DECRETO CRESCITA: LO STATO SI ACCOLLA IL DEBITO DI ROMA – Municipalismo differenziato, cattiva amministrazione ed anche ingiustizia
Riportiamo l’articolo, a firma del Professor Carlo Manacorda*, pubblicato su “www.rinascimentoeuropeo.org” in data 16 aprile 2019.
Una norma che dovrebbe essere contenuta nel cosiddetto “Decreto crescita” -approvato (salvo intese, sic!) dal Consiglio dei Ministri il 4 aprile 2019, ma di cui non si conosce ancora il testo definivo -potrebbe accollare al bilancio dello Stato i 12 miliardi del debito pregresso del Comune di Roma. La norma confermerebbe che, mentre il “regionalismo differenziato” -la possibilità cioè delle regioni, a statuto ordinario, più efficienti di disporre di maggiori autonomie gestionali -segna il passo, per Roma vige una sorta di “municipalismo differenziato” che la rende diversa da tutte le altre città. Per Roma, non rileva l’efficienza. La sua diversità si giustifica sotto l’etichetta di “Roma Capitale”. E’ la stessa storia del debito del Comune di Roma che fa emergere l’applicazione da tempo, nei suoi confronti, di un “municipalismo differenziato”.
Anno 2008. La Capitale d’Italia ha accumulato un debito che si sa essere gigantesco, ma le cui dimensioni reali sono ignote. Totalmente priva di risorse, sta precipitando verso il fallimento. Ma il default della Capitale non è ammissibile. Interviene il Governo (Berlusconi) con il decreto-legge 112/2008 (legge 133/2008). Il decreto-legge stabilisce (art. 78) che il Sindaco di Roma (al tempo, Alemanno) assuma anche le funzioni di “Commissario straordinario del Governo per la ricognizione della situazione economico-finanziaria del comune e delle società da esso partecipate , con esclusione di quelle quotate nei mercati regolamentati, e per la predisposizione ed attuazione di un piano di rientro dell’indebitamento pregresso”.
Si prevede che la gestione commissariale debba procedere alla rilevazione di tutte le entrate e di tutte le spese del Comune di Roma fino al 28 aprile 2008. Questa gestione è totalmente separata dal bilancio ordinario che prosegue, dal 28 aprile in poi, nelle mani degli Organi ordinari del Comune. Per il Comune di Roma nascono, dunque, due bilanci. Uno fino al 28 aprile 2008 e l’altro a partire da questa data. Con questo “funambolismo gestionale”, si pensa di riportare l’amministrazione del Comune di Roma a normalità. Si sottolinea che il Commissario straordinario, non appesantito dalla gestione ordinaria, verrà a capo, rapidamente, di tutta la situazione debitoria/creditoria e Roma riprenderà a funzionare normalmente e ordinatamente.
Affinché disponga di un po’ di liquidità, Cassa Depositi e Prestiti concede subito al Comune di Roma un’anticipazione di 500 milioni di euro, da recuperare in futuri trasferimenti statali (sarà mai stata restituita?). La legge 42/2010 stabilisce poi che il Commissario straordinario non sia più il Sindaco di Roma, ma un soggetto nominato con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri.
Per pagare i debiti, il Commissario straordinario dispone di 500 milioni di euro all’anno, di cui 300 trasferiti dallo Stato centrale e 200 versati da Roma Capitale che li ricava da una maggiorazione straordinaria dello 0,4% dell’addizionale comunale sull’Irpef e dai ricavi di una sovrattassa applicata ai passeggeri in partenza dagli aeroporti romani (Fiumicino e Ciampino). Per il Commissario straordinario, tutto ciò però non basta. Si fa anche anticipare 4 miliardi dallo Stato, concordando un piano di rientro. Con gli interessi, l’anticipazione sarà restituita allo Stato per un ammontare di 6 miliardi.
Dopo 11 anni di gestione commissariale (si sono avvicendati 4 Commissari straordinari), tuttavia non è ancora possibile quantificare l’effettiva entità del debito del Comune di Roma. La stima è che ammonti, complessivamente, a 12 miliardi. Ma esiste ancora oggi un’elevata confusione sulle partite da contabilizzare, andando queste dai debiti commerciali ai mutui e alle rate di essi, fino ai debiti finanziari e quant’altro. Tra i debiti finanziari, spicca un’obbligazione comunale emessa nel 2003 (Sindaco Veltroni), che scadrà nel 2048, che pesa per 3,6 miliardi e che paga un tasso d’interesse fisso del 5,345%. Tasso oggi sicuramente oneroso e fuori mercato, ma che pesa per 75 milioni all’’anno per soli interessi.
Con la norma del “Decreto crescita”, cesserebbe la gestione commissariale del Comune di Roma. Contestualmente, l’accollo del debito di Roma da parte dello Stato dovrebbe prevedere: la cessazione del contributo dello Stato di 300 milioni stabilito per la detta gestione nonché la soppressione della super-addizionale comunale IRPEF applicata ai cittadini romani da versare sempre alla detta gestione commissariale per le ragioni dette prima e della sovrattassa applicata ai passeggeri in partenza dagli aeroporti romani.
Fin qui una “gentile” interpretazione della norma del “Decreto crescita” per il debito di Roma in termini di “municipalismo differenziato”.
Ma i fatti inducono, necessariamente, ad altre interpretazioni meno compiacenti. Essi non rappresentano che esempi ripetuti di cattiva amministrazione del denaro pubblico a danno di tutti gli italiani e non giustificabile, in alcun modo, sotto il paravento di “Roma Capitale”. Cattiva amministrazione e danno che si ripeterebbero qualora la norma del “Decreto crescita” diventasse effettiva. Vediamone alcuni aspetti.
- Il debito del Comune di Roma potrebbe restare ignoto per sempre– La gestione commissariale aveva, come unica mission, la ricognizione del debito della Città. In 11 anni (e, verosimilmente, con costi non indifferenti che sarebbe bene che tutti i cittadini conoscessero) non è riuscita a definirne l’entità. Trasferendo il debito allo Stato, alla ricognizione dovrebbe procedere un ufficio ministeriale, che magari avrà già altre incombenze. Si arriverà mai a quantificare questo debito? Si può, fondatamente, dubitarne. E così lo Stato (cioè tutti i cittadini italiani che, dal 2008, già hanno pagato i 300 milioni annui per il debito di Roma) continuerà a pagare somme man mano che qualcuno le reclama, senza forse conoscerne né l’origine, né il fondamento. E che dire del piano di rientro della gestione commissariale che doveva portare alle casse dello Stato 6 miliardi? Il “Decreto crescita” dovrebbe fare chiarezza su questi punti.
- Crescita del debito pubblico-Come noto, il debito pubblico ha ormai raggiunto la cifra record di quasi 2.364 miliardi di euro. Se il debito di Roma di 12 miliardi passerà allo Stato, il debito pubblico crescerà ulteriormente. L’Europa eccepirà qualcosa? Il Documento di Economia e Finanza (DEF) che si discute in questi giorni ne tiene conto?
- Rivendicazioni da parte di altri comuni-I comuni delle città più grandi hanno tutti debiti ingenti. Torino, ad esempio, 2,8 miliardi. Ma anche i comuni minori sono indebitati. Le cause della formazione di questi debiti sono del tutto simili a quelle del Comune di Roma: aumenti di costi di gestione; esigenza di assicurare, comunque, i servizi pubblici anche in presenza di tagli nei trasferimenti da parte dello Stato; incapacità/non volontà di procedere a revisione delle spese. Non escluse le manie di grandezza degli amministratori che, per guadagnare consenso politico, si sono totalmente dimenticati delle regole del buon governo. Se lo Stato si accolla il debito di Roma, perché non dovrebbe farlo anche per quelli degli altri comuni? Perché non dovrebbero essere assicurati ai cittadini di questi comuni benefici analoghi a quelli che ricadono sui romani per effetto del trasferimento allo Stato del debito? Sono ben palesi le situazioni di ingiustizia che deriverebbero dal proposito governativo sul debito di Roma. Ovviamente tutto questo non potrebbe che determinare altri buchi nel bilancio dello Stato, con ulteriore crescita del debito pubblico.
Concludendo queste note sul trasferimento del debito di Roma ai conti dello Stato, possono sorgere altri timori. Posto che il debito delle partecipate comunali fa carico al Comune, cosa farà il Governo per risanare anche i debiti delle partecipate del Comune di Roma ATAC (trasporto pubblico) e AMA (raccolta rifiuti) che ammontano, complessivamente, a oltre 3 miliardi? Accollerà anche questi allo Stato, e cioè a tutti i cittadini italiani?
*Professor Carlo Manacorda, Economista