Ruini, i cattolici e l’Hobbit Party

Riportiamo l’articolo, a firma di Marco Margrita, pubblicato su “eupop.it” in data 8 novembre 2019
Ruini non propone di farsi leghisti, semplicemente di provare a rimanere cattolici.
“I cattolici possono operare all’interno di quelle forze che si dimostrino permeabili alle loro istanze. È una strada oggi più faticosa di ieri, perché la scristianizzazione sta avanzando anche in Italia; ma non mi sembra una strada impossibile”.
Questo sito si è già occupato, con un puntuale intervento del vicepresidente Pietro Giubilo che ne ha ripercorso tutti i contenuti, dell’importante intervista recentemente concessa al “Corriere della Sera” dal cardinal Camillo Ruini, già presidente della Cei e artefice di una stagione di presenza non partitica del cattolicesimo, ritengo però utile ritornarci, partendo dal passo richiamato in apertura, per concentrarsi sugli aspetti più connessi alla sfera dell’impegno pubblico dei credenti.
Molto ha fatto discutere, spesso muovendo da visioni pregiudiziali, il suo ritenere doveroso il dialogo con Matteo Salvini, non condividendo “l’immagine tutta negativa che ne viene proposta in alcuni ambienti” e riconoscendone “la maniera, pur poco felice, di affermare il ruolo della fede nello spazio pubblico”.
Questo suo auspicio, per essere correttamente inteso, a modesto avviso di chi scrive, deve proprio essere letto nel quadro della modalità d’azione dei cattolici che il presule indica e che ho integralmente citato. Una modalità che non è meramente concordataria o “al ribasso” rispetto ai da più parti vagheggiati ritorni di partiti(ni), piuttosto volta a dare peso e autentica agibilità, nel pieno riconoscimento della “libertas ecclesiae”, allo specifico identitario dei cattolici. Non una reclusione in alcuni temi, quindi; piuttosto un’apertura che deriva dalla liberazione dai “miti politici”, dopo aver posto delle irrinunciabili questioni di difesa dell’umano (non salvaguardia della visione di una parte, ma laico autentico contributo al “bene comune”).
Significativo il riconoscimento dell’alto rischio di esculturazione del cristianesimo e, quindi, della difficoltà del contesto. Una circostanza che richiede un di più di realismo e di concretezza, ma ancor più il custodire la “visione cattolica del mondo” e quanto complessivamente ne deriva.
Alcuni anni fa, per i tipi della D’Ettoris, è uscita la traduzione in italiano di un bel saggio Jonathan Witt e Jay W. Richards: “Hobbit Party”, dedicato a “Tolkien e la visione della libertà che l’Occidente ha dimenticato”. Il party del titolo è la festa che celebra le virtù di Frodo e della Contea (la nobiltà d’animo, la verità e la bellezza), ma è chiaro che si giochi anche sul significato di partito. Un partito che è più inteso come “rete di corpi internedi che si fa movimento popolare” e non quale rigida organizzazione (ideologica o leaderistica). Ci sembra che quel “partito”, una soggettività politica che sa contare nella società e poi con un intelligente entrismo nelle istituzioni, il cardinale chieda ai “cattolici popolari” di saper essere. Senza frontismi e con autentica libertà d’azione. E realismo soprattutto, come già ricordato.
Certi perfettisti (non ne mancano nel mondo cattolico) potrebbero denunciare il tatticismo di questo approccio, ma sono appunto rinchiusi in una mitologia. Per dirla con Fabrice Hadjadj: “impugnano i princìpi della dottrina sociale della Chiesa, seguono dei corsi di formazione a questo proposito, e sulla base degli appunti del corso giudicano il malgoverno del mondo contemporaneo senza però mai passare all’azione. Come direbbe Péguy, hanno le mani pure perché non hanno mani. Così il loro ideale, in ultima istanza, ne fa dei conformisti per via di una tale separazione tra le loro belle astrazioni e la realtà concreta”.
Ruini non propone di farsi leghisti, semplicemente di provare a rimanere cattolici. Senza moderatismi e identitarismi fuori luogo. Partendo da ciò che c’è, difendendone la possibilità generativa senza rinchiuderlo in un contenitore.