“Quella di Salvini è una Lega fake”
Riportiamo l’articolo, a firma di Stefano Rizzi, pubblicato su “Lo Spiffero” il 19 marzo 2017
“Già alle prossime politiche ci vorrebbe una nuova Lega”. Che, per Oreste Rossi detto Tino, non serve inventarla: “Basta che Umberto Bossi decida e si torna a quella vera”. Alessandrino, classe ’64, nell’84 primo segretario nella sua provincia del Moviment autonomista piemonteis che cinque anni più tardi diventerà Lega Nord Piemont, deputato per tre legislature dal ’92 al 2000, poi consigliere regionale e quindi nuovamente deputato a Strasburgo dove arriva, primo mandrogno nella storia dell’europarlamento, con oltre 14mila preferenze, Rossi sale sul Carroccio quando i suoi coetanei salivano in sella alla vespa. Ma scenderà nel momento in cui la Lega vivrà la drammatica notte delle scope quando con Rosy Mauro, Francesco Belsito e Renzo Bossi, il trota, verrà spazzato via – sia pur con più garbo – lo stesso Senatur, lasciando il posto alla guida del movimento a Roberto Maroni. “Uno che da ministro dell’Interno poteva non sapere delle inchieste che erano aperte su Bossi?” si chiede, oggi come allora, l’ex parlamentare piemontese che dopo qualche mese da quello stormir di ramazze “che consentì a Maroni di prendere il posto di Umberto come aveva già tentato di fare senza successo anni prima”, se ne andò sbattendo la porta. “Avevo capito che senza Bossi e con la piega presa da Maroni, la Lega che avevamo costruito, quella che aveva riempito le piazze e il cuore di tanti piemontesi, lombardi, veneti e liguri non sarebbe più stata la stessa”.
È trascorso un lustro, Maroni governa la Lombardia, al posto suo che prima era del Senatur c’è Matteo Salvini e “la Lega continua a non essere la vera Lega, anzi se n’è allontanata ancora di più”. Se nessuno o pochi, rigorosamente a taccuini chiusi, nel Carroccio è disposto ad ammettere che da tempo si agiti una fronda contro il numero uno di via Bellerio, contestando il suo guardare al modello lepenista, sovranista e antieuropeista, certo è più facile ascoltare voci, sempre più numerose e sempre più alte, di dissenso in chi non teme epurazioni o carriere segate, visto che da tempo dal Carroccio è sceso. Nell’attesa che a guidarlo torni lui, l’Umberto. Il quale sa bene, come sanno i suoi supporter dentro e fuori il movimento, che ben difficilmente un ritorno alle origini sarà possibile grazie al congresso, quando lo si farà. “Salvini, ovviamente, si è garantito una maggioranza – osserva Rossi – . Quindi l’unica strada è quella di dare vita a un nuovo movimento, io come molti altri siamo pronti, ma se non si muove Bossi noi non ci muoviamo. Capisco anche Umberto che, da fondatore, non vuole rinunciare alla sua creatura e continua a dire che bisogna cambiarla dall’interno, ma la vedo durissima”.
Citi Marine Le Pen, per non dire CasaPound e ai leghisti della prima ora, i bossiani senza se e senza ma, viene l’orticaria come quando ai bei tempi bastava dire Roma, per scatenare il coro pavloviano di “ladrona, ladrona”. E poi quell’immagine di destra, rafforzata dall’asse con i Fratelli d’Italia: “Noi non siamo mai stati di destra, come non siamo mai stati di sinistra” ribadisce Rossi che interpreta quel comune sentire anche di parte del Carroccio che qui al Nord, dov’è nato e cresciuto ad acqua del Po e cene degli ossi, certe etichette le rifiuta preservando quella originale dell’autonomia. Nel Piemonte dei Roberto Gremmo, dei Gipo Farassino e dei discorsi di Gianfranco Miglio bevuti come dalla fonte di Pian del Re, qui le salvinate “che sembrano fare il verso a Beppe Grillo” per raccogliere voti di protesta “dimenticando quelle proposte, quei programmi che hanno fatto crescere il movimento con Bossi” confermano l’aria di fronda.
Ufficialmente tutti compatti, ma poi non è sempre così. Come non è così in Veneto dove il governatore Luca Zaia, un doroteo verde, cerca di tenere a distanza ogni polemica, ma anche nella stessa Lombardia in cui si registra più di un mal di pancia per quell’allontanamento dal vento del nord di Salvini. Se felpetta (come il Senatur chiama il segretario) ha relegato in un cono d’ombra la spinta autonomista e la visione dell’Europa, così come quella dell’economia, questo non significa affatto che l’ala autonomista sia ancora molto forte e, forse maggioritaria, nella Lega all’epoca di Salvini. Nella stessa compagine parlamentare ci sarebbe una pattuglia per nulla convinta del nuovo corso, ma si sa il seggio è prezioso e le ricandidature si decidono in via Bellerio.
Più facile parlare per chi è fuori, pronto a rientrare nel caso mutino condizioni e guida. “Siamo al paradosso: l’Europa oggi parla di doppio euro, una proposta fatta anni fa da Bossi per favorire zone meno sviluppate. E Salvini invece di intestarsi questa cosa, dicendo: è una nostra vecchia idea, che fa? la boccia”. A Rossi non è andato giù neppure il non voto ad Antonio Tajani: “A parte che lo avrei votato perché lo ritengo una persona serie e capace, ma io dico che da leghista avrei votato pure il piddino Gianni Pittella se fosse stato l’unico candidato italiano alla presidenza del parlamento europeo. Invece vanno dietro alla Le Pen”. E poi c’è la questione del Sud: “Lì ci sono andato anch’io e parecchie volte, ma a spiegare cos’era la Lega Nord e quali vantaggi avrebbe potuto avere il Sud dal federalismo serio. Salvini, invece, ci va e neppure con il nome della Lega, ma con Noi per Salvini. La differenza è enorme. Raccoglierà un po’ di voti nel meridione, ma ne perde qui al Nord”. Dove anche tra i salviniani più convinti e leali, come il sindaco di Novara Alessandro Canelli, si fa largo la domanda di un Carroccio che sia più incisivo sui temi sociali, del lavoro e dello sviluppo economico con connotazioni regionali ancor più spiccate ed evidenti.
Attorno ai nomi storici della Lega piemontese – oltre a Rossi, l’avvocato del Senatur Matteo Brigandì, l’ex sindaco di Acqui Terme Bernardino Bosio (che oggi si ricandida facendo leva proprio sul Carroccio di Bossi) – non c’è solo una nostalgia di un’epoca di successi con cui qualcuno tende a liquidare la faccenda: “C’è la consapevolezza che quella di oggi, degli ultimi anni, da quella notte delle scope in poi, non è più la vera Lega. Oggi si punta tutto sulla protesta senza proposte. Finirà che Salvini prenderà voti nuovi, dividendoseli con Grillo, magari qualcuno al Sud, ma perdendo gran parte degli elettori storici e dei consensi qui al Nord” profetizza Rossi. Lui, nel frattempo, annuncia l’ennesima calata in Piemonte del Senatur. “Sarà ad Alessandria il 24 a un convegno cui parteciperanno anche l’ex segretario dei radicali Giovanni Negri e il senatore di Mdp Federico Fornaro componente della commissione parlamentare per l’attuazione del federalismo fiscale”. Un’iniziativa promossa dall’associazione LiberaMente del fittiano alessandrino Fabrizio Priano, ma come dice non senza polemica Rossi “un momento per tornare a parlare di federalismo, parola ormai scomparsa dal vocabolario della Lega di Salvini”. Per tornare a quella di Bossi “aspettiamo l’Umberto. Se lui decide noi ci siamo. E siamo in tanti, fuori ma anche dentro”.