Jihad e Finanza, ecco chi alimenta la rete del terrore
Riportiamo l’articolo, a firma di Souad Sbai, pubblicato su “La Nuova Bussola Quotidiana” il 17 settembre 2017
C’è una strategia finanziaria in essere per sostenere il fondamentalismo di matrice jihadista. Nel progetto dei Fratelli Musulmani, ritrovato nel settembre del 2001 nella villa svizzera di un affiliato, Youssef Nada, è tutto piuttosto chiaro. Qualora non lo si fosse capito prima.
Le inquietanti ambizioni politiche, con le iniezioni sostanziose della strategia finanziaria mondiale della Fratellanza puntano a conquistare l’Occidente nel suo tessuto sociale, politico, culturale, religioso, ma anche economico e finanziario: un assoggettamento in piena regola. Questo piano, che si può dire cospirativo, legato all’occupazione e alla conquista dell’Occidente, punta a raccogliere ingenti risorse economiche per reclutare, indottrinare e radicalizzare sempre più giovani. Quasi un’intera generazione è stata infatti prescelta, fomentata all’odio contro l’Occidente e radicalizzata dagli estremisti che hanno esercitato una profonda ed efficace azione di condizionamento mentale e sociale, attraverso quella che si chiama ‘dawa’, ovvero il proselitismo ideologico, che si giova costantemente dei finanziamenti dell’area dei Paesi del Golfo.
Il progetto punta a fornire degli “sforzi individuali” per ripulire i musulmani dalle transazioni usuraie, e soprattutto a creare degli istituti bancari. Il Lussemburgo è così diventato uno dei principali centri finanziari islamici in Europa, da dove vengono controllate altre società bancarie, come The Islamic Investment House di Londra e la Banca islamica internazionale danese, con sede a Copenhagen. Ciò permette di infiltrare dei membri del Gamaat, a cui il progetto si rivolge, nelle varie attività bancarie, al fine di ricevere donazioni per raccogliere fondi utili al reclutamento di nuove leve: lo scopo è “tenere sveglio” il jihad in tutto il mondo. Tradizionalista e conservatore, il Qatar è stato accusato di fornire aiuti finanziari e logistici ad alcuni movimenti radicali come i Fratelli Musulmani, Daesh e Al Qaeda. Riyad e i suoi alleati, Bahrein, Emirati Arabi Uniti, Yemen, Egitto e altri Paesi arabi hanno così deciso di isolare il Qatar, interrompendo le relazioni bilaterali e diplomatiche. Il Qatar, secondo le accuse, avrebbe infatti inviato dei fondi ai movimenti Ansar Eddine, Al-Qaeda au Maghreb islamique (Aqmi) e al Mouvement pour l’unicité et le jihad en Afrique de l’ouest (Mujao). E una dozzina di privati, inseriti nella black list del dipartimento americano, finanziano il Fronte Al-Nusra, legato ad Al-Qaeda.
Uno dei personaggi chiave è Abd Al-Rahman ben Umayr Al-Nuaymi,classificato Specially Designated Terrorist dagli Stati Uniti perché avrebbe aiutato e pubblicizzato alcune organizzazioni terroristiche fornendo loro un supporto finanziario, materiale e tecnologico. Negli ultimi 10 anni, Nuyami avrebbe trasferito milioni di dollari ad affiliati di Al-Qaeda in Iraq, Siria, Somalia e Yemen, ma non solo: avrebbe anche finanziato il gruppo qaedista somalo al-Shabab e Asbat al-Ansar, gruppo terroristico libanese legato ad al-Qaeda. Il Qatar è stato il Paese di passaggio e di transito per pericolosi terroristi, come Bin Laden che lasciò il Sudan per andare in Afghanistan nel 1996, passando per Doha. Khalid Cheik Mohammed, la mente degli attentati dell’11 settembre, era amico di un membro della famiglia regnante. Le dichiarazioni del capo di Al-Qaeda in Siria sono regolarmente diffuse dalla rete televisiva Al Jazeera, con sede in Qatar.
I Paesi europei si stanno impegnando ad effettuare maggiori controlli sui transiti e sui movimenti finanziari sospetti, ma l’allerta resta altissima, come si evince dalle dichiarazioni di Julian King, Commissario europeo per l’unione della sicurezza nella Commissione Juncker, davanti alla Commissione delle libertà civili del Parlamento europeo: “Mentre stiamo registrando dei successi contro Daesh (ISIS) in Iraq e in Siria, loro trasferiscono dei fondi all’estero”. “C’è il rischio reale – ha spiegato – di un nuovo flusso di finanziamenti per il terrorismo. Dobbiamo essere coscienti di questo e lavorare per vedere cosa possiamo fare”. In Europa “il ritmo degli attacchi sta accelerando”, dice, lo Stato islamico continua ad inviare dei fondi all’estero, insospettabili piccole somme di denaro difficili da individuare, così come ha sottolineato lo scorso mese un Rapporto dell’Onu. Nonostante, dice il rapporto, la situazione dello Stato islamico “continua a deteriorarsi”. Gli esperti chiariscono però che la prossima sconfitta militare del gruppo jihadista in Iraq e in Siria non lo farà di certo scomparire.
Chiudo riportando le parole del prof. Jean-Pierre Filiu, ricercatore presso la facoltà di Scienze Politiche di Parigi: ”Daesh potrebbe ricostituirsi, in un prossimo futuro, continuando ad incitare nel mondo dei gruppi di simpatizzanti e di militanti elettrizzati dalla violenza estrema di questa lotta”. La strategia è chiara a tutti, a quanto possiamo capire, ma le contromosse sono deboli, specialmente quando si tratta di bloccare o interrompere flussi di denaro che passano per l’Europa: per capire dove nasce il terrore, occorre non solo seguire il filo del jihadismo militante, la rete e i passi di chi radicalizza con le parole. Ma anche, e direi soprattutto, il flusso dei soldi: che contribuiscono a rendere ancora più opaca la pellicola che riveste le debolezze occidentali. E, soprattutto, le reticenze e le complicità. Che sono enormemente più gravi.