Newsletter Alpina – Dialexis n. 11/2017

Riceviamo in Redazione e riportiamo la newsletter n. 11 di Alpina-Dialexis, a cura di Riccardo Lala, del 31 marzo 2017
SESSANT’ANNI DAI TRATTATI DI ROMA: L’”Europa a molte dimensioni “c’e’ sempre stata
(e sempre ci sarà)
Dieci anni fa, Alpina e Diàlexis celebravano, presso la sede della Regione Piemonte, in Piazza Castello a Torino, i Cinquant’Anni dei Trattati di Roma, con la mostra “Immagini e riflessioni per i 50 anni dei Trattati di Roma” e la presenza di Jean Pierre Malivoir, il funzionario dell’ Unione che aveva inventato il logo dell’ Euro. La mostra era stata inaugurata dall’ allora presidente della Regione, Mercedes Bresso. In tal modo, Alpina e Diàlexis erano state le sole organizzazioni in Piemonte a celebrare solennemente quella ricorrenza, certo, con l’appoggio della Regione, ma rischiando in proprio, e spingendo le Istituzioni a fare qualcosa che, da sole, non avrebbero mai fatto (cfr, Jean Pierre Malivoir, 50 ans d’Europe, Images et reflexions, Alpina, Torino, 2007 (http://www.alpinasrl.com).
In 10 anni di attività, abbiamo tentato inutilmente, in tempi non sospetti, di sensibilizzare le Istituzioni, le Chiese, l’accademia, i partiti, le imprese, la società civile, sull’ esigenza della difesa dell’ Identità Europea fondata sulla libertà, la differenza, la meritocrazia, le tradizioni culturali e religiose, e della concreta attuazione, in contrasto con la globalizzazione, del modello socio-politico europeo, fondato sulla centralità del patrimonio naturale e culturale, sul pluralismo, le Euroregioni, l’autoorganizzazione delle categorie, la piena occupazione. Tranne alcune limitatissime e lodevoli eccezioni, l’”establishment” non ha mai voluto dare seguito a quanto sopra, né neppure rispondere a nostri circostanziati messaggi, e addirittura volumi (cfr. “1000 anni di Identità Europea”; i “Quaderni di Azione Europeista”), spesso con l’ assurda motivazione che quelle cose “non sarebbero di loro competenza” (Androulla Vassiliou, Commissaria europea alla cultura). Oggi, nessuno potrà certo accusarci di euroscetticismo se celebriamo questo anniversario in modo molto critico. Ci scusiamo con i lettori per la necessaria pedanteria, ma è giunto il momento di mettere i puntini sulle “i”.
Sempre il 25 marzo 2007, cinquantenario dei Trattati, sulla prima pagina de “La Stampa” di Torino era comparso un articolo di Vladimir Putin, in cui il Presidente russo affermava, innanzitutto, di considerarsi, in quanto Pietroburghese, un Europeo a pieno titolo, e, inoltre, di apprezzare l’ Unione Europea in quanto massima realizzazione politica del XX° Secolo. Tant’è vero che la Russia, la Bielorussia, il Kazakhstan, l’Armenia e le Repubbliche centro-asiatiche hanno costituito l’Unione Eurasiatica, ricalcata fedelmente sull’ Unione Europea. Perciò, non si capisce perché non sia mai stata presa sul serio l’offerta di Gorbaciov, di El’cin, e, perfino, dello stesso Putin, d’integrare la Russia nell’ Europa. Oggi, ancor peggio, dall’”establishment” americano e dal PPE, ci chiedono di stare attenti ai buoni rapporti fra la Russia e taluni partiti italiani ed europei, quando, ripetiamo, nessuno può contestare l’europeità di Pietroburgo e di Mosca e dei loro leaders. In pratica, I Russi (e i Turchi) sono stati trattati collettivamente dall’ Unione come la Vassiliou ha trattato Alpina.Non potranno continuare a comportarsi sempre così.
Franco Cardini, ha dedicato a questi temi il Minimum Cardinianum n 167, che citeremo e commenteremo. Con il presente intervento, riallacciare un dialogo approfondito su questi temi. proponendoci di formulare al più presto un’ idea più articolata.
1. Speranze tradite
Dopo 10 anni, le speranze che un po’ tutti avevamo nutrito nell’ Unione Europea non si sono comunque avverate. Come scrive Cardini, “La Commissione Europea e il suo Presidente, editori del Libro Bianco, dovrebbero vergognarsi. E’ evidentemente indegno di un’entità che si propone come in qualche modo ‘di governo’ il proporre tante e tanto differenti ed eterogenee strade per il futuro”. Intanto, l’ Europa spende nella Difesa quanto Russia e Cina messe insieme, senza avere nemmeno un esercito proprio, e invece dipendendo al 100% dalla NATO. Intanto, il PIL europeo sale, quando sale, dell’1-2% (il che significa che scende rispetto all’obsolescenza programmata), mentre quello cinese sale costantemente almeno del 6,5%, accingendosi così a superare quello europeo. Solo il 35% degli Europei è occupato, e la disoccupazione riguarda almeno la metà dei giovani.
Per quel che ci riguarda, la delusione supera, se possibile, quella della maggior parte dei cittadini, e dello stesso Cardini, in quanto l’unificazione europea non ci era mai apparsa, fin dagli Anni 50, né come una prosaica necessità dopo il secondo conflitto mondiale, né come un comodo schema per profittare al meglio della ricostruzione, né tanto meno come la realizzazione della Pace Perpetua, bensì come un’esigenza spirituale, sentita dal meglio della cultura europea (da Nietzsche a Mann, da Zweig a Simone Weil), per fare fronte al crescente nichilismo: “Il deserto cresce, guai a chi cela in sé il deserto!”
Degli anni ‘50, Cardini dice: “Sta di fatto che ci attendevamo decisivi e rapidi passi avanti sulla via dell’integrazione politica”. Che, in ’70 anni, di certo non ci sono stati. Lo sconcerto generale è stato messo in evidenza, fra l’altro, dai 5 discordanti cortei che hanno attraversato il centro di Roma il 25 marzo, per supportare o contestare la Dichiarazione Comune di Roma, firmata dai capi di Stato dei diversi Stati Membri.
Le ragioni profonde per questa delusione si possono così riassumere:
-L’Unione si è rifiutata di lanciare, come avrebbe potuto, e dovuto, una propria autonoma politica culturale e informatica (un’”Ivy League Europea”, un “Google europeo”, come da noi richiesto con varie lettere aperte e pubblicazioni), concentrandosi invece sempre più su autolesionistiche regole economiche, come l’austerità e le sanzioni alla Russia, che sono state utili solo per i nostri concorrenti (il “contingentamento dell’ Europa” , previsto già da Trockij), portando le nostre economie alla rovina e provocando una disoccupazione mai vista prima;
-Dopo l’allargamento all’ Europa Centrale e Orientale, i Paesi di quella occidentale e settentrionale, anziché cambiare i loro orientamenti culturali economicistici e tecnicistici, avvicinandosi con ciò alle esigenze culturali e identitarie dei Paesi dell’ Est (Dostojevskij, Herceg, Ivanov, Lem, Gumilev), che avevano combattuto a Berlino, Budapest, Praga, Danzica, Lubiana, Belgrado e Sarajevo, hanno invece accentuato il loro ideologismo tardo-modernistico (l’”arroganza Romano-Germanica” denunziata a suo tempo, in “Europa e Umanità”, dal Principe Trubeckoj). Per via di quest’arroganza, sono stati avallati, se non provocati, fatti gravissimi, come l’assalto genocidario all’ Ossezia del Sud e il colpo di Stato di Kiev contro il governo regolarmente eletto, ambedue spacciati dai media occidentali come aggressioni della Russia ai miti e inoffensivi Georgiani e Ucraini;
-Contemporaneamente, le trattative con la Turchia sono state prolungate ad arte sine die, fino a portare anche quel Paese all’ esasperazione, al tentativo di golpe e all’attuale ipertrofia identitaria.
-I media stanno descrivendo la legittima rivolta dei cittadini europei contro la classe dirigente responsabile di questi errori come se si trattasse di una rivolta contro l’ Europa, mentre invece è una rivolta contro l’intero quadro geopolitico e tutte le classi dirigenti “nazionali”. In un quadro in cui l’insieme dei partiti presenti nel Parlamento Europeo riceve solo il 35% dei voti, e i partiti pro-sistema il 27% circa, gli “euroscettici” totalizzano appena l’8% . Quindi, questi sono ancor meno rappresentativi dei partiti di governo. Il che è tutto dire. I veri critici dell’ attuale orientamento dell’ Unione si annidano invece in quel 65% di elettori che rifiuta, ormai sistematicamente, di votare per qualsivoglia partito a qualsivoglia elezione. Quegli elettori non vogliono meno Europa. vogliono un’Europa governata da un’altra, diversa, classe dirigente: culturalista, e non materialista; indipendente, e non eterodiretta; meritocratica, e non livellatrice; autorevole, e non semplicemente ridicola come quella attuale, composta esclusivamente da comici, affaristi, nani e ballerine.
La realtà è che, nell’ attuale Unione, non esiste una vera voce dell’ Europa, ma solo quella degli Stati Membri. Perciò, quando si dice che certe cose “le impone l’ Europa”, ciò vuol dire in realtà che le hanno decise i politici degli Stati Membri (cioè quegli stessi che se ne lamentano), una casta ormai avulsa dalla realtà, delegittimata dal voto ma totalmente padrona delle strutture brussellesi, dove i funzionari europei (meno numerosi di quelli di un grande Comune come Roma), unico baluardo degl’interessi del Continente, sono ridotti a un ruolo praticamente servile. Questi politici sono stati selezionati dai Poteri Forti per impedire che l’ Europa faccia qualcosa di sensato (da una mostra sulla Civiltà Danubiana a un motore di ricerca europeo). Quando qualcuno propone di farlo, si alza subito un muro di gomma.
La sfida per il futuro sarà quella di dare all’ elettorato una diversa classe dirigente: con una battaglia culturale che permetta di selezionare una nuova “élite”; con una battaglia politica che permetta di costruire un movimento di veri patrioti europei; con una battaglia elettorale che permetta di prendere in mano le istituzioni per riorientarle verso la rinascita del Continente; con una ristrutturazione economica che, anziché assecondare l’espansione del complesso informatico-militare, renda possibile sostenerne l’assalto; con una popolazione finalmente solidale con le Istituzioni nella comune lotta di liberazione!
2.Un’incapacità generalizzata
Per comprendere perché l’Europa di oggi non può funzionare, basta scorrere le considerazioni di circostanza sull’anniversario pubblicate sui media, che sono state assolutamente carenti di prospettive e di buon senso, tanto per ciò che concerne la diagnosi, quanto per ciò che riguarda i rimedi proposti. Esse hanno anticipato i toni delle dichiarazioni ufficiali, che si sono distinte a loro volta per la loro retorica, ripetitività, vaghezza, autoreferenzialità ed ipocrisia.
Quanto all’ analisi della situazione, molti hanno ridotto meschinamente l’origine e la natura del progetto europeo, quale esso era stato delineato dal Movimento Europeo, anticipato dalla “Dichiarazione Schuman”, realizzato con i Trattati di Roma e implementato con quelli di Maastricht, di Amsterdam e di Lisbona. Non si trattava affatto, come ha ripetuto ancora assurdamente Christian Salmon su “La Repubblica”, di un semplice “progetto economico liberista”(anche perché nel 1951 i liberisti praticamente non c’erano). No, l’idea era politica, e aveva perfino pretese filosofiche. E non era liberista, bensì “ordo-liberale”, cioè tecnocratica. Peccato che si trattasse comunque di un’idea sbagliata e di una filosofia inconsistente. Nella “DIchiarazione Schuman” si affermava infatti che il principale problema da risolvere era la guerra, e, in particolare, la guerra fra Francia e Germania. Si trattava di un’idea vecchia, risalente almeno a Fichte, e con qualche assonanza nazista. Secondo Fichte (che viveva in Germania ai tempi di Napoleone), il “nocciolo duro” dell’ Europa era costituito dai Germani, o, meglio ancora, dai Franchi, antenati delle aristocrazie europee, soprattutto francese e tedesca. Secondo Fichte, i Germani avrebbero dovuto smetterla di farsi la guerra fra di loro, come accadeva appunto ai tempi di Napoleone, per concentrarsi sulle guerre coloniali contro i barbari abitanti del resto del mondo. In questo senso, anche Fichte era un filosofo della Pace Perpetua, ma la intendeva come pace fra gli Europei per meglio fare guerra agli altri (l’ Ewiger Landfrieden” del Sacro Romano Impero). Anche Mazzini pensava che le “razze vediche” dovessero spartirsi il mondo coloniale e Nietzsche parlava di “Europa Una e signora del mondo”, mentre Coudenhove-Kalergi, autore del “Progetto Briand” citato da Schuman, pensava che gli Europei dovessero mettere in comune i loro rispettivi imperi .
Per altro, contrariamente a quanto ora da tutti affermato, la Seconda Guerra Mondiale non era stata certo scatenata dalla rivalità franco-tedesca, bensì, come spiegato nel “Mein Kampf”, dal tentativo della Germania hitleriana di rovesciare, soprattutto ai danni dell’ Europa Orientale, gli equilibri mondiali, alterati dalla distruzione degl’Imperi Centrali, con la ricostituzione, in quell’area, di un’egemonia congiunta austro-tedesca. Come Hosea Joffe e Domenico Losurdo hanno posto bene in evidenza, l’idea del Lebensraum era tutt’altro che stravagante per l’epoca, poiché, anzi, costituiva la logica prosecuzione del colonialismo di tutti i Paesi europei, degli USA e dell’ URSS, oltre che dell’ imperialismo economico delle grandi imprese tedesche.
Ai tempi di Monnet e di Schuman, per altro, l’America aveva già imposto agli Europei, con la Carta Atlantica, l’abbandono degl’imperi coloniali, sicché, per “barbari” si dovevano intendere, ora, i Paesi del blocco sovietico (cosa che infatti avvenne puntualmente con la demonizzazione dell’ intero blocco, sulla falsariga dell’odio hitleriano per “gli Slavi”, oltre ovviamente che per gli Ebrei, anch’essi “orientali”). La pace fra Francia e Germania sarebbe stata da allora di fatto garantita, non già dalle Comunità Europee, bensì dall’ occupazione militare delle due Germanie; quella con l’URSS, dall’ “equilibrio del terrore”. Del resto, addirittura Stalin era parte di questa “Conspiracy”, come dimostrato dalle sprezzanti risposte date a Togliatti, a Nenni e a Djilas che gli “chiedevano il permesso” di scatenare una rivoluzione socialista. Dopo 250 anni d’ingerenze russe, ma soprattutto americane (Orlov e Franklin, Gramsci e Allen Dulles, PCI e “Gladio”, “dottrina Brezhnev” e interventi di Obama a favore di Renzi), è grottesco che chi non cessa di manovrare come marionette i politici europei, e chi, fino a ieri, aveva addirittura come simbolo la bandiera dell’ URSS, pretenda che un uomo politico europeo come Putin non possa interfacciarsi con i colleghi europei a lui politicamente più affini. Peggio ancora, il divieto, da parte del Governo olandese, dei comizi del Presidente turco Erdogan, leader democraticamente eletto di un Paese europeo, associato alla UE e membro della NATO..
3.Il funzionalismo fuori tempo massimo
Cosa suggerivano nel 1950 i “Funzionalisti” come Monnet e Schuman affinché gli Europei vivessero insieme pacificamente in modo duraturo? Semplice: la forza dell’abitudine, come nel romanzo “Arancia Meccanica”, reso celebre dall’ omonimo film di Kubrick, o la “politica dei fatti compiuti” come chiaramente espresso nei protocolli segreti dell’ Auswärtiges Amt di Ribbentropp. Perduta la possibilità di farsi la guerra, gli Europei si sarebbero dedicati esclusivamente all’economia, sfruttando lo straordinario apparato industriale creato per le guerre mondiali, e miracolosamente rimasto intatto – anzi accresciutosi, nel corso del conflitto-. Peccato che Burgess e Kubrick avessero già previsto che il protagonista di Arancia Meccanica, reso pacifico con una sorta di “cura omeopatica” a base di documentari sulla violenza, divenisse poi la vittima e lo zimbello di tutti.
L’obiettivo del “metodo funzionalistico” era appunto quello di abituare gli Europei alla centralità dell’ economia, disabituandoli invece dalla politica, che invece avrebbe voluto sviluppare Spinelli. L’idea che il “doux commerce”, garantito dalla supremazia militare americana, avrebbe reso obsolete le guerre, risalente a Kant e Constant, non teneva conto, se non altro, dei conflitti fra gli altri Continenti (Guerra Fredda, Guerre di Corea e del Viet Nam, conflitto arabo-israeliano), che avrebbero finito per destabilizzare la Pax Americana e la stessa Europa.
Affinché l’economia europea potesse prosperare, bastava, comunque, convertire alla produzione civile le enormi potenzialità delle industrie militari create dall’ Asse, lasciando in piedi la Grossraumwirtschaft di Speer, e, prima di lui, già di Rathenau, e non ricostituire affatto le frontiere “piccolo-nazionali” interne all’ Europa, create con il Trattato di Versalles e smantellate appunto dalla Grossraumwirtschaft. Non per nulla la pace europea fondata sul funzionalismo era già stata anticipata, nel 1941,da Signal, la rivista dell’ esercito tedesco: ”così, cominciando dall’ economia, si vengono già delineando i contorni della pace cui tende la Germania. Tale pace, dovendo trovare le forme politiche più adatte ed efficaci per l’indole politica delle nazioni che agiscono in Europa, non può venir disegnata con la riga e col compasso, ma deve sorgere gradatamente, osservando realisticamente il bilancio europeo. Perciò non c’è da meravigliarsi se oggi, della pace e della nuova Europa, esiste già molto più di quanto i più possano vedere e perfino immaginare.” Come si vede, perfino la Wehrmacht e le Waffen SS proclamavano da tempo ufficialmente di perseguire, attraverso un approccio funzionalistico, la pace in Europa (anche se in mezzo allo scetticismo generale, e, in primo luogo, di Hitler, che non avallò mai totalmente queste posizioni),. Comunque sia, Spinelli, Jünger, Allen Dulles, Fulbright, Monnet e Schuman non dovettero compiere un grande sforzo intellettuale per costruire quelle retoriche della Pace Perpetua e dei “Piccoli Passi”(tanto avversata da Spinelli),che ora i pronipoti dei Padri Fondatori si limitano a ripetere meccanicamente. Si dice ora che l’idea nazista della pace era diversa da quella della UE perché quella nazista era circoscritta all’ interno del Reich; tuttavia, anche la Pax Americana, di cui le Comunità Europee sono parte, si situa nella stessa logica, poiché, fuori dell’ Impero, continua la “Guerra senza Limiti”.
Non a caso la Comunità del Carbone e dell’ Acciaio metteva in comune proprio quelle industrie di base che erano state il “nocciolo duro” della politica degli armamenti dell’ Asse. Jean Monnet, vero architetto del progetto, aveva lavorato presso l’ Ente anglo-americano per gli Armamenti. I suoi modelli erano dunque la Tennessee Valley Authority e il Progetto Manhattan, ma si calavano su un continente già unificato dalla programmazione bellica tedesca (Vierjahresplan) e da quella del Piano Marshall; Hallstein aveva lavorato, durante la guerra, per la potentissima lobby dell’ industria chimica tedesca, responsabile, tra l’altro, di Auschwitz. Del resto, anche il COMECON creato dai Sovietici non era che un prolungamento dell’Accordo Economico annesso al Patto Molotov-Ribbentropp e del clearing instaurato dai nazisti con i Paesi est-europei.
Per altro, anche la politica immaginata da Spinelli non era certo meno “fredda” dell’ economia di Schuman e Monnet: infatti, essa aveva come scopo una pace inautentica , e che, in realtà, non era materialmente possibile, perché si viveva appunto in piena Guerra Fredda: una pace che comunque, non era certo “merito” delle Comunità Europee, bensì era un corollario dell’ egemonia americana. Anche il benessere era semplicemente un effetto riflesso della riconversione dell’abnorme apparato militare. L’esatto contrario della “Pace Perpetua”. Tant’è vero che, più ci si è allontanati dalla IIa Guerra Mondiale, più l’economia occidentale (e giapponese) ha perso di mordente.
Nonostante quanto precede, l’effetto pratico della facile ricostruzione post-bellica fu quello di dare, alla maggior parte della popolazione, quel senso di sollievo che fu chiamato “Miracolo Economico”. Un mito tardo a morire (basti pensare al furoreggiare del “rétro”). Ma quel sollievo non era certo legato all’ Unione Europea, dato che gli stessi fenomeni si verificavano, e si verificano anche oggi, contemporaneamente anche nel “blocco socialista” e in Giappone. Però, affinchè gli Europei si appassionassero al progetto, non già ai soldi, ci sarebbe voluta almeno una vera Europa culturale, industriale e militare, che invece venne rinviata sine die a favore dell’ economia, con il risultato di minare ancor più la credibilità dell’ Europa, e di renderne fragili le basi una volta esauriti gli effetti di droga del “Keynesismo militare”. Non per nulla, affinché la società mantenesse dopo molti decenni lo slancio iniziale, nell’ ex mondo comunista si è dovuto sostituire, all’ ideologia materialistica del marx-leninismo, il culto delle tradizioni, ivi compresa, si noti, quelle della “Grande Guerra Patriottica”.
Intanto, in questi ultimi sessant’anni, proprio sotto l’impulso, da un lato, delle ideologie meccanicistiche e materialistiche della Modernità, e, dall’ altra, delle esigenze della Guerra Fredda, si sviluppavano, da un lato, la rivoluzione informatica, e, dall’ altra, il “Totalitarismo Invertito” di cui parla Wolin, con il risultato finale della “Società del Controllo Totale”, nella quale siamo attualmente immersi. Il mito della “Pace Perpetua”, già poco sostenibile, come abbiamo visto, negli Anni ‘50, è divenuto semplicemente assurdo oggi, quando i decenni di apparente pace e di progresso tecnologico hanno portato l’ Europa, non già alla serenità e al benessere, bensì alla recessione e alla disoccupazione tecnologica generalizzata. Si pensi che, secondo le previsioni degli esperti, nei prossimi anni, nei soli Stati Uniti, l’applicazione delle più recenti forme di automazione provocherà la perdita di un ulteriore 35% di posti di lavoro, a cominciare da quelli in campo militare, che le macchine (Big Data, Mass Surveillance, Droni) controllano ormai già completamente.Resterà occupato solo il 20% della popolazione.
In un’ Europa divisa, rasa al suolo ed occupata, anche la modesta pace funzionalistica poteva sembrare un vantaggio rispetto all’ amministrazione straniera diretta. Oggi, non è più così; si impone dunque un’ “Europa Sovrana”. Ne consegue che, se nel secolo scorso, si poteva ancora “vendere” abbastanza bene il “metodo funzionalistico” a un popolo europeo abbrutito dalla propaganda dei partiti e dal consumismo, oggi, neppure la maggioranza materialistica ed economicistica riesce più a credere che la Pax Americana e la tecnocrazia brussellese riescano a risolvere nessuno dei suoi problemi.
4. Riunificare i “Due Polmoni” dell’ Europa
Lo scontro fra Europei orientali e occidentali sulle “due velocità” è una pura diversione retorica dai problemi reali, in quanto l’Europa a più velocità c’è già, e c’è sempre stata, come chiarito nella precedente Newsletter n. 10. E, a ben vedere, chi è sulla strada di un’”unione sempre più stretta” e, nel contempo, di una vera sovranità, sono proprio i Paesi dell’ estremo Oriente dell’ Europa, vale a dire quelli che aderiscono contemporaneamente all’ Unione Eurasiatica (ricalcata sull’ Unione Europea) e alla Confederazione di Stati Indipendenti (il cui statuto ha fornito il modello per i programmi dei “sovranisti”). Anch’esse espressioni egregie dell’ esistente “Europa a più velocità”. Gli Stati della CIS, come dice il loro stesso nome, sono autenticamente indipendenti, avendo realizzato una vera politica estera e di difesa comune, capace di tener testa alle pretese egemoniche del Complesso Informatico-Militare.
Giorgia Meloni, in un’intervista rilasciata a “Sputnik Italia”, ha affermato , a questo proposito, “Intanto io credo che la Russia sia Europa. Questi signori che oggi stanno celebrando l’Unione europea e che si sentono l’Europa in realtà devono sapere che loro non sono l’Europa. L’Europa esisteva molto prima dell’Ue, esisterà anche dopo e spesso esiste nonostante l’Unione europea. L’Europa ha dei confini e una storia molto più ampi dell’Ue.” Quanto all’ On. Di Stefano, dei 5 Stelle, ha affermato che Putin è un interlocutore necessario nella lotta al Medio Oriente, perché ha vinto la partita in Siria. Tutto verissimo e giustissimo, ma il problema non è, come viene posto dai “media”e dal PPE, che si “tifi” per la Russia o per l’ Occidente, bensì che la “Road Map” dei “Russofili” non è più chiara e concreta di quella degli Atlantististi. Per esempio, gli onorevoli Meloni e Di Stefano ci dovrebbero spiegare come contano di organizzare l’iter verso la formazione di una struttura europea comprendente la Russia, visto che l’ Unione Eurasiatica prevede proprio quel tipo di cessione della sovranità, per esempio in campo militare, che essi non accettano verso l’ Unione Europea. Come dice Cardini, “’sovranisti’ che tali peraltro non sono (rivendicare la sovranità monetaria tacendo o fingendo di non vedere che gli stati europei, occupati dalla NATO ch’è una forza armata comandata dagli statunitensi con il concorso di eserciti “ascari”, è indecente e ridicolo: la prima sovranità da rivendicare è quella della difesa e della sicurezza, strettamente correlata a quella diplomatica, cioè alla politica estera)”.
Ma, anche al di là di queste che non sono “technicalities”, si pone la questione storica: come modificare la cultura delle due Europe in modo da far comprendere a tutti che, da Caterina IIa a De Maistre, da Czartoryski a Fiodorov, da Berdiajev a Capek, da Zamiatin a Orwell, da Tsiolkovskij a Anders, gli Europei dell’ Ovest e dell’ Est non hanno mai cessato d’intrattenere un dialogo serrato sui temi più scottanti del nostro tempo, cosa che testimonia la loro unitaria identità. Quello che Giovanni Paolo chiamava, citando Viačeslav Ivanov, “Respirare con due polmoni”)
5.I limiti della Dichiarazione di Roma
La “Dichiarazione Comune di Roma”, una pagina e mezzo firmata dai Governi il 25 marzo, costituisce un concentrato di luoghi comuni, retorica e evasività (superando, in ciò, il “Libro Bianco”), e, soprattutto, persevera nell’interpretazione tradizionale, ed errata, della situazione mondiale, propria all’ establishment occidentale, rendendo così impossibile ogni ragionevole sforzo di rilancio dell’ Europa. Il punto più grottesco della Dichiarazione è che, dopo avere strombazzato per settimane la volontà della Germania d’imporre l’introduzione di un’ “Europa a Due Volocità”, fattualmente assurda perché già esistente, ma deliberatamente offensiva per la maggior parte degli Stati Membri, la Merkel ha dovuto cedere, “dans l’espace d’un matin” alle richieste di…Beata Szydło.
L’unica cosa corretta nel documento è l’affermazione secondo cui: “Agendo singolarmente saremmo tagliati fuori dalle dinamiche mondiali. Restare uniti è la migliore opportunità che abbiamo di influenzarle e di difendere i nostri interessi e valori comuni”. Purtroppo, il documento insiste sul fatto che “Agiremo congiuntamente, a ritmi e con intensità diversi se necessario, ma sempre procedendo nella stessa direzione, come abbiamo fatto in passato”- frase che è stata al centro delle polemiche con la Polonia-. “Sempre procedendo nella stessa direzione” è, a nostro avviso, sbagliato per due motivi: innanzitutto, perché la direzione attuale ci ha portato su un binario morto; in secondo luogo, perché l’omologazione sugli stessi standard di Paesi molto differenti, come la Bulgaria e la Svezia, la Grecia e il Lussemburgo, non può produrre che risultati distorsivi, riducendo, e non accrescendo, il potere di manovra del governo centrale. Quelli citati sono tutti Paesi che conosciamo bene, sicché sappiamo che, prima degli sforzi di omologazione intrapresi dall’ Europa, vivevano ciascuno benissimo a modo suo. Questo non significa che l’ Europa non sia necessaria, ma che l’ Europa deve rispettare le diversità, anche e soprattutto nell’ economia. Per esempio, in Bulgaria si viveva essenzialmente in campagna; in Svezia si pagavano tasse iperboliche sugli alcolici e in Grecia sulle automobili, mentre, infine, in Lussemburgo le auto costavano la metà che in Italia. Tutto ciò aveva precise ragioni storiche, che oggi sono state travolte nel nome della “convergenza”. Ma veramente la convergenza fiscale e urbanistica è così essenziale per la compattezza di un grande Stato? Ad esempio, in Cina -Stato notoriamente compatto, ben organizzato e “di successo”- è normale che le diverse macro-aree seguano modelli di sviluppo molto diversi, proprio perché il Governo centrale possa giocarsi, nell’ ambito della sua strategia complessa di egemonizzazione dell’ economia mondiale, di volta in volta, i bassi salari delle province occidentali, il gigantismo industriale della Manciuria, la finanza internazionale del Guangdong, oppure l’economia virtuale del Zhejiang.
6.Le tre cose più urgenti
Per quanto ci sembri illogica l’idea, suggerita da Juncker, che l’Unione debba concentrarsi a fare meno cose (infatti, oggi non ne sta facendo assolutamente nessuna), e, per questo, stiamo preparando un convegno e una pubblicazione di proposta alternativa, tuttavia, anche noi concordiamo circa il fatto che s’impongano delle priorità. Queste sono, a nostro avviso, le seguenti: una politica culturale europea e la riforma della leadership.
Invece, i nostri pretesi leader continuano a focalizzarsi su realtà e problemi che non esistono più fin dal XX° secolo, perseverando diabolicamente a ignorare quelli del XXI°, e nascondendo quelli di attualità. Ad esempio, fra le “ sfide senza precedenti”, la Dichiarazione cita, come sempre: “conflitti regionali, terrorismo, pressioni migratorie crescenti, protezionismo e disuguaglianze sociali ed economiche”, senza neppure menzionare l’avvento delle Macchine Intelligenti, dell’ Uomo in Provetta, del Controllo Totale, della cyberguerra, della disoccupazione tecnologica, della colonizzazione informatica, del totalitarismo invertito, del contingentamento da parte dell’ America, dell’incipiente balcanizzazione dell’ Europa… Anche nell’ individuazione delle soluzioni, essi perseverano nei vecchi errori, come là dove si parla di”una moneta unica stabile e ancora più forte”, mentre tutti i nostri concorrenti svalutano e rivalutano ininterrottamente le loro monete per assecondare le loro politiche congiunturali; infine, si insiste a privilegiare le piccole medie imprese, mentre invece ciò che ci mancano sono i “Campioni Europei”.
A sua volta, Cardini ritiene, contrariamente a quanto dice la “Dichiarazione Comune”, che “La prima e più urgente questione, concettualmente parlando (nella consapevolezza che sul piano dei tempi di attuazione il cammino sarà lungo) consisterà nel decidere se l’Europa unita debba nascere dall’unione politica tra i vari stati e governi, sia pure con le necessarie riforme e modifiche, o sulla base di nuove formazioni e circoscrizioni territoriali.” Vale a dire l’Europa delle Euroregioni, per la quale ci stiamo battendo da 30 anni. Fin dalla fondazione, nel 1993, dell’ “Associazione Indipendente per l’ Integrazione delle Alpi Occidentali” avevamo cercato di fare, del movimento euroregionale un grimaldello per abbattere lo strapotere degli Stati membri e costruire l’Identità Europea dal basso, ricostruendo le antiche identità transalpine (burgunda, occitanica, sabauda, valdese, Walser, ecc-cfr. “Intorno alle Alpi Occcidentali, Identità di un’ Euroregione”, Alpina, 2013). Condividiamo perciò necessariamente l’ anticonformistico punto di vista di Cardini, anche se non la porremmo all’inizio della lista delle priorità, perché sappiamo per esperienza quanto questo percorso sia difficile e lento. Ma c’è di più: le Macroregioni Europee appena abbozzate (atlantica, baltica, danubiana, adriatica, alpina,) potrebbero costituire un’eredità delle quattro parti dell’ Impero Romano sotto la Tetrarchia, e costituire così uno degli snodi dell’ Europa Poliedrica di cui parla il Sommo Pontefice, e di una più vasta “Magna Europa a più velocità” (cfr. Associazione Culturale Diàlexis, Quaderni di Azione Europeista, n.2-2014 , “100 Tesi per l’ Europa”).
Abbiamo invece messo al primo posto la politica culturale perché questa è la base per la formazione di qualsivoglia formazione politica. L’Impero Romano non sarebbe sorto senza la cultura ellenistica, né il Sacro Romano Impero senza quella cristiana; gli USA nascono dall’incontro fra puritanesimo, liberalismo e massoneria; l’Italia moderna dai padri fondatori illuministi e romantici (Parini, Alfieri, Leopardi, Foscolo, Manzoni, Gioberti, Verdi), ecc… Nello stesso modo, come sarebbe possibile che nasca un soggetto politico europeo senza una teologia europea, quale quella postulata dalla “raccomandazione post-sinodale Ecclesia in Europa”; una filosofia europea, quale quella annunziata da Nietzsche nelle “Considerazioni per i Buoni Europei”; un’arte europea, che prenda le distanze dal mercato americano del “contemporaneo” imposto ai tempi dell’Associazione per la Libertà della Cultura”; una dottrina politica europea, che concretizzi per l’ Europa quel concetto di “poliedricità” annunziato a Strasburgo da Papa Francesco; un’economia europea che metta in pratica l’”economia sociale di mercato”, di cui non si vede alcuna traccia in quest’Europa più neoliberista della stessa America, ecc…(cfr.Quaderno n. 1 2015, Modello sociale europeo e pensiero sociale cristiano).
Come priorità nell’ area culturale, Cardini propone una Scuola europea e una Storia europea. Non ci permettiamo di contraddire il Professore sui questi due temi che gli sono propri, soprattutto in un momento, come questo, in cui egli è l’unico, fra i rappresentanti dell’ accademia, a formulare proposte concrete. E tuttavia, pescando qua e là fra le nostre oramai infinite pubblicazioni sull’ Europa, vorremmo almeno aggiungere alcuni temi:
a)per la scuola europea: l’introduzione di una lingua classica obbligatoria per tutti, destinata a divenire lingua ufficiale dell’ Europa, così come il Sanscrito è lingua ufficiale dell’ India, ma, soprattutto, l’ Ebraico è la lingua ufficiale d’ Israele; la messa a disposizione di basi filologiche e letterarie comparatistiche in tutte le scuole di ogni ordine e grado; la presa in considerazione del diverso peso delle diverse lingue ai diversi livelli scolastici, e dei livelli linguistici: internazionale (p.es., Inglese, Cinese), “Nazionale” (p.es, Italiano, Francese), ed euro-regionale (p.es. Provenzale,Russo);infine, le feste europee ci sarebbero già: i Trattati di Roma (25 marzo), la Dichiarazione di Schuman (9 maggio); il giorno delle Termopili (fine Agosto-inizio settembre); la Santa Alleanza (26 settembre ); la caduta del Muro di Berlino (9 novembre );
b)Per la Storia Europea, occorrerebbe puntare, a nostro avviso, soprattutto sullo spirito di verità, intesa non già come dogma, bensì come “non nascondimento”(“aletheia”), e, quindi, rifiuto delle costruzioni artificiali, estranee al fondo tragico della cultura europea (e, quindi, “decostruzione” del preteso “carattere pacifico” degli Europei e degli Occidentali in generale, dell’ unicità della storia occidentale, della radicale novità della Modernità, della frattura concettuale e storica fra democrazia e totalitarismo). Soprattutto, “ripescare dal dimenticatoio” opere scomode come “Acque, arie e luoghi” di Ippocrate; “Il Trattato Decisivo” di Averroè; il “Rescrit de l’Empereur de la Chine” di Voltaire; l’ “Älterer Systemprogramm des deutschen Idealismus” di Hegel; le “Considerazioni per i Buoni Europei” di Nietzsche; l’”Enracinement” di Simone Weil e la “Costituzione Italiana ed Europea” di Galimberti;
Inoltre, la cultura non si riduce alla scuola, ma è innanzitutto educazione delle élites, specie in un momento in cui, per l’incombere della Singularity tecnologica, s’ impone un rivolgimento rapido e radicale pure in carenza di una qualsivoglia classe dirigente. A noi sembra che l’esigenza fondamentale di una cultura europea sia quella di prendere finalmente atto che l’avvento di quelle che Ray Kurzweil definisce come “le macchine spirituali”, cioè gli automi più intelligenti dell’ uomo, capaci di modificare la struttura ontologica di quest’ ultimo, ci pone in una situazione storica assolutamente nuova (il “Secolo Finale” di Martin Rees), di fronte a cui tutte le questioni culturali e politiche impallidiscono -una situazione che Marshall McLuhan non aveva esitato a definire come “anticristica”-. Ogni progetto sull’ Europa che non avesse al suo cuore la lotta per il predominio fra uomo e macchina rischierebbe così di essere inutile. Se, nell’ Antichità, la “Missione dell’ Europa” poteva essere quella di difendere le libertà contro Imperi omologatori; nel Medioevo, quella di portare nel mondo il messaggio cristiano; nella Postmodernità, essa è quella di catalizzare tutte le forze disponibili nel mondo per l’elaborazione di una nuova cultura mondiale, ispirata a quelle di tutti i Paesi -fra l’altro, al Tao, allo Yoga, all’Hagakure e all’ Elogium Novae Militiae-, capace di prendere in mano l’interfacciamento uomo-macchina preservando l’umano, e di organizzare politicamente il mondo in modo da evitare la cancellazione dell’ Umanità.
Anche la riforma della leadership europea dovrebbe leggersi in questa luce, vale a dire di una situazione di emergenza, in cui, alla “Mobilitazione Generale” del “Phylum Macchinico”, dovrebbe corrispondere una Mobilitazione Generale della cultura e della politica umane. Intanto, è ormai chiaro a tutti che i compiti precipui dei leaders dei grandi Stati subcontinentali (Trump, Xi e Putin), con i quali l’ Unione Europea non può fare a meno di confrontarsi quotidianamente, siano costituiti dalla programmazione strategica, dal potere di esternazione, dal comando diretto della difesa, specie spionistica e nucleare, dal rapporto diretto con i Presidenti delle Superpotenze e con le forze politiche amiche all’ estero. Nessuna di queste funzioni viene neppure lontanamente concepita in relazione a nessuno degli attuali vertici dell’ Unione, che hanno, sì, notevoli competenze, ma scoordinate e non effettive. Si impone quindi una qualche forma di unificazione. Il gruppo “United Europe” ha presentato un “Rome Manifesto” in cui si propone un’interessante e importante novità: l’elezione di un unico Presidente Europeo (eliminando il Presidente della Commissione e l’ Alto Rappresentante): “il potere esecutivo dell’Unione federale sarà attribuito a un presidente europeo, eletto attraverso un procedimento democratico”, che “rappresenterà l’Unione negli affari internazionali e guiderà l’amministrazione europea che discende dall’attuale Commissione”… Ammesso che questa lodevole soluzione, l’unica veramente adeguata ai tempi, fosse presa in considerazione, al Presidente dovrebbero essere attribuite, a nostro avviso, anche solo in maniera embrionale, tutte le competenze che hanno i Presidenti delle Superpotenze.
Nel caso, molto più probabile, che non sia possibile “far passare” l’idea di un Presidente unico (soprattutto perché gli Stati Membri non intendono rivedere i Trattati), noi rilanceremmo l’idea, di cui alla precedenti newsletters, di un “direttorio operativo”, sul modello della Costituzione svizzera.Richiamiamo qui le competenze del Consiglio Federale:
1 Il Consiglio federale decide in quanto autorità collegiale.2 Per la loro preparazione ed esecuzione, gli affari del Consiglio federale sono ripartiti fra i singoli membri secondo i dipartimenti….
Art. 178 Amministrazione federale
1 Il Consiglio federale dirige l’amministrazione federale. Provvede a un’organizzazione appropriata e al corretto adempimento dei compiti.2 L’amministrazione federale è strutturata in dipartimenti; ciascun dipartimento è diretto da un membro del Consiglio federale……..
…
Sezione 2: Competenze
Art. 180 Politica governativa
1 Il Consiglio federale definisce i fini e i mezzi della propria politica di governo. Pianifica e coordina le attività dello Stato.2 Informa tempestivamente e compiutamente l’opinione pubblica sulla sua attività, sempre che non vi si oppongano interessi pubblici o privati preponderanti.
Art. 181 Diritto di iniziativa
Il Consiglio federale sottopone all’Assemblea federale disegni di atti legislativi.
Art. 182 Competenze normative ed esecuzione
1 Il Consiglio federale emana norme di diritto sotto forma di ordinanza, per quanto ne sia autorizzato dalla Costituzione o dalla legge.2 Provvede all’esecuzione della legislazione, dei decreti dell’Assemblea federale e delle sentenze delle autorità giudiziarie federali.
Art. 183 Finanze
1 Il Consiglio federale elabora il piano finanziario e il progetto di preventivo e allestisce il consuntivo della Confederazione.2 Provvede a una gestione finanziaria corretta.
Art. 184 Relazioni con l’estero
1 Il Consiglio federale cura gli affari esteri salvaguardando i diritti di partecipazione dell’Assemblea federale; rappresenta la Svizzera nei confronti dell’estero.2 Firma e ratifica i trattati internazionali. Li sottopone per approvazione all’Assemblea federale.3 Se la tutela degli interessi del Paese lo richiede, può emanare ordinanze e decisioni. La validità delle ordinanze dev’essere limitata nel tempo.
Art. 185 Sicurezza esterna e interna
1 Il Consiglio federale prende provvedimenti a tutela della sicurezza esterna, dell’indipendenza e della neutralità della Svizzera.2 Prende provvedimenti a tutela della sicurezza interna.3 Fondandosi direttamente sul presente articolo, può emanare ordinanze e decisioni per far fronte a gravi turbamenti, esistenti o imminenti, dell’ordine pubblico o della sicurezza interna o esterna. La validità di tali ordinanze dev’essere limitata nel tempo.4 In casi urgenti, può mobilitare truppe. Se mobilita in servizio attivo più di 4000 militari o se questa mobilitazione si estende presumibilmente oltre le tre settimane, convoca immediatamente l’Assemblea federale.
Art. 186 Relazioni tra Confederazione e Cantoni
1 Il Consiglio federale cura le relazioni tra la Confederazione e i Cantoni e collabora con questi ultimi.2 Approva gli atti normativi dei Cantoni laddove l’esecuzione del diritto federale lo richieda.3 Può sollevare reclamo contro i trattati intercantonali o contro quelli conclusi dai Cantoni con l’estero.4 Provvede all’osservanza del diritto federale nonché delle costituzioni cantonali e dei trattati intercantonali e prende le misure necessarie.