Scenari post referendum

Redazione – Ha vinto il si, con il 69,64 % di consensi. Chi ha votato, ha dato principalmente ascolto alla narrazione della lotta contro parlamentari fannulloni, incollati alla sedia e allo stipendio. Si è validata la narrativa dell’uno vale uno (tanto sono tutti uguali). Poi, le competenze mica contano.
Anche l’unico partito, storicamente contrario al si, cioè il PD, come emerge dalle votazioni del 2019 in Camera e Senato, ha, poi, detto di votare si (specchio di coerenza…). E ora? Beh… secondo la medesima narrazione, finalmente ci saranno meno parlamentari a rubare lo stipendio.
Nella realtà, lo snodo cruciale è come votare, a partire dalle prossime elezioni, che, presto, si terranno, per effetto dell’entrata in vigore della Legge, confermata dal risultato referendario. Quindi, presto, arriverà lo scioglimento delle Camere e il voto. Prima, però, bisognerà sistemare l’organizzazione dei seggi e la legge elettorale.
Il Movimento 5 Stelle lo ha già detto. Ora si lavora per il proporzionale. Il PD, attraverso la voce dell’on. Delrio, ha già detto che vorrebbe lavorare per trasformare gli equilibri tra Camera e Senato, come agognato da Renzi in passato.
Così, prendiamo in prestito le parole di Emiliana Patta, con il suo articolo, pubblicato oggi su “Il Sole 24 Ore”:
“al di là della lettura politica del voto referendario, il taglio del numero dei parlamentari ha come si sa […] ripercussioni dirette sul sistema di elezione e sul funzionamento delle due Camere. Per questo ora è più che mai urgente procedere con i “ritocchi” costituzionali voluti soprattutto dal Pd e che hanno cominciato a muovere i primi passi in Parlamento. Passare da 945 deputati a 600 impatta intanto sull’attuale legge elettorale, il Rosatellum, che prevede un 37% circa di collegi uninominali (il resto è un proporzionale con liste bloccate e sbarramento al 3%), che ora aumentano considerevolmente di dimensione con due effetti negativi per la rappresentanza: minore relazione dell’eletto con il territorio e aumento dei costi della campagna elettorale. Ed è questo uno dei motivi addotti dai fautori del ritorno al proporzionale puro […] l’altro effetto importante della diminuzione dei parlamentari è la riduzione della rappresentanza nelle regioni medie e piccole del Senato, dove per Costituzione l’elezione deve avvenire su base regionale: le regioni della dimensione delle Marche e della Basilicata, ad esempio, passerebbero da 7 seggi a 3,4 o 5 con la conseguenza che verrebbero rappresentate solo le prime due forze politiche. […] Per questo è necessario ora uniformare il più possibile la modalità di elezione nelle due Camere: da una parte permettendo il voto ai 18enni anche in Senato (ora si vota a 25 anni), in modo per altro da ridurre al minimo la possibilità di due maggioranze diverse come spesso avvenuto negli ultimi lustri. Questa riforma ha già passato il primo doppio sì da parte di Camera e Senato: come prevede la Costituzione, dopo una pausa “riflessiva” di tre mesi serve un’altra doppia lettura da parte del Parlamento. È atteso invece per la prima alla prova dell’Aula del Senato il 25 settembre prossimo il Ddl Fornaro, che elimina l’obbligo della base regionale per l’elezione del Senato permettendo la costituzione di circoscrizioni pluriregionali e inoltre riduce il numero dei delegati regionali chiamati ad eleggere il presidente della Repubblica in seduta comune per non sovrarappresentare i territori una volta ridotto il numero dei parlamentari. Piccole riforme, certo, ma che hanno il valore di uniformare il metodo di elezione di un Parlamento che resta improntato sul bicameralismo paritario eliminando quasi del tutto il rischio di risultato incerto per le elezioni politiche […] Andranno poi riformati i regolamenti parlamentari: quorum per le votazioni, commissioni e molto altro. […] Anche per questo il Pd, nel dare indicazione di voto ai suoi elettori in favore del referendum caro al M5s, ha posto pubblicamente l’esigenza di tornare a ragionale sul superamento del bicameralismo paritario con una differenziazione delle funzioni delle due Camere.
Dunque, una trasformazione reale delle Camere e della loro struttura. Siete sorpresi?
Cosa vuol dire tornare al proporzionale? (1) Possibili equilibri in mano ai partiti con piccole percentuali (ricordate la Prima Repubblica)?; (2) Quali saranno le leve in mano ai partiti per prendere consensi? comunicazione (ovvio) e identità.
Come ha scritto Malgieri, in un articolo pubblicato su formiche.net
E giacché ci siamo, chiediamoci pure che senso ha per una qualsivoglia Destra sostenere l’autonomia regionale rafforzata, anticamera della secessione, mentre ci si professa “sovranisti” se non nazional-conservatori o riformisti nel senso che dovrebbe essere accentuata la critica al regionalismo, sentina di quasi tutti mali italiani e responsabile principale della dilatazione non più contenibile del debito pubblico, oltre che responsabile del conflitto ormai endemico tra Stato e Regioni con conseguenze giuridiche e politiche che sono a fondamento dello scadimento istituzionale nel quale siamo immersi.
Come ricorda Gervasoni, ora le questioni identitarie diventeranno centrali nella politica e nella vita dei partiti.
Dunque, ci vuole un atto di coraggio. Tornare a declinare la propria identità. Le grandi elezioni in giro per il mondo si giocano su temi identitari. Lo scontro tra due visioni, che sarà da condurre, sapendo da che parte stare. La parte conservatrice, “dove identità, tradizione, nazione e religione sono i capisaldi, e invece una globalista progressista, che intende sfruttare la crisi per imprimere un’accelerazione della storia nel senso del “progresso”, come lo intendono loro, cioè trionfo dell’individualismo e ripiegamento della grande comunità.”