“L’identità europea” secondo Marcello Croce: intervista sul suo ultimo libro

Riceviamo in Redazione, e riportiamo, l’intervista al Prof. Marcello Croce, a firma di Simone Zanibellato, pubblicata in data 29 maggio 2024 su “www.nazionefuturarivista.it“.
Abbiamo intervistato Marcello Croce, autore de “L’identità europea” (casa editrice Giubilei Regnani). Marcello Croce nasce a Torino nell’ottobre del ’40 e, dopo gli studi classici, si è laureato in Lettere e Filosofia ed è stato a lungo docente in filosofia e storia. È fondatore dell’Associazione culturale Romano Guardini, dedita alla formazione umanistica dei docenti.
Grazie Marcello per la tua disponibilità. Inizio subito questa intervista chiedendoti: da dove nasce quest’opera? E perché hai deciso di sottolineare che la nostra storia parte dagli antichi greci e sono proprio loro poi a influenzare e plasmare ancora oggi i nostri tempi?
Bella domanda. Alla base della risposta sta l’idea che prima di essere un luogo geografico l’Europa è la memoria vivente di tre millenni. “Memoria” vuol dire continuità temporale di un processo spirituale, che da Omero giunge sino a noi. A sua volta “processo spirituale” comporta l’idea di un’evoluzione creativa, che si diffonde conservando ciò che viene man mano creato. Di questo è prova quella che oggi chiamiamo “cultura”, vale a dire il sistema del sapere trasmesso dalla scuola di generazione in generazione, con l’organizzazione delle discipline di studio, quelle umanistiche e quelle scientifiche. Quest’opera nasce con un intento pedagogico, nel senso che si rivolge a chiunque voglia riconoscersi come “europeo”. Spiritualmente europeo, cioè non per caso (perché nato qui o là in Europa), ma con la consapevolezza di appartenere a una civiltà che ha avuto un ruolo fondamentale nella storia dell’uomo. Una civiltà che, in quanto esperienza di un incontro di popoli straordinariamente affini, ma nello stesso tempo orgogliosamente indipendenti, ha ampliato enormemente i propri confini spirituali, divenuti paradigmatici per l’intera umanità. Pensiamo anche solo al Cristianesimo, che, diffuso negli altri continenti, ha trasmesso anche la forma culturale nella quale era incarnato.
Ritiene che il mito, quindi il racconto (quasi) onirico dei fatti che ha contribuito a tramandare le storie come quella di Omero, sia stato fondamentale per costruire una coscienza europea?
Direi di sì, e non certo in un senso per così dire ludico. I miti sono espressioni attraverso le quali il sovrumano (comunque possa venire inteso questo termine) diventa il senso dell’esistenza umana. E’ una forma narrativa collettiva, in cui entrano in gioco potenze originarie alle quali un popolo appartiene. L’uomo vive di simboli, prima che di pure e semplici parole indicative, perché vive in un “tutto” che lo interroga e lo sollecita costantemente. L’uomo viene dal nulla, ama, teme, muore. I miti omerici attraversano i secoli perché rivelano l’esperienza originaria di un tipo umano ideale, vissuta sotto lo sguardo delle divinità, dove è in gioco il destino di un uomo, dove la vita è riguardata veramente in
rapporto con quello che la sovrasta, benigno o minaccioso che sia. Il tipo umano dei miti omerici è perenne, perché ci riporta a ciò che è più profondo, benché elementare, in ciascuno di noi. Non è un caso che questi miti rivivano nella poesia dei secoli greci, romani, medievali, moderni. Si pensi a Virgilio, a Dante, a Pound.
Il cosiddetto sistema naturale è davvero separato dall’uomo? O è ciò che attraverso la modernità, o meglio la secolarizzazione, si vuole far credere?
Beh, qui è successo qualcosa di serio da quando l’uomo tolemaico è diventato l’uomo (copernicano) galileiano. Ha perso l’equilibrio millenario fra sé (come individuo) e “le cose”. Questo equilibrio era costituito dal rapporto naturale dei sensi, a cui il pensiero assegnava un primo valore di verità. Così Aristotele, così San Tommaso: ciò che si vede è vero, anche se il pensiero va oltre questa verità. La rivoluzione scientifica invece comincia quando Copernico elabora un sistema dell’universo in cui il movimento visibile del sole o delle stelle notturne diventa solo apparente, nel senso che tutti sappiamo; e soprattutto quando il grande Galileo annuncia che il ciò che noi chiamiamo “calore” in realtà è velocità di
corpuscoli matematici, e la sensazione del calore è solo soggettiva. Insomma, noi viviamo in un mondo in cui non solo ci sfugge l’infinitamente piccolo e l’infinitamente grande, ma in cui anche ciò che si vede e si sente non è mai come lo vediamo e lo sentiamo. La modernità è segnata da una sproporzione sempre più profonda, tra il mondo a misura d’uomo e il mondo letto o costruito a partire dal linguaggio matematico, da cui emerge poi la rivoluzione tecnologica.
Lei nel libro mette in luce come per alcuni tra più importanti filosofi il cristianesimo fosse il male del mondo. Perché secondo lei?
Il Cristianesimo nei secoli ha raccolto il fiore della filosofia greca, soprattutto la dialettica di Platone e la fisica e la metafisica di Aristotele per saldare (diciamo così) il legame tra Dio e il creato sulla base della ragione: la razionalità umana si fonda sulle eterne idee divine. Dio è un Dio che pensa razionalmente e dal suo pensiero derivano il mondo e l’uomo. Quindi quando l’uomo pensa razionalmente, attinge dalla ragionevolezza divina. Qualcosa è vero e falso per noi perché c’è un eterno vero divino come criterio, come misura. Quando crolla questo modo di pensare (si può dire con il volontarismo divino, fra Ockam e Cartesio), si afferma come verità solo ciò che l’uomo, e non più Dio, fa e costruisce. Nell’undicesima tesi su Feuerbach, Marx pronuncia una celebre frase: “i filosofi finora hanno solo interpretato il mondo in diversi modi; ora si tratta di trasformarlo”. Perciò per Marx si trattava di togliere di mezzo “un’interpretazione del mondo” come quella cristiana. Per Nietzsche la cosa è diversa. Lui annunciava la fine dei “valori” cristiani in quanto garanti della razionalità della vita. Il mondo non è razionale, e i “valori” non sono più credibili. Indubbiamente l’Europa del XIX secolo corre sempre più velocemente verso una disfatta annunciata dal nichilismo, presente in tutte le sue principali espressioni spirituali.
Secondo lei possiamo ascrivere le politiche Green dell’Unione Europea a quello che lei definisce nel suo libro come “una missione universale sulla base di un diritto di civiltà”?
Domanda insidiosa! Come base, il diritto di civiltà oggi è duramente contestato dal resto del mondo, poiché servì a giustificare un primato che, a lungo andare, si è rivelato disastroso. Tuttavia ora che il “green” ha lo scopo e il senso di difendere il salvabile, non c’è dubbio che esprima un grado di civiltà prezioso per tutta la terra che l’uomo abita e dove l’uomo vive.
Vorrei concludere chiedendole come mai il racconto si ferma al 1945. Non ci sarebbero altri filosofi o artisti che successivamente continuano a mettere in luce la nostra storia?
Ho deciso di fermarlo alla data del “suicidio dell’Europa”, perché ritengo che quella data rappresenti il vero inizio della più grande catastrofe umana (gli effetti del 1914 sono mondiali, come era divenuta la storia europea dal 1492) e quindi il senso più prossimo a noi, e più bruciante, dell’essere europei. Senza quel silenzio, in cui precipita una memoria trimillenaria, non possiamo capire che cosa è l’Europa: cos’è che amiamo, cos’è ciò in cui ci identifichiamo, quello che vediamo nelle sue città, nei suoi fiumi, nella sua storia. Da cosa ripartiamo, perché in un certo senso il 1914 contiene tremila anni di storia. Non possiamo considerare l’epoca delle guerre mondiali solo come un fatto, accaduto in tre decenni del 1900: uno degli
infiniti fatti accaduti nella sua lunga storia. Pensiamo che il suo termine è stato Hiroshima! Stare davanti a questo, nella sua globalità, è essere europei. Non per cercare o rivendicare le ragioni e i torti, ma per ereditare il nostro passato con uno sguardo nuovo. Senza questa consapevolezza non si può essere veramente europei, a partire dalla nazione, perché solo dalla nazione un europeo può e deve partire, per esserlo. Oggi l’Europa è minacciata di estinzione spirituale; occorre perciò rinverdire la memoria sapendo che essa contiene non solo fasi ed eventi esaltanti (contiene Omero, contiene Pietro e Paolo, contiene Dante, contiene Bach…), ma anche fasi ed eventi altamente strazianti. Il dolore ci insegna molto.