Siria: il voltafaccia di Trump, l’irrilevanza di Roma
Riportiamo l’articolo, a firma di Gianandrea Gaiani, pubblicato su “La Nuova Bussola Quotidiana” il 12 aprile 2018
Fini a pochi giorni or sono annunciava l’imminente ritiro dei 2mila militari americani schierati in Siria. Ieri ha avvertito Putin che “i missili sono in arrivo” confermandogli la volontà di scatenare un attacco contro Damasco.
Quanto pesi il Russiagate e la minaccia di impeachment sul voltafaccia di Trump sul fronte siriano è difficile dirlo ma certo giova ricordare che in campagna elettorale aveva sostenuto un programma di distensione con Mosca che, evidentemente, non ha potuto mai attuare. Un’interpretazione che pare confermata anche dall’interessante e curiosa sequenza dei tweet di ieri.
“Non dovreste essere alleati con l’animale che uccide con il gas”, ha scritto Trump condannando i russi per la loro vicinanza a Bashar al-Assad “che uccide il proprio popolo e se ne rallegra”. In un successivo tweet, Trump ha invece ammorbidito i toni. “Il nostro rapporto con la Russia non è mai stato peggiore, neppure durante la Guerra Fredda. Non c’è alcuna ragione per tutto questo. La Russia ha bisogno di noi per risollevare la sua economia, qualcosa che sarebbe davvero facile da fare, e abbiamo bisogno che tutti i Paesi lavorino insieme. Stop a corsa alle armi?”. Infine Trump ha attaccato Robert Mueller, il procuratore speciale che indaga sul Russiagate, al quale addebita la responsabilità del peggioramento delle relazioni con Mosca.
Il Pentagono si dice “pronto” a presentare opzioni militari alla Casa Bianca ma anche Francia, Gran Bretagna e Arabia Saudita si dicono pronte a partecipare alle incursioni.
Mosca avverte che risponderà a ogni missile e ha avviato esercitazioni navali nella acque territoriali siriane, ma le sue navi terranno sotto osservazione due cacciatorpediniere e almeno un sottomarino americani che potrebbero lanciare oltre 300 missili da crociera contro la Siria. Le navi della flotta russa vengono a loro volta tenute sotto controllo dai velivoli da pattugliamento marittimo P-8 Poseidon decollati dalla base siciliana di Sigonella.
Damasco definisce una “pericolosa escalation” le minacce americane ed evacua diverse basi militari ed edifici istituzionali incluso il palazzo presidenziale lasciato anche da Bashar Assad che avrebbe raggiunto un rifugio più sicuro.
L’impressione è che i raid punitivi per il mai dimostrato uso di armi chimiche da parte delle forze di Assad a Douma questa volta non saranno simbolici come lo furono l’anno scorso quando i Tomahawk colpirono la base aerea di Sharyat dopo che i russi erano stati avvertiti in tempo per farlo evacuare.
Se le incursioni saranno su vasta scala verrà quindi rafforzata l’impressione che l’obiettivo vero, al di là del pretesto costituito dalle vittime civili delle armi chimiche, sia rovesciare il regime di Assad per minare gli interessi di Mosca e Teheran in Siria favorendo sauditi e israeliani.
Al tempo stesso inutile negare che un simile scenario condannerebbe la Siria a cadere sotto il dominio delle milizie islamiste (costringendo all’esodo le ultime popolazioni cristiane) o a trasformarsi in un’altra Libia. In entrambi i casi i disastri provocati dalla destabilizzazione “made in Usa” ricadrebbero sull’Europa e soprattutto sull’Europa mediterranea anche in termini di minaccia terroristica islamica e di immigrazione illegale.
A questo proposito vale la pena sottolineare che il governo (uscente) italiano ha reso noto ambiguamente che occorre lavorare per la pace ma ha assicurato che non farà mancare il suo appoggio ai nostri alleati statunitensi e franco-britannici assicurando però che l’Italia non parteciperà ad operazioni belliche.
Nulla di nuovo, la solita politica tesa con successo a garantirci la più assoluta irrilevanza in un conflitto che i nostri “alleati” stanno per scatenare nel nostro giardino di casa.