IL MALGOVERNO RENDE IMMORALE LA POLITICA di Carlo Manacorda*
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Da sempre, i cittadini si chiedono se le decisioni della politica debbano essere anche morali, cioè rispettose dei principi comuni e universali di giustizia, correttezza, libertà, imparzialità, oppure possano anche non tenerne conto tanto da apparire, addirittura, ingiuste e scorrette. In definitiva, immorali. La domanda appartiene all’antico e complesso problema del rapporto tra morale e politica. Morale e politica sono due mondi distinti e che non possono influenzarsi vicendevolmente?
Fin dall’antichità, i filosofi hanno cercato di dare risposta a questa domanda. Senza escludere che, talora, possano sussistere avvicinamenti tra le due sfere, è prevalso il concetto che l’azione politica debba essere pragmatica. Deve assumere, con realismo, le decisioni che ritiene più appropriate per governare le realtà di un determinato momento. Se la politica si facesse condizionare da ideali (spesso espressione di semplici speranze), cioè dalla morale, non potrebbe raggiungere i propri fini. Questa posizione ha trovato una sintesi nel noto aforisma di Macchiavelli per il quale, in politica, “il fine giustifica i mezzi”. Interpretando questa regola alla lettera, alcuni pensatori hanno addirittura sostenuto che tutte le azioni della politica sono giustificate indipendentemente dalle modalità messe in campo per attuarle. Quindi, anche se compiute violando diritti fondamentali dei cittadini e della civile convivenza (la storia è piena di esempi di questo genere).
Naturalmente, la massima di Macchiavelli non è così estremistica. Macchiavelli afferma, in primo luogo, l’autonomia della politica nel prendere le sue decisioni. Al tempo stesso, pone l’accento sul fine perseguito dall’azione politica. Il fine deve essere lecito. Con espressione di sintesi, Bobbio individua questo fine nel “mantenere lo Stato”. In altre parole, le decisioni della politica devono essere mirate alla salvezza della patria e dell’interesse generale. In buona sostanza, essere finalizzate alla realizzazione del “bene comune”. Se perseguono questi scopi, non interessa giudicare, dal punto di vista morale, i mezzi usati per raggiungerli. È lo stesso fine che rende morale l’azione della politica. Se ci sono queste condizioni, si realizza il “buongoverno”, cioè la corretta gestione della cosa pubblica.
Diverso il giudizio se le azioni della politica non rispondono a questi criteri. Sono, sicuramente, immorali le azioni della politica che mirano a salvaguardare il potere di chi governa. Altrettanto immorali sono quelle attuate per interessi economici sempre di chi governa. È anche immorale la politica inefficiente e negligente, propria e degli apparati che dovrebbe governare, poiché inefficienza e negligenza hanno ricadute negative sul perseguimento degli interessi di tutta la comunità amministrata. In sintesi, sono queste le situazioni che caratterizzano il “malgoverno”, cioè la cattiva amministrazione dei beni pubblici.
Delle tre ipotesi di “malgoverno”, quella più sensibilizzata è, sicuramente, la seconda. Sovente, si tende anzi a individuare la politica immorale unicamente nei comportamenti dei politici che si macchiano di reati contro la Pubblica Amministrazione: corruzione, concussione, abuso di potere, peculato, ecc. Nessuno può dubitare che l’uomo politico che si lascia corrompere ha anteposto l’interesse individuale all’interesse collettivo, il bene proprio al bene comune. Certamente, compie azioni politicamente immorali.
L’immoralità delle azioni politiche finalizzate al mantenimento di poteri personali viene astutamente nascosta da chi governa dietro al paravento “dell’interesse dei cittadini”. Cambi di casacca, tripli salti mortali per passare da un raggruppamento politico ad un altro sono contrabbandati come comportamenti assunti per “senso di responsabilità” (non a caso coloro che li fanno si qualificano o si auto-qualificano “i responsabili”). Tuttavia, si fiuta a distanza che questi movimenti avvengono, esclusivamente, per garantirsi una posizione personale di potere, attuale e futura (“il mio partito si sta indebolendo e non mi garantirebbe un’eventuale rielezione. Meglio cambiare parrocchia o fondarne una nuova”).
C’è però il terzo caso di immoralità della politica. È quello che consegue all’inefficienza, negligenza e incapacità di chi governa. Proprio in questi giorni, si sta assistendo a interventi della politica volti a sanare difficili situazioni che pregiudicherebbero, gravemente, ampie categorie di cittadini. Richiamiamone due come esempio: la cosiddetta “rottamazione delle cartelle esattoriali” e il salvataggio dell’Alitalia. Nessuno oggi dubita della moralità politica di questi interventi, tra l’altro resi ancora più necessari dallo stato pandemico. Ma l’immoralità dell’azione politica va rilevata nei comportamenti dei governanti che, per inefficienza, negligenza o incapacità, hanno causato questi disastri sociali e dell’economia.
Secondo i dati resi noti dall’Agenzia delle Entrate, la “rottamazione delle cartelle esattoriali” porterà alla cancellazione ― per quanto deciso dal 1° Decreto Sostegni ― di circa 65 milioni di cartelle, con minori entrate per le casse dello Stato per poco meno di 1 miliardo di euro. Ma, se l’operazione della rottamazione verrà ampliata, il costo potrà arrivare a 2 miliardi di euro. A prescindere dal dato economico, la rottamazione rappresenta il fallimento dello Stato nell’azione di riscossione delle tasse, evidente conseguenza del disinteresse da parte di chi avrebbe dovuto governare il processo. Così oggi tutti i cittadini sono chiamati a pagare per l’inefficienza, cioè l’immoralità, delle azioni politiche di chi ha causato il fallimento.
Secondo un’analisi de Il Sole 24 Ore (maggio 2020), lo Stato ha versato nelle casse di Alitalia, complessivamente, circa 13 miliardi di euro. Fine proclamato dalla politica “far volare la compagnia di bandiera”. Tutto però è avvenuto all’insegna della negligenza, senza verificare che esistessero piani industriali che giustificassero le erogazioni. Conseguenza: la compagnia di bandiera è andata sempre più a rotoli, e sembra che l’Unione europea oggi non autorizzi più alcun taccone. E allora, chi ha deciso le erogazioni ha compiuto azioni politiche di “buongoverno”, cioè morali, o di “malgoverno”, cioè immorali? Purtroppo, le conseguenze drammatiche di queste azioni della politica le pagheranno migliaia di lavoratori e loro famiglie. E le pagheranno anche tutti i cittadini ai quali sono già stati sottratti 13 miliardi e altri ne dovranno sborsare per tappare buchi di “malgoverno”.
Potrebbero essere richiamati altri numerosi esempi di “malgoverno”, andando da amministrazioni pubbliche o locali abbandonate da chi le aveva governate nel totale disordine economico e gestionale, al salvataggio di banche a causa delle pessime azioni di chi le gestiva, fino ad arrivare al colossale debito pubblico del Paese, in parte sicuramente dovuto ad azioni politiche di “malgoverno”. Nel giudicare la moralità o non delle azioni della politica non è quindi sufficiente pensare soltanto alla corruzione o alla difesa della posizione di chi governa. È bene mettere in conto anche l’inefficienza, l’incapacità o la negligenza di chi governa. E così aumenta anche l’indignazione.
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Autore: * Prof. Carlo Manacorda, economista ed esperto di bilanci pubblici
Titolo: IL MALGOVERNO RENDE IMMORALE LA POLITICA
Data di pubblicazione: 30 marzo 2021