Obiezioni in tema di aborto di Aldo Rocco Vitale
Riceviamo in Redazione, e riportiamo, le note a margine di un articolo di Chiara Lalli del 30 ottobre scorso, pubblicate su “Centro Studi Livatino” (www.centrostudilivatino.it)
Introduzione.
«Sono traumatizzato dalla legalizzazione dell’aborto, perché la considero, come molti, una legalizzazione dell’omicidio[…]. Che la vita sia sacra è ovvio: è un principio più forte ancora che ogni principio della democrazia, ed è inutile ripeterlo[…]. Il contesto in cui va inserito l’aborto è quello appunto ecologico: è la tragedia demografica, che, in un orizzonte ecologico, si presenta come la più grave minaccia alla sopravvivenza dell’umanità»:[1] così Pier Paolo Pasolini ha sintetizzato l’essenza fenomenologica dell’aborto e, con non poca lungimiranza, anche le inconfessate conseguenze demografiche su cui esso incide, esprimendo specificamente che l’aborto fa male poiché costituisce un male in sé, un male per l’altro (il nascituro) e anche un male per la comunità intera.
Di una simile profonda lettura del fenomeno abortivo non è forse consapevole Chiara Lalli che dalle colonne de “Il Dubbio” dello scorso 30 ottobre 2024 ha invitato la comunità cosiddetta “prolife” a non sostenere che l’aborto fa male.
La tesi della Lalli si può riassumere in tre punti principali: 1) che non si può interloquire con tutti, come per esempio con i novax complottisti, con chi segue l’oroscopo o con i prolife appunto; 2) che non ci sono prove scientifiche che l’aborto faccia male né fisicamente né psicologicamente per le donne che vi si sottopongono; 3) che l’aborto è un diritto e non un’opinione.
Su tutto ciò occorre riflettere attentamente e considerare quanto segue.
Tre obiezioni.
1) La prima tesi della Lalli evidenzia una sua profonda sfiducia nei confronti della razionalità che invece dovrebbe essere la lama metodologica del pensiero, soprattutto di quello del mondo secolarizzato e non già la sua punta di lancia spezzata e smussata.
Posto, infatti, che non tutti coloro che sono stati ritenuti novax sono davvero novax,[2] che la tragedia (umana, antropologica, etica, scientifica, medica, giuridica, filosofica) della pandemia non può ridursi all’ingenuo orizzontalismo tra sivax e novax[3] (anche se per molti è stato ed è tutt’ora l’unico modo di interpretarla), e che molte delle tesi originariamente accusate di essere complottiste si sono poi dimostrate drammaticamente reali,[4] occorre ripristinare la validità del principio di ragione, cioè l’unica guida sicura nella selva oscura della realtà.
Il principio di ragione impone di riconoscere sempre che gli altri esseri umani – per quanto distante possa essere il loro pensiero dal nostro – siano capaci di ragionare e che sul dialogo razionale si possa fondare la relazione, poiché, come già aveva riconosciuto Eraclito, «il pensare è a tutti comune».[5]
Se così non fosse chi scrive non potrebbe rispondere alle tesi della Lalli, le università non potrebbero dibattere su nulla, non esisterebbe una comunità scientifica, i processi giudiziari neanche sarebbero stati inventati e tutta la realtà si ridurrebbe o in una obbedienza cieca alla voce del più forte o ad un mutismo annichilito e annichilente.
La riprova è data, tra le molteplici possibili, allo spazio che S. Agostino ha riservato nelle sue opere per dimostrare razionalmente e dialogicamente l’irrazionalità degli influssi astrologici sulle sorti umane, mettendosi in dialogo proprio con coloro che invece ne sostenevano la effettività.
La tesi della Lalli, dunque, su questo punto, travisa il metodo da adottare, si discosta dalla tradizione filosofica, tradisce la forza della ragione e ribalta il principio di realtà.
2) La seconda tesi esposta dalla Lalli risulta tanto inconsistente quanto metodologicamente e scientificamente inesatta.
Premesso che la realtà, specialmente quella di ordine morale e giuridico, prescinde dalle risultanze scientifiche, è anche pur vero che allorquando si dichiara che la scienza afferma o nega qualcosa occorre sempre dimostrare che sia così, sia per evitare il sospetto di un uso politico della scienza, sia per scongiurare ogni eventuale ideologizzazione dell’invocazione alla scienza medesima.
La Lalli non cita neanche uno studio in sostegno della sua argomentazione, mentre, invece, ne esistono numerosissimi – e da molto tempo – nel senso contrario, cioè nel senso delle conseguenze negative di breve, medio e lungo periodo che la pratica abortiva può avere sull’integrità psico-fisica della donna che vi si sottopone.
A titolo meramente esemplificativo si considerino quelli che hanno dimostrato la relazione tra aborto e nocumento psicologico,[6] la correlazione tra disordini psichiatrici gravi e aborto,[7] tra aborto e rischio di nascite pretermine,[8] tra il disagio psichico che l’aborto crea e l’utilizzo di sostanze stupefacenti.[9]
Anche per quanto riguarda il cosiddetto “aborto chimico”, cioè quello praticato tramite la somministrazione della RU486 a base di mifepristone, le esternazioni della Lalli, secondo cui l’aborto chimico è indubitabilmente e totalmente sicuro, risultano non supportate e smentite dagli studi scientifici.
Da tempo, infatti, sono conosciuti e ben consolidati nella letteratura scientifica gli effetti negativi del mifepristone che può causare infezioni ed emorragie, oltre che conseguenze emotive di lungo periodo,[10] può causare gravi eventi avversi,[11] può causare infezioni mortali,[12] può essere causa di sindromi coronariche acute,[13] tanto da essere considerato ben più pericoloso dell’aborto chirurgico,[14] facendo peraltro registrare una mortalità dieci volte superiore proprio rispetto all’aborto chirurgico.[15]
Ma anche se tutto questo fosse superato o errato rimane il problema di ordine etico-antropologico, cioè la problematicità della legittimazione della pratica di eliminare una vita umana tramite un farmaco contravvenendo all’un tempo sia all’essere della ragione che alla ragion d’essere della pratica medica, cioè di quella che dovrebbe essere considerata la più umanistica tra le discipline scientifiche e la più scientifica tra le discipline umanistiche.
Ed è proprio questo il punctum dolens, cioè l’eliminazione di una vita umana, anche in questo caso tale secondo l’accertamento della stessa scienza.
Nonostante, infatti, sia largamente condivisa l’idea che l’aborto possa riguardare una parte del corpo, la più privata perfino, della donna, così non è, per il semplice motivo che da un punto di vista squisitamente scientifico, rectius biologico, e indipendentemente dalla propria visione morale, religiosa o ideologica di riferimento, sia essa pro choice o pro life, il soggetto abortito non è una semplice parte del corpo di una donna, ma semmai un tutto geneticamente autonomo e come tale già individuo.
Tanto si apprende, infatti, dai manuali scientifici per la formazione medica; così, come esempio tra i tanti, si legge nell’autorevole manuale di embriologia: «Lo sviluppo umano comincia in corrispondenza della fecondazione, quando un gamete maschile o spermatozoo si unisce con un gamete femminile o oocito per formare una singola cellula, lo zigote. Questa cellula totipotente altamente specializzata segna l’inizio di ciascuno di noi come un individuo unico».[16]
Ecco cosa significa essere contro la vita, dato l’interrogativo retorico in tale senso della Lalli: cioè non essere in grado di riconoscere lo statuto ontologico del nascituro, o ridotto a mero grumo di cellule, o a pertinenza del corpo della madre, o a una patologia da eliminare con un farmaco dalla dubbia sicurezza, dalla incerta eticità, ma sicura fonte di lucro.[17]
Come ha insegnato Romano Guardini, infatti, «il figlio non è semplicemente “il corpo della madre”, non ne è una parte, come sarebbe un organo o un’escrescenza, bensì è invece un uomo in divenire. In questa realtà di fatto si esprime l’essenza più intima della maternità, e, in quanto ad essa collegata, anche l’essenza della femminilità in generale. Esser madre non significa “produrre vita”, ma dare la vita a un uomo. E un uomo è una persona».[18]
Essere contro la vita significa disconoscere l’essere del feto da abortire, la sua fragilità, la sua dignità.
3) Se fin qui le esternazioni della Lalli sono state quanto meno traballanti, è sul terzo profilo, cioè quello più specificamente giuridico, che mancano radicalmente di ogni solidità.
Ritenere che l’aborto sia un diritto, infatti, non corrisponde alla realtà giuridica, né alla sua prospettazione giurisprudenziale, né alla sua strutturazione normativa, né tanto meno alla sua ontologia.
Per comprendere tutto ciò è sufficiente leggere senza interpretazioni ideologiche e forzate la sentenza n. 27 del 1975 con cui la Corte Costituzionale ha “legalizzato” l’aborto in Italia – aprendo la via al legislatore per l’approvazione della successiva legge 194/1978 – con cui la Consulta ha ribadito espressamente che la tutela del concepito ha fondamento costituzionale e il diritto alla vita del feto rientra tra i diritti inviolabili dell’uomo.
Analogamente, continua la Corte Costituzionale in quella celebre sentenza, deve trovare tutela giuridica anche la tutela dell’integrità psico-fisica della gestante che dalla gravidanza può subire una lesione.
In gioco, quindi, ci sono da un lato il diritto alla vita del concepito e dall’altro il diritto alla salute psico-fisica della donna gestante: secondo la Corte Costituzionale, nell’opera di bilanciamento di tali diritti, non può essere riconosciuta preminenza assoluta al primo, ma ove la situazione lo richieda occorre tutelare anche la seconda tramite lo strumento dell’aborto.[19]
La Corte Costituzionale, dunque, non ha mai sancito l’esistenza di un diritto all’aborto.
Anche la legge 194/1978, del resto, non soltanto all’articolo 1 reitera il concetto della tutela della tutela della vita umana come diritto precedente e come principio guida, ma agli articoli 4 e 6 esplicitamente si riferisce alla tutela del diritto alla salute della donna.
Anche normativamente, dunque, nessun diritto all’aborto è stato mai riconosciuto nell’ordinamento italiano.
Infine, il piano dell’ontologia giuridica, cioè la natura giuridica dell’aborto nel nostro ordinamento.
Considerando tutto quanto predetto l’aborto non soltanto nell’ordinamento italiano non è un diritto, poiché il nostro ordinamento riconosce e tutela soltanto il diritto alla vita del concepito e il diritto alla salute, rectius integrità psico-fisica, della gestante, ma al più è una facoltà, cioè la possibilità di esercitare un potere per modificare la situazione di fatto.
E si tratta di una facoltà tanto perché essa soggiace al superiore diritto alla salute, figura giuridica piena e direttamente tutelata dall’ordinamento, quanto perché, come ha insegnato Francesco Carnelutti, la facoltà è un semplice agere licere,[20] cioè un agire che modifica la realtà senza necessità e che magari in altre situazioni non sarebbe consentito, ma che l’ordinamento consente al fine di esercitare un determinato potere, cioè, nel caso dell’aborto, il potere di porre fine ad una vita (quella del concepito) per salvarne un’altra (quella della madre).
Chiara Lalli, dunque, non tiene in dovuta considerazione la natura giuridica dell’aborto che non è un’opinione proprio perché non è un diritto.
Conclusioni.
«I molti non colgono la vera natura delle cose in cui si imbattono, né le conoscono dopo averle apprese, ma se ne costruiscono un’opinione»:[21] così ha chiosato Eraclito a proposito di chi non riesce ad accedere all’essenza preferendo rimanere in superficie, come spesso accade in tema di aborto in cui quasi tutti hanno un’opinione pur non avendo adeguatamente riflettuto sul punto. Il tutto si complica maledettamente quando addirittura chi ha solo un’opinione superficiale vuole silenziare chi ne ha una diversa, magari scientificamente fondata. E si complica ancor più, con d danno per le donne, alle quali va impedito di conoscere la verità delle cose.
In conclusione, allora, si può ritenere che l’argomentazione della Lalli non è solamente scientificamente fragile e giuridicamente sbagliata, ma è anche teoreticamente insostenibile poiché non tiene in debito conto le distorsioni che proprio a livello giuridico vengono introdotte dall’eventuale concezione dell’aborto come diritto, in quanto, come ha insegnato Sergio Cotta, «il diritto non può violare il principio della inviolabilità dell’innocente senza negare la propria essenza di regola giusta per trasformarsi in violenza. Là dove per legge diventa lecito uccidere un innocente, s’instaura l’arbitrio, ossia la licenza di compiere o di non compiere a proprio piacimento un atto dannoso per altri […]. E questo arbitrio è, concettualmente ed esistenzialmente, la negazione della regola e della vita secondo la regola».[22]
Aldo Rocco Vitale
[1] Pier Paolo Pasolini, Scritti corsari, Garzanti, Milano, 1990, pag. 98-101.
[2] Maddalena Loy, “E’ novax”: GEDI risarcisce pediatra, in La Verità, 1 novembre 2024.
[3] Aldo Rocco Vitale, All’ombra del Covid-19. Guida critica e biogiuridica alla tragedia della pandemia, Il Cerchio, Rimini, 2022.
[4] Aldo Rocco Vitale, Pfizer ammette che il vaccino non evita il contagio, in L’Opinione, 13 ottobre 2022.
[5] Eraclito, fr. 113, in AA.VV., I presocratici. Testimonianze e frammenti, Bari, 1981, pag. 219.
[6] Priscilla Coleman, Abortion and mental health: quantitative synthesis and analysis of research published 1995–2009, in The British Journal of Psychiatry, 199/2011.
[7] AA.VV., Relationship between induced abortion and the incidence of depression, anxiety disorder, adjustment disorder, and somatoform disorder in Germany, in Journal of Psychiatric Research, 23 april 2019.
[8] AA.VV., History of induced abortion as a risk factor for preterm birth in European countries: results of the EUROPOP
Survey, in Human Reproduction 3/2004; AA.VV., Effect of induced abortions on early preterm births and adverse perinatal outcomes, in Journal of Obstetrics and Gynaecology Canada, frevier 2013; AA.VV., US trends in abortion and preterm birth, The Journal of Maternal-Fetal & Neonatal Medicine, 21 june 2017.
[9] Priscilla Coleman, Induced abortion and increased risk of substance abuse: a review of the evidence, in Current Women’s Health Reviews, 1/2005.
[10] AA.VV., Mifepristone, in The Annals of Pharmacotherapy, 35/2001; AA.VV., Mifepristone antagonization with progesterone to prevent medical abortion, in Obstetrics & Gynecology, december 2019.
[11] AA.VV., Analysis of severe adverse events related to the use of mifepristone as an abortifacient, in The Annals of Pharmacotherapy, 40/2006; AA.VV., Significant adverse events and outcomes after medical abortion, in Obstetrics and Gynaecology, 121/2013.
[12] James McGregor, Risks of mifepristone abortion in context, in Contraception, 72/2005.
[13] AA.VV., Acute coronary artery vasospasm associated with misoprostol for termination of pregnancy, in Fetal Diagnosis and Therapy, 27/2010.
[14] Hayley Messenger, Mifepristone in South Australia, in Australian Family Physician, 5/2011.
[15] Michael Greene, Fatal infections associated with mifepristone-induced abortion, in New England Journal of Medicine, 1 dec 2005; AA.VV., Deaths and severe adverse events after the use of mifepristone as an abortifacient from September 2000 to February 2019, in Issues in Law & Medicine, 1 nov 2021.
[16] Keith Moore – T.V.N. Persaud, Lo sviluppo umano prenatale dell’uomo. Embriologia ad orientamento medico, EdiSes, Napoli, 2009, pag. 15. In tale direzione anche il manuale di Pasquale Rosati in cui si spiega che la fecondazione, cioè la fusione della cellula maschile, spermatozoo, e di quella femminile, oocita, è indispensabile «per dar vita al nuovo individuo»: Pasquale Rosati, Embriologia generale dell’uomo, Edi-Ermes, Milano, 2004, pag. 5.
[17] https://thisischemicalabortion.com/profiting-from-death-the-abortion-pill-is-making-original-investors-millions/
[18] Romano Guardini, Il diritto alla vita prima della nascita, Morcelliana, Brescia, 2005, pag. 19.
[19] «La tutela del concepito – che già viene in rilievo nel diritto civile (artt. 320, 339, 687 c.c.) – abbia fondamento costituzionale. L’art. 31, secondo comma, della Costituzione impone espressamente la “protezione della maternità” e, più in generale, l’art. 2 Cost. riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, fra i quali non può non collocarsi, sia pure con le particolari caratteristiche sue proprie, la situazione giuridica del concepito. E, tuttavia, questa premessa – che di per sé giustifica l’intervento del legislatore volto a prevedere sanzioni penali – va accompagnata dall’ulteriore considerazione che l’interesse costituzionalmente protetto relativo al concepito può venire in collisione con altri beni che godano pur essi di tutela costituzionale e che, di conseguenza, la legge non può dare al primo una prevalenza totale ed assoluta, negando ai secondi adeguata protezione»: Corte Costituzionale, n. 27/1975.
[20] «Che la modificazione consista in un agere vuol dire che il soggetto del potere opera direttamente sul mondo esteriore, determinandone la modificazione, così che senza di esso il mondo sarebbe stato diverso. A questa figura di potere si dà il nome di facoltà (facultas, da facere). La facoltà è una forma di potere incompatibile con il dovere e perciò un agere licere, non debere; se la modificazione fosse necessaria anziché semplicemente possibile, il potere, manifestamente, si convertirebbe in dovere»: Francesco Carnelutti, Teoria generale del diritto, ESI, Camerino, 1998, pag. 151.
[21] Eraclito, Dell’origine, Feltrinelli, Milano, 2007, pag. 148, Fr. 86.
[22] Sergio Cotta, Perché il diritto, La Scuola, Brescia, 1979, pag. 100.
[Autore: Aldo Rocco Vitale | Fonte: https://www.centrostudilivatino.it/obiezioni-in-tema-di-aborto/]