LA MALATTIA DELL’EUROPA di Aldo Rizza [Parte 2]
Proseguendo nell’attuazione dei propri fini statutari, http://www.rinascimentoeuropeo.org/statuto/Statuto.pdf, RINASCIMENTO EUROPEO ha creato, sul proprio sito web www.rinascimentoeuropeo.org, uno spazio interamente destinato a raccogliere scritti e riflessioni su temi d’interesse generale che rientrino nelle finalità dell’Associazione.
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Il volto dell’uomo europeo
Ma cerchiamo di chiarirci la fisionomia dell’uomo europeo. Egli non è melanconico né nostalgico, né rivoluzionario. E allora?
Ora, nel grande e complesso movimento della restaurazione europea, dopo la lunga crisi rivoluzionaria e bonapartista, abbiamo visto prevalere, in genere, due correnti principali: quella rivoluzionaria, che continuò cercando le nuove strade dei nazionalismi e dei socialismi e quella della reazione, intesa come sforzo di ricostituire l’ordine perduto riproponendo mentalità ed istituzioni del passato. Entrambe queste correnti sono caratterizzate da una forte componente utopica. Ma oltre queste vie ne possiamo scorgere una terza, tutta italiana, e che chiameremo quella del Risorgimento [1]. Il concetto di Risorgimento appare intimamente legato a quello di Tradizione.
Per «Tradizione» si intende: ciò che si trasmette, ciò che viene consegnato. E’ chiaro che non si può far dipendere il valore dalla tradizione; una cosa non ha necessariamente valore sol perchè venga trasmessa [2]. Ad esempio, in quella societas latronum che è la mafia, vi è bensì la trasmissione, ma ciò che si trasmette è tutt’altro che un valore. Ora, è bene che un valore si trasmetta, si consegni di generazione in generazione: e ciò avviene comunque, perchè il bene è diffusivo di sé. Ma, appunto, la trasmissione non basta a rendere valore ciò che non è tale. E’ il valore che fonda la tradizione e non viceversa.
Che cosa significa allora valore tradizionale? Esistono dei valori assoluti, sovrastorici, che proprio per questo vanno consegnati alle generazioni successive. Non si tratta di oggetti, anche se noi custodiamo alcuni oggetti con venerazione; ma gli oggetti possono essere segni di qualcosa che li trascende e, nello stesso tempo, li fonda. A volte, anzi, dietro la minuziosa cura e salvaguardia dei monumenti del passato, delle opere d’arte e perfino di intere città, si nasconde una impotenza della creatività (in questo senso sono molto illuminanti le considerazioni di Nietzsche nelle Considerazioni inattuali sulla Storia).
C’è tradizione dove una comunità crede in un ordine immutabile voluto da Dio e che Dio stesso rispetta. La sua autorità – e in ciò consiste il vero senso del termine autorità distinto da quello di potere – non è, infatti, imposizione repressiva. Non può trattarsi di un’imposizione repressiva perchè si tratta di un ordine increato, oggetto di una comprensione non sensibile, anche se ha bisogno di segni sensibili. All’autorità [3] di una tradizione si può offrire, o no, il proprio libero consenso; mentre il potere si può semplicemente subire o combattere.
La rivoluzione e la reazione dal canto loro, ragionano ultimamente in termini di potere poiché intendono imporre utopisticamente l’ordine sperato o rimpianto, e quindi, entrambe non sono in consonanza con l’autorità di una tradizione. I reazionari pensano di difendere la tradizione, ma non tengono alcun conto del libero consenso; essi risolvono con l’imposizione ciò che deve maturare lentamente nei cuori e nelle menti.
Del Noce opponeva alla mentalità rivoluzionaria e a quella reazionaria, l’atteggiamento risorgimentale che i i nostri pensatori degli inizi dell’800 avevano delineato. Dirà il Gioberti:
“Il carattere proprio del cattolicesimo non è l’autorità, ma la tradizione. Il protestantesimo si fonda sulla Scrittura. Il cattolicesimo gesuitico all’autorità individuale di uno o di pochi. Il razionalismo sulla ragione individuale di tutti… La tradizione è l’anima del cattolicesimo. Parola viva non morta. Progressiva non istintiva. L’autorità cattolica non è valida, se non in quanto esprime la tradizione. Da lei trae la sua forza. Non è l’autorità che determini e autorizzi la tradizione, ma la tradizione che legittima l’autorità.”
All’idea di Risorgimento si accompagna allora quella di «restaurazione» di un ordine ideale ed eterno che sarebbe stato violato (quando, come?). È essenziale rispondere a queste domande nell’atto stesso di porsi come compito quello di riprendere un cammino interrotto, quando con simpatia ci si ponga come sforzo la ripresa dei valori tradizionali. Il Risorgimento non nega il passato (come fa invece la mentalità rivoluzionaria), neppure si spinge ad un violento ritorno nel passato (come al contrario si prefigge la reazione). La prima è empia, mentre la seconda “sembra voler escludere che l’eternità dei principi consenta la novità dei problemi”.
Lo sforzo di riprendere i valori della tradizione, può fare apparire il Risorgimento come un’azione rivoluzionaria, ma non è così. Esso, fu, infatti, un vasto movimento destinato ad abbattere un sistema globale non più riformabile. Ma, mentre il rivoluzionario concepisce la propria azione come liberazione politica da un ordine sociale, che produce necessariamente alienazione, il Risorgimento riprende l’antica tematica della renovatio, del ritorno ai principi: non “parto” come spera la rivoluzione, ma “resurrezione” dell’Italia, dell’Europa, del mondo.
Risorgimento sta, quindi, ad indicare che i popoli possono risollevarsi e liberarsi dall’oppressione domestica o straniera, soltanto riscoprendo ed approfondendo le proprie tradizioni. E mentre la reazione difende disperatamente il passato (una vera e propria paleomania) e volge le spalle al presente e al futuro, il Risorgimento, che intende ritornare alla tradizione, si muove dal punto di vista dell’eterno.
L’eterno e non esclusivamente il passato o l’avvenire [4]. L’idea di Risorgimento è dunque inclusiva, non esclude, abbraccia, poiché non rinuncia all’orizzonte della verità. Rinuncia che spiega il nichilismo dell’attuale mentalità europea: la ricerca, cioè di una libertà senza verità [5].
Una neomania eccitata
Ma questa spinta dinamica al ritorno, a ciò che è eterno sembra essere del tutto assente nell’attuale vicenda europea. Anzi trionfa l’ansia del nuovo; una neomania eccitata, non certo entusiasta; e quindi vuota. Ha ragione Heidegger nel notare che Nietzsche era intervenuto nel processo storico che si è concluso con il nichilismo; col fatto però che nel tentare di andare oltre questo esito, così per opporvisi, ne ha infine aggravato le conseguenze. Questo oltre si è rivelato un abisso.
Non, quindi, malinconia, nostalgia, reazione, rivoluzione o passione per la tradizione e l’eterno. Quest’umanità d’Europa vuole, nella sua eccitazione (che pure non riesce a nascondere la mancanza del desiderio di una vita autentica), semplicemente “durare”, vuol essere lasciata tranquilla. L’esatto contrario dell’uomo descritto da Sant’Agostino: “Il mio cuore è inquieto fin che non riposi in te.” Era l’augurio che ci faceva don Giussani: “Siate inquieti!” La conseguenza di quell’inquietudine fu la ricostruzione cristiana dell’Europa dopo il disastro della caduta di Roma [6]. La caduta dell’Europa sembra, invece senza rimedio.
C’è una decadenza senza reazione, un ripiegamento irreparabile senza spinta verso il futuro e nessun desiderio di riscoperta dell’eterno (non di ciò che è vecchio, ma dell’antico). Non si tratta, infatti di amare ciò che è vecchio, ma di cercare ciò che è eterno.
In sostanza sembra che il tipo d’uomo della decadenza attuale dell’Europa non abbia alcuna caratteristica riconducibile ad una delle categorie che fino a non molto tempo fa, ancora, parevano offrire la possibilità di comprensione della società e della sua storia. Semplicemente il vuoto sembra caratterizzare la fisionomia dell’uomo europeo del terzo millennio. La nostra sembra una decadenza dalle caratteristiche nettamente dissolutorie. [7]
Sarebbe tuttavia ingenuo pensare ad una malattia dell’Europa e ad un suo tramonto definitivo scorgendone le cause in avvenimenti, in scelte recenti. Il processo è iniziato molto tempo fa e, forse, deve percorrere l’intero suo corso. Forse, addirittura, l’Europa è morta da tempo e gli europei, le classi dirigenti e i popoli d’Europa ancora non se ne sono accorti. D’altra parte ne negano l’origine e quindi ne negano il futuro.
L’assenza dell’Europa
Del resto l’assenza dell’Europa – non certo compensata dal permanere sulla scena dei vecchi Stati nazionali e di alcune delle loro velleità – è il fatto sintomatico che caratterizza l’attuale scena mondiale.
In realtà l’Europa, che si è suicidata – dopo una lunga malattia – nella prima guerra mondiale e nel suo prolungamento successivo dal 1939 al 1945, non soltanto non è più il centro del mondo, ma il disagio profondo, lo svuotamento che avvertiva da molti secoli ha trovato nella tragedia ultima il suo naturale sbocco.
Dobbiamo dare atto a Nietzsche di aver chiaramente avvertito che “il deserto cresce” e che questo stesso deserto ha il suo cuore in Europa.
Se poi solo pensiamo al fatto che a partire dal 1500 – la spinta europea verso occidente (nelle Americhe) e l’oriente (in Asia) [8] – l’Europa è divenuta la forma del mondo, proprio mentre si divideva (la riforma, la modernità, la crisi e la fine della sua unità spirituale, ma anche prima con la lotta insensata tra Chiesa ed Impero) e, quindi, la sua malattia si è diffusa sulla terra intera, allora cominceremo a comprendere che la sua decadenza attuale investe necessariamente il mondo intero. A questa decadenza, oggi, l’Islam cerca disperatamente di reagire, ma nella sua stessa disperazione si possono scorgere le stigmate dello stesso male che ci ha fatto concludere nel deserto di cui parlava Nietzsche. Con questo si vuole dire che se l’Europa non è più politicamente ed economicamente il centro del mondo, il suo problema spirituale e culturale è centrale per il destino del mondo intero.
L’oltre invocato infine è giunto
Ora proprio nel nostro continente, a partire da Nietzsche, si è sviluppata una mentalità che nella disperazione dell’ora pensò di ribaltare il cammino di decadenza, di debolezza estenuata. La memoria di questa mentalità reattiva, ma non reazionaria (nel senso che essa rappresentò un’unilateralizzazione della modernità e non un tentativo reazionario), viene oggi semplicemente “rimossa” senza riflettere sulla sua tragica dinamica e fine che ha coinvolto il mondo moderno mostrando, con l’errore e l’orrore, le radici oscure della malattia.
Per comprendere come la rimozione di un problema autentico giochi un ruolo straordinariamente importante nell’attuale vicenda europea, si deve quindi porre mano ad una rivisitazione della tragedia che ha condotto, con l’esito catastrofico della seconda guerra mondiale, alla scomparsa dell’Europa dalla scena mondiale.
Il problema è rappresentato dalla decadenza (forse meglio adatta alla nostra comprensione rispetto a quella di tramonto [9]) che sembra essere la cifra per scorgere le vere dimensioni e i possibili esiti della vicenda europea. Ma anche per opporsi e reagire a ciò che sta avvenendo sotto i nostri occhi [10].
Allora, tra i tentativi di risposta all’autentico problema rappresentato dalla decadenza dell’Europa, meglio di altri momenti ed eventi storici, il nazionalsocialismo, può servirci nel percorso intorno alla crisi [11] dell’epoca nostra.
Il nazionalsocialismo si fondò sull’idea che la decadenza fosse rappresentata da due minacce. Una esterna e l’altra interna all’Europa e alla Germania.
Quella interna spiegava la debolezza nell’affrontare quella esterna. Ma chi minacciava, minandola dall’interno, dal suo stesso spirito, la centralità dell’Europa e, in questa centralità stessa, del suo cuore, cioè i popoli di stirpe germanica?
Queste pagine nascono dalla convinzione che i tentativi di sottrarre Nietzsche al dibattito storico sul nazionalsocialismo siano destinati al fallimento, ma che, nello stesso tempo, rappresentino la permanenza di un equivoco destinato a condurci alla ripetizione di ulteriori errori sulla stessa strada.
A noi qui interessa soltanto quel nemico interno, che Hitler pensava di aver individuato come il principale responsabile della decadenza del popolo germanico e dell’Europa. Ed è proprio qui che incontriamo Nietzsche.
Così come l’estremizzazione delle tesi del Rousseau si incontrano in Robespierre, la lettura di Nietzsche spiega la determinazione disperata di Hitler. Terrore in Robespierre, lotta e sterminio in Hitler. Ce n’è abbastanza per giustificare l’affermazione di Pio XII, secondo cui l’epoca moderna sarebbe barbara e selvaggia.
L’idea che il nazionalsocialismo – idea diffusa nella vulgata marxista comunista del periodo tra le due guerre e dopo il secondo conflitto mondiale – sia stato un movimento reazionario al servizio del grande capitalismo, contrasta con due realtà: la prima è che il capitalismo è parte della mentalità rivoluzionaria (forse ne è il cuore); la seconda è che il nazionalsocialismo si servì della borghesia capitalistica, non la servì. Entrambe poi – mentalità borghese e nazionalsocialismo – appartengono alla modernità[12].
NOTE
[1] Il prof. Riconda ci ha dato sul Risorgimento un bel saggio, la cui lettura mostra la posizione di Del Noce riguardo al Risorgimento (A. Del Noce e l’idea del risorgimento, in Quaderni della fondazione Del Noce2005-2006, Morcelliana, Brescia). Per un approfondimento ulteriore del concetto in sede storica, mi permetto di consigliare il mio libro “Per un’interpretazione del Risorgimento italiano e del fascismo.” Marco Valerio, Torino 2008 e il mio ultimo “Il fascismo nella cultura moderna italiana.” sempre con Marco Valerio del 2020, dove anche si insiste sulla ispirazione giobertiana delle pagine di Del Noce. Forse è qui uno dei tanti luoghi nei quali Del Noce trova un rapporto non trascurabile con G. Gentile. Con Riconda organizzammo proprio nel un bel convegno a Savigliano sul tema del Risorgimento per la Fondazione Del Noce di cui ero allora segretario.
[2] Ne il Gattopardo il principe Salina morente, fatto venire il sacerdote dice: “Ciò che si deve fare deve essere fatto.” Espressione che può essere interpretata in vari modi, anche in quello di una religione civile secondo la celebre tripartizione di Varrone religione dei filosofi, dei poeti e della città o politica (l’obbligo di osservanza di quest’ultima si fa ascendere ad Anassimene). Tutti, anche coloro che non credono sono tenuti per dovere civico ad osservare il culto tradizionale. In nome di questa religione civile, accusandoli di empietà i pagani non ebbero esitazione a perseguitare i cristiani. In una parola ecco gli “atei devoti”. Tutto ciò non ha niente a che fare con l’adesione libera ad una Tradizione viva.
[3] Su Autorità e potere, l’Associazione A. Del Noce ha celebrato un convegno nel 2000..
[4] In ciò mi pare emergere la linea Platone – Gioberti – Mazzantini (l’identico sempre diverso e la lotta per l’evidenza di Mazzantini, spiegano il percorso di Del Noce in questo platonismo che non rinuncia certo ad Aristotele, non confonde cristianamente intelligibile e soprannaturale, conservando ferma la dottrina della distinzione fede e ragione formulata dal platonico-aristotelico San Tommaso) che caratterizza il nucleo più vero del pensiero di Del Noce, come del resto egli mi diceva e scriveva.
[5] Bene ha detto Rocco Buttiglione in Senato, nel corso del dibattito sul discorso di Benedetto XVI a Ratisbona: “L’occidente sembra essersi arroccato su una difesa della libertà senza verità, mentre l’Islam vuole imporre una verità senza libertà.” Più autorevolmente ancora Benedetto XVI all’inaugurazione dell’anno accademico dell’Università Lateranense.
[6] In un libro, che vorrei ripubblicare, di p. Ceslao Pera o.p., La via di Dio secondo i Padri, ci sono pagine che illustrano il luminoso cammino e la sintesi che ha condotto alla fondazione dell’Europa. Utili per dare un fondamento sicuro alla discussione sulle radici cristiane, greche e romane dell’Europa stessa.
[7] Esito nichilistico che Nietzsche (ma anche molti altri tra i quali Dostoievskji) avevano visto e mostrato. Con la differenza che per Nietzsche il Cristianesimo sarebbe l’origine di questa malattia, insieme a Platone; per noi invece, l’una via possibile di guarigione.
[8] Consiglio lo splendido saggio di Vittorio Mathieu, L’avventura, spirito dell’Europa (Guida, 1989).
[9] In una sua celebre risposta ad Ugo Spirito, Augusto Del Noce preferì parlare di eclissi piuttosto che tramonto della tradizione e, quindi, dell’Europa. Dal mio punto di vista preferisco il termine decadenza e dissoluzione, nel senso di un processo che potrebbe non avere un termine, ma che anche potrebbe risolversi in una ripresa. Una volta p. Sorge SJ mi disse: “Siamo giunti al fondo e… stiamo esplorandolo.”, nel senso di una dissoluzione che sembra non trovare rimedio.
[10] Maurizio Blondet, in un suo libro molto discusso, Gli Adelphi della dissoluzione, strategie del potere iniziatico, mostra come una certa mentalità abbia stretto, in un progetto comune, punte avanzate della cultura europea ed italiana, nella convinzione della necessità di rinunciare a reagire contro ogni elemento di dissoluzione e di porre ogni sforzo nella lotta contro la Chiesa, che invece cercherebbe di opporvisi.
[11] Intendiamoci crisi è un termine ambivalente, nel senso che esso evoca da un lato una perdita, dall’altro, però anche un’opportunità. Anche se non in tutti i sensi, almeno in quello di una caduta di elementi non necessari; di uno spogliarsi e semplificarsi delle mentalità.
[12] Non intendo qui riferirmi alla strepitoso sviluppo scientifico e tecnico di cui fu capace la Germania nazionalsocialista – sviluppo accompagnato da successi che destano ancora oggi stupore – ma soprattutto a quelle disposizioni legislative in tema razziale che, lungi dall’appartenere al passato, sono l’esito della modernità. Ad esempio la legge del 1933 per la prevenzione dei difetti ereditari, era esplicitamente fondata sul modello statunitense di Harry Laughlin – al quale il governo del Reich nel 1936, concesse la laurea ad honorem dell’Università di Heidelberg. Del resto la prima legge di sterilizzazione di “criminali, imbecilli, idioti e stupratori” fu adottata sempre negli Stati Uniti (Indiana) nel 1907 e poi in vari modi estesa ad altri Stati dell’Unione (ben 30) e dichiarata costituzionale dalla Corte Suprema nel 1927. Si sa che solo negli anni ’30 negli States vennero sterilizzate circa 60.000 persone. Nel 1916 era inoltre comparso un libro significativo di questo processo di accentuazione della modernità, di un intimo amico del presidente Thoedore Roosevelt, Madison Grant dal titolo: “Il passaggio della grande razza.” Libro che Hitler stesso elogiò e del quale si congratulò con lo stesso autore. Autore che di questo elogio si lusingò assai. Ricordo tra l’altro l’introduzione dell’eutanasia e simili. Dirà Hitler nel suo testamento – redatto nel febbraio-Aprile del 1945 – che: “noi non ci siamo voltati indietro a guardare con nostalgia un passato ormai respinto.” Dichiarazione, questa molto “moderna” e rivoluzionaria.
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Autore: Prof. Aldo Rizza
Titolo: La Malattia dell’Europa, parte 2
Data di pubblicazione: 15 Marzo 2021