Un anno vissuto malamente
Riportiamo l’articolo pubblicato su “Lo Spiffero” il 30 giugno 2017
Di quella marcia trionfale verso Palazzo Civico non rimane che una fotografia, che si fa via via più sbiadita. È passato un anno dall’insediamento di Chiara Appendino alla guida del Comune di Torino, dodici mesi esatti da quella camminata lungo via Garibaldi in un bagno di folla plaudente, 365 giorni da quella mattinata memorabile in cui, con quella parlata “a macchinetta”, ha pronunciato il solenne discorso in Sala Rossa. Da un paio di settimane aveva compiuto 32 anni e della grillina bon ton tutti dicevano un gran bene, e la luna di miele con la città sembrava non dovesse tramontare mai. Invece…
L’anniversario ha il sapore del fiele: lo ha celebrato con l’iscrizione nel registro degli indagati per i fatti di piazza San Carlo. Per carità, “atto dovuto” come si è precipitato a puntualizzare il procuratore capo Armando Spataro, ma non proprio una torta alla panna con le candeline. In un anno ha scoperto quanto è effimera la gloria politica: da prima cittadina più amata d’Italia a sentina di tutti i mali. Ma lei, la sindaca della porta accanto, tira dritto e tra pianti e sorrisi manda a stendere chiunque si permetta di mettere in dubbio le sue qualità.
Doveva essere una rivoluzione e, diciamocelo francamente, sarà perché a Torino ci conosciamo tutti, non si è mossa una foglia. Non nelle linee politiche adottate, spesso in evidente continuità con quelle del centrosinistra, ma neanche nelle prassi: che fine hanno fatto le call pubbliche per selezionare gli amministratori delle società partecipate? La trasparenza? Il governo dal basso? Sin da subito le decisioni a Palazzo Civico sono state assunte da uno strettissimo giro, un inner circle formato dalla sindaca, dal capo di gabinetto Rasputin Paolo Giordana – ora sempre più (tatticamente) defilato – e il capo ufficio stampa Luca Pasquaretta. Anche gli assessori si sono presto dovuti adeguare a sottostare ai voleri dei cerchio magico. In compenso sono state sperimentate e adattate al nuovo corso vecchie liturgie da ancien regime come il rimpasto, di cui è stata vittima la povera (in molti sensi) assessora all’Ambiente Stefania Giannuzzi, sostituita in giunta dal capogruppo M5s Alberto Unia, giusto per placare i borborigmi sempre più forti della pancia grillina.
Prima della maledetta notte del 3 giugno le cose sembravano andare per il meglio. Aveva appena chiuso le porte di una delle edizioni più riuscite del Salone del Libro, la vittoria su Milano, il frutto più succoso nato dall’albero della concordia istituzionale instaurata con Sergio Chiamparino. In fondo, a dispetto delle dichiarazioni ufficiali, quel Chiappendino coniato dallo Spiffero piaceva a entrambi e ai loro occhi disegnava i tratti non di un orrendo ircocervo bensì la doppia faccia di un modus operandi politico che li accomuna: un’empatia naturale con i cittadini (al contrario, tanto per non fare nomi, di Piero Fassino), l’autonomia rivendicata nei confronti dei rispettivi partiti e forse anche un po’ di superficialità nel trattare i dossier più importanti, al punto da delegare gran parte del lavoro “sporco” a uomini macchina.
Riavvolgendo il nastro è facile intuire come il Salone del libro sia stato un attimo, volato via, di serenità in un 2017 vissuto pericolosamente, tra conti ballerini, buchi di bilancio e feroci polemiche con le opposizioni, in particolare con un Pd che ancora fatica a rialzarsi dalla batosta, alla perenne ricerca di una strategia per incalzare la prima cittadina, che in fatto di comunicazione – a parte qualche svarione – ha dimostrato di essere ancora la migliore. E poi le alghe del Po, la movida allo sbando, i roghi nei campi nomadi, il verde e la manutenzione, Natale coi fiocchi…
Mezza Torino si fida ancora di lei: un risultato eccezionale se si pensa anche solo al contraccolpo emotivo dei fatti di piazza San Carlo. Dal suo punto di vista il bicchiere resta mezzo pieno. Anche perché in un anno ha mutato geneticamente il suo profilo politico. Portata in trionfo dalle periferie, soprattutto del Nord di Torino, si è subito accreditata presso le élite cittadine, sfruttando la sua immagine rassicurante, un cognome conosciuto e apprezzato e le garanzie fornite dallo stesso Chiamparino. A poche ore dal suo insediamento chiedeva la testa di Francesco Profumo, presidente della Compagnia di San Paolo, e Paolo Peveraro, numero uno di Iren. Dopo quel fuoco di paglia il Sistema Torino è tornato a dormire sonni tranquilli, come prima e più di prima. Persino l’icona delle sue battaglie da consigliera di opposizione, la Fondazione per la Cultura, è rimasta al suo posto con Angela La Rotellaalla testa. E gli slurp della vipperia nostrana sono un tappeto di saliva steso dai Cappuccini a Palazzo civico.
Nei primi mesi da sindaca gran parte di quel programma elettorale tanto barricadero è finito nella differenziata. Il bilancio è stato chiuso grazie ai milioni derivanti dagli oneri di urbanizzazione, i permessi di costruzione per nuovi centri commerciali e supermercati sono arrivati uno dietro l’altro, il progetto di Zoom al parco Michelotti è stato confermato con buona pace degli animalisti, l’extra dividendo di Smat per far quadrare i conti, alla faccia dell’acqua pubblica (saltato solo per una operazione politica messa in atto da molti comuni del Pd), il progetto ex Westinghouse, corso Grosseto, la Tav. E così sono arrivate anche le prime contestazioni da chi, di fatto, era già stato scaricato perché, si sa, non si governa con i comitati inquilini e le associazioni ambientaliste. Ogni tanto lancia un osso da sgranocchiare, come l’uscita della città dall’Osservatorio Tav, salvo poi firmare con la Regione il piano degli investimenti per Torino e il Piemonte con tutte le opere propedeutiche all’alta velocità in Valsusa. Durante la luna di miele con la città, nel Movimento 5 stelle c’è chi guardava a lei come l’unica vera figura politica in grado di vincere alle politiche, per Carlo Freccero “è lei la vera leader del M5s” e nel suo staff c’era già chi si vedeva a Palazzo Chigi, ma la prospettiva è ben presto sfumata.
Di certo, chi pensava che la pentastellina Appendino fosse una meteora si è dovuto ben presto ricredere: la sindaca ha dimostrato una forza inusuale: un carattere di ferro dentro un corpo da friciulin. Ha retto l’urto dei primi 365 giorni ed è ancora in sella. Peccato che mostri di non avere molte idee sulla Torino che sarà da qui ai prossimi vent’anni o che abbia rinunciato del tutto a sfidare l’establishment cittadino scommettendo sulla nascita di una nuova elite urbana. In fondo, per parafrasare i famosi versi di Lord Rochester (chieda a padre Giordana), abbiamo una sindaca “della cui parola nessuno si fida, mai ha detto una cosa sbagliata, né mai ha fatto una cosa giusta”.