LA MALATTIA DELL’EUROPA di Aldo Rizza [Parte 1]
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Che una malattia grave, il cui sintomo più evidente sta nella decadenza grave, forse irrimediabile, caratterizzi la vicenda europea, l’hanno capito anche gli economisti. Infatti, Padoa Schioppa, in un suo recente libro, acutamente osserva che l’Europa ha i conti in regola – dal punto di vista economico, industriale, della ricerca e dell’innovazione non ha infatti, nulla da invidiare agli Stati Uniti, alla Cina e all’India (e questo non soltanto potenzialmente, ma di fatto, attualmente) – ma è come se fosse bloccata, ripiegata su se stessa, malinconica. La diagnosi è perfetta, anche se il termine “malinconia” non è adatto a descrivere il malessere dell’Europa. Infatti, Kant nel descrivere il tipo melanconico dice:
“Egli considera con indifferenza il cangiar delle mode, e con disprezzo il loro luccichio. Sublime è l’amicizia, e perciò essa si addice al suo sentire; egli può forse perdere un amico incostante, ma questi non perderà lui tanto presto: persino il ricordo di un amicizia spenta rimane onorevole per lui. La loquacità è bella, la riservatezza pensosa è sublime: quest’uomo sarà buon custode dei segreti propri ed altrui. Sublime è la veracità, ed egli ha in odio il mentire o il dissimulare. Egli ha un alto sentimento della dignità della natura umana: apprezza se stesso, e ritiene ogni uomo creatura degna di rispetto. Non sopporta nessuna abietta ossequiosità, e libertà spira nel suo nobile petto: tutte le catene a partire da quelle dorate che si portano a corte, sino al pesante ferro del galeotto, sono per lui detestabili. È severo giudice di se stesso e degli altri, e non di rado ha fastidio di sé come del mondo.”.
Se stanno così le cose l’uomo europeo del terzo millennio non è certo un tipo melanconico.
Non è neppure nostalgico poiché oggi possiamo scorgere, diffuso, un caratteristico disprezzo per il passato, una dimenticanza che la moltiplicazione impazzita delle “giornate della memoria” non soccorre. Se fosse veramente nostalgico sarebbe anche, in un certo senso, reazionario. Ma non si vede in Europa la volontà di tornare violentemente indietro verso un’epoca eletta a modello eterno.
Ė dunque rivoluzionario? Si protende con coraggio ed impeto verso un mondo nuovo, sperato e sognato? Un mondo utopico? Direi proprio no. C’è infatti un’indifferenza profonda per il futuro: si vive con l’idea che apres nous, le deluge. Il tramonto delle ideologie rivoluzionarie ne è il sintomo più evidente.
“È tempo che l’uomo fissi la propria mèta. È tempo che l’uomo pianti il seme della sua speranza più alta.”[1]
Che cosa vuol dire qui Nietzsche? Perché preconizza una nuova aurora? Una notte è terminata? L’uomo ha attraversato una notte; ma non la notte oscura di cui parla Dante. La notte alla quale allude è il processo storico che ha condotto al nichilismo.[2] Ad oriente in Russia – dove la filosofia tedesca conobbe un enorme successo duraturo, il rapporto tra poesia e nichilismo attrasse l’attenzione di Dostoevskij, attraverso la questione di quale posto occupasse Puskin nella letteratura russa.
La centralità di Puskin nella letteratura russa fu a lungo discussa dopo la sua morte. Alcuni – tra cui Turgenev – gli contestavano il titolo di “poeta nazionale“. Ma esiste una data, un giorno esatto, in cui La sua grandezza smise per sempre di essere messa in discussione. Quel giorno fu l’8 giugno del 1880, quando Dostoevskij pronunciò a Mosca il suo Discorso su Puskin. Il discorso segnò il destino dell’intera letteratura russa, fu un momento di catarsi collettiva che coinvolse tutti i presenti:
La sala sembrava presa da un attacco isterico… Persone sconosciute piangevano, singhiozzavano, si abbracciavano… Tutti, letteralmente tutti, piangevano per l’entusiasmo… Turgenev mi si è buttato al collo con le lacrime agli occhi… “Profeta! Profeta!”, gridava la folla...
raccontò poi Dostoevskij in una lettera alla moglie.
Relativamente al significato di Puskin per la Russia Dostoevskij afferma:
Puskin è stato il primo a scoprire, e a riconoscere per quello che è, questa manifestazione patologica e importante della nostra intelligencija, nella nostra società sradicata, senza terra, che crede di stare di gran lunga al di sopra del popolo. Egli l’ha riconosciuta , e ha saputo metterci plasticamente davanti agli occhi il tipo del nostro uomo russo negativo: l’uomo che non ha pace e che non sa accontentarsi di nulla di ciò che sussiste, che non crede nella terra patria e nelle forze di questa terra patria, che nega nel suo fondamento ultimo la Russia e se stesso (o più esattamente , la sua classe sociale, l’intero ceto dell’intelligencija a cui anch’egli appartiene e che si è svincolato dalla terra del nostro popolo) che non ha più niente in comune con i suoi compagni del popolo, e che pure soffre sinceramente di tutto questo. [3]
E’ ciò che si può dire qui in Europa anche oggi.
Il tempo è quello del nichilismo che pone quindi l’uomo nella necessaria decisione di andare oltre, l’avvento del nichilismo pone dunque l’uomo nella necessità di oltrepassarlo.
Heidegger giustamente afferma che il nichilismo non sia altro che la conclusione di un lungo processo storico e che Nietzsche parla del nichilismo europeo, non intendendo però quello che sorge verso la metà del 19º secolo e la sua espansione geografica in Europa. Europeo per lui va inteso in riferimento alla storia del pensiero occidentale. Egli adopera il nome nichilismo per indicare il movimento storico da lui riconosciuto per la prima volta, ma che domina già i secoli precedenti e che darà impronta al 1900 e di cui egli compendia l’interpretazione più essenziale nella breve sentenza “ Dio è morto“. Cioè: il Dio cristiano ha perduto il suo potere sull’ente e sul destino dell’uomo. E Heidegger precisa che il nichilismo è quella condizione per la quale:
“viene negato tutto ciò che è fondato sulla tradizione, sull’autorità e su una validità altrimenti determinata.”[4]
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NOTE
[1] Da Così parlò Zarathustra.
[2] Il termine “nichilismo compare una prima volta con Jacobi in una lettera indirizzata a Fichte: “In verità mio caro Fichte – afferma Jacobi – non deve infastidirmi se lei o chicchessia vuole chiamare chimerismo quello che io contrappongo all’idealismo, a cui muovo il rimprovero di nichilismo …” Dirà sempre Jacobi: “L’uomo non ha che un’alternativa: o dedurre tutto dall’Uno, o dedurre tutto dal nulla. Al nulla noi anteponiamo l’Uno, e lo chiamiamo Dio, perché quest’Uno, o è necessariamente un Uno personale, oppure è di nuovo, sott’altri nomi, un nulla universale, un essere indeterminato per natura ma che pur tutto determina,
[3] Il discorso è stato pubblicato da Castelvecchi di Roma nel 2017
[4] Martin Heidegger, Nietzsche, Il nichilismo europeo, Adelphi , Milano 1994, p. 563 e segg.
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Autore: Prof. Aldo Rizza
Titolo: La Malattia dell’Europa
Data di pubblicazione: 12 Marzo 2021