Il PUNTO n. 703 di Marco Zacchera
Riceviamo in Redazione e riportiamo la newsletter “Il Punto” n. 703, di Marco Zacchera, del 18 gennaio 2019
LA POLITICA DEI NO
Dovremmo riflettere sul fatto che è molto più semplice dire sempre NO piuttosto che SI eppure il mondo, la politica, l’Italia, la vita non cresce rispondendo sempre NO. Non alludo solo ai consueti NO del M5S a tutto, per tutto e su tutto ma a tanti altri esempi quotidiani. Guardate la Gran Bretagna: ha detto NO all’Europa ma anche NO agli accordi per uscirne e NO a un nuovo referendum ritrovandosi adesso in un vicolo cieco. E’ sempre più facile rompere che saper costruire e – soprattutto quando non si si è capaci di farlo – i NO diventano obbligati, in una spirale inesorabile.
SI ALLA TAV
Un’opera che credo potrebbe però essere comunque realizzata e conclusa risparmiando un bel po’ di risorse visto il mondo che ci gira intorno (l’alta velocità in Spagna costa al chilometro molto meno che in Italia, chissà come mai…)
L’ esperto scelto dal ministro Toninelli per dire NO alla TAV – il prof. Marco Ponti – ha sempre espresso il suo scetticismo sull’opera e c’era quindi da scommettere sul suo giudizio negativo, dopo che ben 7 commissioni avevano invece espresso in passato il loro SI alla TAV.
Ora la TAV è diventata però una questione politica e mi auguro che la Lega sappia convincere gli alleati che non si può perdere altro tempo per il bene non solo del Piemonte ma di tutto il paese. Oltretutto si è già spesa una montagna di soldi e fermando i lavori l’Italia dovrebbe pagare pesanti penali. C’è però un punto fondamentale dei conteggi del prof. Ponti che andrebbe chiarito: il “ritorno dell’investimento” che pare parametrato solo su circa 30 anni ed ecco perché i conti non tornano.
La GALLERIA FERROVIARIA DEL SEMPIONE (19 km. – per decenni la più lunga del pianeta) è stata inaugurata nel 1906 (il secondo binario nel 1921) e da allora – salvo i lavori negli anni ’80 per modificare la sagoma del tunnel adeguandola ai nuovi treni – la galleria funziona egregiamente da oltre un secolo senza particolari nuovi investimenti. SE PER COSTRUIRLA AVESSERO CALCOLATO DI GUADAGNARCI IN SOLO 30 ANNI LA GALLERIA DEL SEMPIONE NON L’ AVREBBE MAI REALIZZATA NESSUNO!
Approfondimento: IL NUOVO BRASILE DI BOLSONARO E IL RIENTRO DI CESARE BATTISTI
Il nuovo presidente brasiliano Jair Bolsonaro lo aveva promesso ed ha mantenuto l’impegno. Pochi giorni dopo la sua entrata incarica i servizi segreti brasiliani (coadiuvati, sembra, da quelli italiani) hanno finalmente catturato in Bolivia il terrorista latitante Cesare Battisti e il pluriomicida è stato subito trasferito in Italia per scontare 30 anni di galera per i suoi delitti. Coperto dai governi brasiliani precedenti e dalla sinistra internazionale Battisti era prudentemente sparito già a metà dicembre dopo oltre trent’anni di dorata latitanza. Un bel biglietto da visita e di efficienza per Bolsonaro, dal primo gennaio entrato in carica come 38° presidente della Federazione degli Stati Brasiliani eletto a fine ottobre raccogliendo la maggioranza assoluta dei voti, ma anche l’unanime sdegno della stampa “progressista”. Secondo queste fonti il personaggio ha tutte le caratteristiche per non piacere, ma è interessante cercare invece di approfondire i perché di questo successo dopo oltre un quindicennio di presidenza del “Partito dei lavoratori” prima con Luiz Lula Da Silva poi con il suo braccio destro Dilma Rousseff, entrambi incriminati (Lula anche arrestato) per manifesta corruzione. Da notare che ad ottobre erano in palio anche i seggi di 13 governatorati di altrettanti stati brasiliani e – di questi – 12 sono stati conquistati da esponenti anti-sinistra rivoltando completamente la situazione precedente. Non è un caso che il primo a congratularsi con Bolsonaro sia stato Donald Trump: i due si somigliano molto e per l’elezione di entrambi più che le simpatie personali hanno contato l’aperta avversione degli elettori per i candidati alternativi. In Brasile il bilancio di oltre un quindicennio di presidenza a sinistra è stato giudicato fallimentare dalla gran parte dei brasiliani, con molte analogie a quello che potrebbe essere il futuro scenario italiano. Va subito chiarito che il Brasile – federazione di 26 stati indipendenti, oltre al distretto federale di Brasilia – ha il proprio traino nel sud del paese mentre il nord è più povero e selvaggio. Si va dal mezzo milione di abitanti del Roraima, nel nord, ai 41 milioni dello stato di San Paolo, a volte con superfici immense come lo stato dell’Amazzonia grande 15 volte l’Italia ma con solo 3 milioni di residenti. Da sempre il nord vota a sinistra, ma Lula ha sicuramente accentuato la dipendenza economica della gente dalla assistenza pubblica creando casi paradossali – il riferimento al “reddito di cittadinanza” italiano è lampante – in cui è molto più conveniente non fare nulla e raccogliere comunque sussidi pubblici che non mettersi ufficialmente a lavorare. Ciò ha progressivamente portato ad una spaccatura profonda con gli stati del Sud più moderni e produttivi con una vera e propria rivolta istituzionale contro Brasilia e addirittura minacce di secessione. Non appena l’economia ha rallentato – dopo il buon sviluppo intorno agli anni ‘2000 – i problemi si sono accentuati accompagnati da una escalation delle violenze di una delinquenza che è arrivata a controllare e condizionare la vita del paese. Questo per la corruzione endemica di tutto il sistema, ma anche per la diffusione della droga (di solito un povero “crak” locale che fuma i cervelli) con un’infinità di persone letteralmente accampate oggi in ogni punto delle città brasiliane o sdraiate per terra senza alcuna prospettiva. Su questo aspetto ha avuto buon gioco Bolsonaro – di fatto appoggiato anche dalle forze armate – a promettere ordine, pulizia e disciplina con una richiesta che però è profondamente condivisa da una larghissima parte di opinione pubblica costretta a vivere blindata in una situazione di pericolosa insicurezza. Chi visita oggi il Brasile resta sconcertato dal numero di poliziotti presenti nelle strade (soprattutto nelle aree turistiche) ma anche da una burocrazia inefficiente e corrotta, dai prezzi in ascesa, da un paese che sta sprofondando in una crisi profonda e per la quale molti incolpano proprio Lula e la Riusseff e le loro “non riforme” coperte solo da mero assistenzialismo. Un paese che ha ospitato nel 2014 Olimpiadi e Mondiali di calcio – costruendo cattedrali nel deserto spesso già in rovina – ma che sopravvive solo con i crediti internazionali e per lo sterminato patrimonio (malsfruttato) di materie prime di cui ancora dispone, ma dove scuola, trasporti e sanità pubblica non funzionano tanto che chi appena può si rivolge ad assicurazioni e strutture private. . Trent’anni fa solo il 5% dei brasiliani aveva un reddito di livello europeo (tra di loro – oggi come allora – molti super ricchi francamente eccessivi), una percentuale salita oggi intorno al 30% ma con una media borghesia molto preoccupata del futuro e che – compatta – ha quindi votato il nuovo presidente. Bolsonaro sconcerta qualcuno per dichiarazioni, caratteristiche, populismo e demagogia, ma sicuramente oggi rappresenta per molti brasiliani una speranza, soprattutto perché la sinistra ha certificato la propria incapacità di governo.