Avremo una banca, islamica

Riportiamo l’articolo, a firma di Stefano Rizzi, pubblicato su “Lo Spiffero” il 4 giugno 2017
Sukuk e Murabaha. Sorta di obbligazione il primo e prestito senza interessi il secondo, ma soprattutto due parole che potrebbero presto uscire dai confini della Sharia – la legge islamica che li prevede come precetti in questioni legate all’uso del denaro – e fare da apripista alla finanza islamica. La stessa che nel marzo scorso aveva ricevuto un convinto viatico da Chiara Appendino. “È auspicabile a Torino la costituzione di banche islamiche che adottino una finanza conforme alla sharia” aveva detto la sindaca Cinquestelle, rafforzando l’idea che possa essere proprio il capoluogo piemontese una delle prime piazze dove potrebbe avvenire quella che i detrattori – leghisti e altre forze sovraniste come Fratelli d’Italia – hanno già paventato come una “colonizzazione islamica delle banche torinesi”.
Un passo in questa direzione avverrà domani con l’approdo in commissione Finanze della Camera del disegno di legge proposto dal presidente della commissione stessa, l’alfaniano Maurizio Bernardo, che mira a introdurre nel codice civile questi primi due strumenti della finanza islamica. Il testo – viene spiegato – punta a regolare queste pratiche, ampiamente in uso nelle comunità islamica, sotto il profilo fiscale ponendole anche sotto un più rigido controllo per quanto riguarda il riciclaggio e i rischi di finanziamento di attività terroristiche. Motivazioni che, tuttavia, non paiono sufficienti a superare forti opposizioni e timori da parte di chi vede in questa apertura ai profili economici-finanziari, una sorta di accettazione della stessa Sharia.
Se la leader di Fdi Giorgia Meloni all’epoca della dichiarazione aperturista della Appendino aveva parlato di “uno scientifico piano di islamizzazione della città di Torino” accusando il M5s di “dimostrare di essere parte integrante del sistema che sta distruggendo le nostre nazioni”, oggi il deputato leghista Giancarlo Giorgettiribadisce tutta la contrarietà del Carroccio “a un’apertura nei confronti di leggi religiose di cui non c’è alcun bisogno, giacché il nostro Paese ha le sue norme in materia di finanza, che vanno rispettate da tutti senza eccezioni”.
Che la finanza islamica non sia questione marginale lo attestano i numeri: secondo stime effettuate nel 2015 questi sistemi movimentano qualcosa come 2mila miliardi di euro l’anno e sono cifre in crescita costante e notevole. Un mare di denaro che deve girare osservando precise regole fissate dalla Sharia. Tra queste il divieto di chiedere interessi sui prestiti e di effettuare investimenti speculativi. Da qui gli strumenti-precetti cui il ddl domani in commissione punta ad aprire l’uso, inserendoli di fatto nella legislazione italiana: con il Murabaha, insieme ad altre due variabili, si supererebbe il divieto per i musulmani di accendere mutui, per esempio per acquistare una casa, mentre con il Sukuk verrebbe consentito di investire risparmi sempre senza violare i principi dell’Islam.
Difficile prevedere iter e tempi – soprattutto approssimandosi la fine anticipata della legislatura – del disegno di legge. Già il solo approdo in commissione, a campagna elettorale di fatto già sostanzialmente incominciata, potrà far assumere una rilevanza notevole a questo tema, inserito in quelli peraltro caldissimi dell’immigrazione e delle questioni sovraniste. Sull’apertura alla finanza islamica, che ha avuto proprio nella sindaca di Torino una convinta sostenitrice – sostegno ribadito anche in occasione del suo viaggio, mesi scorsi a Dubai – si allontaneranno inevitabilmente i grillini dai leghisti, oggi dati come possibili alleati dopo il voto politico. Del resto va ricordato che nella città della Mole si svolge, già dai tempi dell’amministrazione di Piero Fassino, il Tief, Turin Islamic Economic Forum, appuntamento che permette di far incontrare il mondo della finanza islamica con le organizzazioni dell’imprenditoria piemontese, e che nell’Ateneo subalpino esiste una cattedra ad hoc, diretta dal professor Paolo Biancone, trai principali esperti italiani del settore.
Questione, dunque, nient’affatto secondaria e difficilmente occultabile nella prossima campagna elettorale. Con l’immagine di Torino come città che dopo essere conquistata dai grillini, proprio grazie alla politica muslim-friendly della sindaca potrebbe essere il primo e più facile terreno di conquista per la finanza regolata dalla Sharia.