spazi”, ossia figlia perfetta, sposa perfetta, madre perfetta, ruolo pubblico perfetto, pronto anche all’estremo sacrificio, tutti elementi che costituiscono, realmente, una testimonianza di sublime significato, sia terreno per il suo intrinseco insegnamento, sia in proiezione della beatitudine eterna.
* Cristina Siccardi – altri articoli pubblicati dall’Autrice su “Corrispondenza Romana“, https://www.corrispondenzaromana.it/author/cristina/
[Fonte: https://www.corrispondenzaromana.it/una-eroica-donna-di-casa-savoia-la-principessa-mafalda/]