“LA DEMOCRAZIA: UNA QUESTIONE APERTA” di Aldo Rizza // Parte 3

Proseguendo nell’attuazione dei propri fini statutari, http://www.rinascimentoeuropeo.org/statuto/Statuto.pdf, RINASCIMENTO EUROPEO ha creato, sul proprio sito web www.rinascimentoeuropeo.org, uno spazio interamente destinato a raccogliere scritti e riflessioni su temi d’interesse generale che rientrino nelle finalità dell’Associazione.
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Per un’apologia della democrazia
Ora è possibile tentare una sorta di apologia della democrazia. Ė nota la celebre frase di Churchill, secondo cui la democrazia è senz’altro una forma di governo imperfetta, ma non ne conosciamo altre migliori. E, dal canto suo, lo stesso critico Tocqueville affermava :
“Non negherò che una costituzione tale [quella democratica] non sia infinitamente preferibile a una che, dopo aver accentrati tutti i poteri, li rimettesse nelle mani di un uomo o di un corpo irresponsabile.”
A ben vedere se qualcosa abbiamo imparato è proprio questo senso realistico che ci suggerisce di scegliere il male minore. Tuttavia, la differenza fra chi si ispira ad una concezione di tradizione platonico-aristotelica e tomista e chi, invece, ritiene non sia più concessa alcuna speranza circa la potenzialità positiva dell’anima umana (come in Machiavelli e in Hobbes) e che, parimenti, non vi sia alcuna ragione per poter rivolgere lo sguardo verso l’alto, sta proprio nel fatto che, forse, al primo è possibile trovare delle ragioni positive per apprezzare la democrazia, mentre il secondo la considera semplicemente alla stregua del male minore.
Non deve dunque stupire il fatto che la Chiesa abbia assunto una forte posizione di difesa della democrazia nel cammino di questo ultimo secolo, sino alla posizione conciliare e post-conciliare di schietto appoggio alla mentalità democratica. [20]
Appoggio che non vuol dire certo accettazione di un modello assoluto di democrazia. Infatti, insieme alla schietta accettazione della democrazia come via normale per il governo della città contemporanea, resta aperta la possibile scelta tra modelli, tutti perfettibili di democrazia. Abbiamo, infatti, parlato di conformismo democratico (sempre, in ogni regime c’è l’appiattente conformismo: fu così nei regimi assoluti, nei regimi totalitari – dove a volte il conformismo però diviene un dovere – e anche in quelli democratici), tuttavia la presenza di questo equivoco ospite non ci deve ingannare del tutto spingendoci a conclusioni pessimistiche e negative riguardo alla nostra attuale concezione di democrazia rappresentativa. Questo conformismo rivela anche qualcosa di molto positivo.
La democrazia del numero, pur con le sue pericolose possibili degenerazioni, non si oppone – nel suo fondamento – alla visione personalistica cristiana; anzi, possiamo dire che il valore della democrazia classica può sopravvivere ed anzi rafforzarsi, nella società dei grandi numeri e nell’epoca dell’avvento delle masse, proprio alla luce dei principi del personalismo cristiano. Questo amplia la prospettiva della democrazia individualistica e la estende a tutti gli uomini riconoscendo la loro dignità singolarmente preziosa ed irripetibile. [21]
Georges Burdeau nota finemente :
“Forse che il numero sarebbe degno di rispetto, se si potesse mettere in dubbio la qualità degli elementi che lo compongono?”
A ben vedere l’ideale democratico sopravvive anche alle più cocenti disillusioni poiché si fonda sulla fiducia nella grandezza dell’uomo.
“Il popolo è portato ad assumersi la responsabilità del proprio destino, in quanto ogni uomo è chiamato ad una medesima responsabilità in ciò che lo concerne personalmente.”
In questo senso la democrazia appare più una tendenza che non una forma restringibile in una definizione. Esistono quindi vari tipi di democrazia rappresentativa anche profondamente diversi (basti pensare a quello inglese, americano, francese e tedesco). Ma ciò che più conta sarà allora porsi la questione da una prospettiva diversa.
I differenti tipi e modi di intendere la democrazia si unificano nel loro dichiararsi tutti al servizio dell’uomo: ogni riflessione sulla democrazia rimanda quindi all’interrogativo metafisico “chi è l’uomo”? Ora, sia nella riflessione filosofica antica che in quella evangelica, ed anche nella corrente giusnaturalistica, l’uomo è visto sostanzialmente come “libero” ancorché di condizione servile. C’è insomma un profondo realismo che induce ad avere fiducia nell’uomo (non sempre e, ovviamente, non in tutte le correnti). La democrazia appare come la forma privilegiata entro la quale può esplicarsi la fondamentale dignità della persona.
Le cose si complicano allorquando dall’ideale conclamato si passa all’ideale realizzato. Qui abbiamo le molteplici differenze ed anche i molteplici scacchi storici della democrazia. In questo senso le difficoltà non sono destinate a diminuire nell’avvenire, ma anzi, forse, a moltiplicarsi e complicarsi. Quindi, seguendo l’indicazione di Churchill possiamo dire che la democrazia contemporanea è un regime di dubbia efficacia: genera frequentemente disordini ed il suo cammino non è certo uno specchio di coerenza. Troppo sensibile agli umori popolari – più che non a ciò che effettivamente potrebbe giovare al popolo – la democrazia non appare molto adatta a perseguire mete di lungo periodo. Tuttavia, come dice Burdeau:
“L’idea democratica trae il proprio valore dall’immagine generosa che essa ha degli uomini; la debolezza delle tecniche democratiche va imputata alla mediocrità di questi ultimi.”
Ciò si sposa benissimo con il modo di pensare rispettoso della tradizione per la quale, insieme alla metastoricità dei valori, risulta evidente la fallibilità dell’agire umano e la non eternità delle istituzioni umane. Per cui possiamo dire che se la democrazia è stata successivamente intesa come garanzia di libertà, come strumento di giustizia e come una gestione del benessere e, quindi, se possiamo dire che le immagini della democrazia sono molteplici, possiamo però concludere che sono tutte momenti di una medesima impresa, che prendono a fondamento il valore dell’uomo . Diverse le forme che la democrazia assume, ma identico il valore da cui queste stesse forme emergono nel tempo e nello spazio.
La democrazia come garanzia della libertà ci dice che l’una senza l’altra non stanno: non vi può essere democrazia senza libertà e libertà senza democrazia. Il che vuol dire che non è immaginabile una democrazia non fondata sul consenso dei governati. Le difficoltà certamente sorgono quando si deve definire che cosa si intenda per libertà e per uomo libero.
La libertà può essere intesa come semplice autonomia e allora essa designa una condizione nella quale si sa che cosa l’uomo non dev’essere costretto a fare e si trascura invece ciò per che cui trova sensato vivere. E’ libertà da, e basta: starà poi a ciascuno dare o non dare i contenuti che crede alla propria esistenza.
C’è invece la libertà intesa come possibilità concreta di realizzare il proprio compito nella vita; e allora si tratterà di libertà per. In fin dei conti quanto più una società è spinta a realizzare il secondo tipo di libertà, quanto più la democrazia sarà sicura nel suo cammino.
E’ ovvio che, comunque io pensi la libertà, bisognerà che il presupposto della democrazia – che è poi il presupposto per ogni costruzione della città – è che l’uomo libero (senza dimenticare mai il realismo che ci fornisce molteplici ragioni valide per ritenere vero il limite della nostra fallibilità), dev’essere preservato [22].
La democrazia come strumento di giustizia è direttamente connessa alla democrazia come garanzia della libertà. Infatti, nel momento in cui io sono libero, proprio per la mia dignità umana, posso, simultaneamente essere impedito nella espressione quotidiana della mia libertà a causa di determinate condizioni economiche e sociali. Se devo vivere nella miseria e nell’indigenza che cosa me ne faccio della libertà? E, inoltre, se devo vivere nella miseria e nell’indigenza come posso realizzare quella libertà per, quel compito in cui consiste la mia vita terrena? E’ qui che a volte la libertà politica, che mi offre la democrazia liberale, può divenire una beffa, un’inutile formalità. Quindi, da un lato la libertà è un dato preesistente, ma, nello stesso tempo, è qualcosa che si deve conquistare progressivamente.
Così risulta evidente che al termine democrazia deve aggiungersi anche quello di solidarietà, se non si vuole l’atomizzazione della società e lo scatenamento della violenza come lotta per la sopravvivenza. E’ necessario che la democrazia abbia un respiro sociale, soprattutto in questo tempo che ha visto il crollo del marxismo-leninismo, proprio su quel terreno della prassi dove aveva posto la certezza di un’immancabile e vittoriosa verifica storica. Eppure sono ancora molte le resistenze su questo piano. C’è chi contesta l’idea di giustizia sociale in democrazia poiché essa rappresenterebbe un ostacolo posto sulla via della libertà altrui per provvedere ai bisogni di alcuni. Visione molto angusta questa e pericolosa poiché, infine, genera una reazione rivoluzionaria e violenta.
E’ vero che gli uomini non sono uguali, ma è anche vero che essi aspirano ad esserlo e la democrazia è anche fatta per conseguire – mai perfettamente e mai totalitariamente – questo risultato. Perché tutti godano della libertà, è necessario che le loro possibilità tendano ad essere uguali e dunque che gli ostacoli a questa potenziale eguaglianza, che derivino dal disagio economico, vengano progressivamente ed instancabilmente rimossi. Ora, è evidente che il liberalismo ha ricercato – e qui sta il suo merito indiscusso – di preservare la libertà nella democrazia, ma solo quella politica e come condizione del massimo di libertà ha cercato in ogni modo di salvaguardare il mercato.
Sappiamo, d’altra parte, che il socialismo marxista ha invece cercato esclusivamente l’uguaglianza economica (facendo dipendere, come per i liberali, la qualità dalla quantità) e per questo, dialetticamente, ha rovesciato le cose rispetto al liberalismo.
Abbiamo così avuto società socialiste dove si è cercata l’eguaglianza e si è perduta la libertà.
La democrazia come gestione del benessere, da un lato, accresce i significati legati al termine di democrazia come governo del popolo, e, dall’altro, li complica.
L’idea va fatta risalire a Malthus, Ricardo e Smith; si tratta della considerazione circa la penuria dei beni e delle risorse a disposizione e della necessità, quindi, che l’idea, insita nella democrazia, del procedere secondo giustizia, sia semplicemente rafforzata e che proprio nella produzione e distribuzione del benessere coincida la democrazia. E’ questa, a mio avviso, una cosa importante che si collega alle altre due precedenti considerazioni sulla libertà e sulla giustizia.
Secondo alcuni la democrazia procede per accrescimento: una volta avanzata la garanzia di libertà, a questa si è aggiunta la giustizia a cui si è poi aggiunta anche la questione del benessere e della sua gestione. Dal mio punto di vista le cose non sono proprio così automatiche. Possiamo infatti, avere accentuazioni fino alla soppressione di altri termini.
Di per sé giusta, l’idea che la democrazia contenga anche l’esigenza di una corretta gestione del benessere, può comportare travisamenti importanti.
Si dice: la promessa, se non il pieno conseguimento, di una società opulenta, attraverso la sconfitta della penuria, conseguita dagli spettacolari successi dell’industrializzazione in una parte del pianeta, autorizza a pensare che la democrazia non sia più il sistema che, attraverso il successo delle classi più povere, provvede a redistribuire la povertà, ma che sia ormai il sistema finalizzato ad accrescere e a distribuire maggiore ricchezza.
In sostanza la democrazia sarebbe l’interessata guardiana della libertà assoluta di mercato. Ciò che conta, in primo luogo, diviene il produrre e non più lo spartire. L’accento è posto sul mercato e le sue leggi, cui la democrazia deve servire, non viceversa. Il potere diviene il promotore di un benessere che non esige più sacrifici dei più ricchi in favore dei più poveri. L’occhio si fissa più sui vantaggi materiali che non sulla libertà e sulla giustizia. E’ ovvio che nelle sue cicliche crisi il sistema mondiale del mercato rischia così di coinvolgere la democrazia in ciclici disastri.
In un mondo siffatto, la democrazia al suo interno vede il dileguarsi delle ideologie e l’affermarsi delle tecnocrazie. L’ideale è equiparato all’utopia ed entrambi sono irrisi: si passa alle statistiche. Questa mutazione è avvenuta poiché grandi masse di cittadini hanno ritenuto che questa poteva divenire la loro società:
“Si tratta di una mutazione spirituale – dice G. Burdeau – cui hanno contribuito tutti i fattori dell’evoluzione tecnica , economica e culturale che tramite i mezzi di comunicazione di massa accelerano il processo di integrazione sociale.”
Noi diremmo, con espressione più significativa: processo di omologazione. I grandi mezzi di comunicazione, del resto, non hanno inventato niente, hanno semplicemente divulgato una mentalità che sta prima della tecnica e prima dello sviluppo economico, ma che in tutto ciò si trova ad essere vincente. Anzi si tratta del suo esito nel momento in cui raggiunge le masse, attraverso i mezzi di comunicazione, la tecnica, la produzione ed il consumo di massa. Anche coloro che si oppongono a questa società opulenta non lo fanno perché non la trovino insoddisfacente, ma perché non vi scorgono ancora un soddisfacente grado di crescita. In breve, si può notare che – scomparso il marxismo e non affermatosi il solidarismo cattolico – tra la società esistente e quella che si auspica, non c’è differenza di natura, ma soltanto di grado nella realizzazione degli obiettivi.
In questa dimensione non ha più senso la lotta politica per la conquista del potere. A qual pro battersi per mandare al governo uomini costretti a fare ciò che facevano i loro predecessori? Così si comprende come nelle società più avanzate ci sia tanta disaffezione alla politica e alle tornate elettorali. Per sfuggire a questa asfissia della democrazia, quando abbia come scopo esclusivo quello della gestione del benessere, si è pensato di trasformarla non più in competizione, ma in partecipazione all’esercizio del potere. Ci sono anche su questo piano molti fraintendimenti, ma non possiamo sottovalutare la carica positiva di una tale via. In realtà sembrano oggi sopravvivere due vie:
1) in fasi di recessione e crisi economica si acuiscono gli elementi di competitività e di lotta per la giustizia e la libertà (come potrebbe essere oggi per il nostro paese); di qui, la necessità, in queste fasi, di dare massima apertura al discorso ideale per orientare al bene comune la lotta politica;
2) in fasi di alto benessere, quando si attenuano le ragioni di differenziazione ideologica e si scopre che la piena conquista del potere nella città è meno importante della sua gestione, si deve dare grande spazio agli ideali che consentano la partecipazione e la solidarietà non soltanto all’interno del proprio paese, ma anche in favore dei paesi nei quali ci si può spartire solo la miseria.
In ogni caso, anche nella monotonia di un compito modesto, si tratta di comprendere e di favorire una visione delle cose in cui sia sempre contestata la riduzione dell’uomo ad un’unica dimensione; riduzione alienante e condizione di future catastrofi.
Abbiamo pensato a queste ultime pagine come un’appendice, anche se logicamente e cronologicamente esse dovrebbero rappresentare la premessa delle nostre riflessioni. In realtà la democrazia di cui noi parliamo non è certo quella ateniese di Pericle, né quella romana dei Gracchi, di Mario e di Cesare (che ha come esito l’impero). La democrazia di cui noi parliamo e dalla quale vogliamo prendere le mosse nasce nei comuni italiani del medioevo e si giustifica nelle costituzioni degli ordini mendicanti. In sostanza il nostro discorso sulla democrazia necessariamente ci riconduce alle fonti, alle origini della nostra vicenda europea. Esse stanno nella conciliazione tra Roma e i barbari, nella scomparsa dell’opposizione Romani-Germani con Carlo Magno e nell’elaborazione politica che dal diritto romano e germanico dà vita alle nostre città d’Europa. All’origine, dunque, il pensiero medioevale e l’elaborazione teorica delle nostre università.
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[20] Fino alla nota posizione assunta dall’enciclica di Giovanni Paolo II nella sua enciclica “Centesimus annus”.
[21] Ostacolo non indifferente a questa possibile, e di fatto avvenuta, alleanza tra cristianesimo e democrazia rappresentativa (basti pensare a Maritain e ad altri grandi pensatori cattolici di questo secolo) sta nella mentalità moderna, non tanto nell’ideale classico di democrazia. Diceva a questo proposito Del Noce :”…a mio giudizio l’interpretazione della storia come processo di secolarizzazione e di demitizzazione e l’idea della modernità come valore (l’uomo diventato adulto!), il progressismo, insomma, nel momento del loro pieno trionfo pratico e in quello della più piena espressione teorica, danno luogo ad un processo necessario che porta al conservatorismo più oppressivo che la storia abbia mai conosciuto.” E’ quindi in quest’idea di modernità che si deve ravvisare l’avversario sia del cristianesimo che della democrazia.
[22] La Chiesa, nell’ultimo secolo si è sempre più fortemente aperta all’approfondimento della parola di Dio anche per quanto riguarda il tema della libertà e della democrazia. Grandi pontefici, come Pio XII, Giovanni XXIII, Paolo VI e, soprattutto Giovanni Paolo II con le loro encicliche hanno chiarito il pensiero della Chiesa sulla questione politica. Anche la recente enciclica di Benedetto XVI avanza questioni di una certa rilevanza sul, piano politico: la carità non ha confini. Per tutti, però, ha parlato il Concilio Vaticano II che nella Gaudium et Spes afferma con forza che ai cittadini venga offerta, senza alcuna discriminazione, la possibilità effettiva di partecipare liberamente ed attivamente sia alla elaborazione dei fondamenti giuridici della comunità politica, sia al governo della cosa pubblica, sia alla determinazione del campo d’azione e dei limiti dei differenti organismi, sia, infine, alla elezione dei governanti. Certamente , e questo è peculiare della mentalità cattolica, il voto di ciascuno deve essere rivolto alla ricerca del bene comune e non semplicemente alla difesa di un proprio interesse particolare. Quindi libertà si, ma libertà per.
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Autore: Aldo Rizza
Titolo: LA DEMOCRAZIA: UNA QUESTIONE APERTA
Data di pubblicazione: 14 Dicembre 2020