Armi all’Ucraina, nel riassumere l’intervista a Parolin si è superato ogni Limes. Tra ideologia e clickbaiting, uno svarione non del tutto disinteressato del “giornalista collettivo”
Riceviamo in Redazione, e riportiamo, l’articolo a firma di Marco Margrita*, pubblicato in data 11 Agosto 2022 su “www.strumentipolitici.it“
Nelle redazioni dei giornali italiani urgono ripetizioni di riassunto: stravolto il pensiero del segretario di stato vaticano.
“Il riassunto è un esercizio deprezzato. Abbandonato già alle medie, invece andrebbe portato avanti anche alle superiori. Non c’è esercizio più adatto per stimolare nei ragazzi la gerarchizzazione delle notizie, educare alla sintesi e così correggere la verbosità imperante. Con il riassunto, poi, si può verificare la padronanza linguistica e la comprensione di testi via via sempre più complessi. Per questo dovrebbe accompagnare gli studenti fino alla fine delle superiori”. Le parole del compianto linguista Luca Serianni, tragicamente scomparso qualche settimana fa, se quanto oggetto di questo nostro pezzo fosse dovuto solo all’imperizia, andrebbero riferite anche alle redazioni giornalistiche del nostro Paese. Anche lì, infatti, i colleghi al desk sembrano ben pochi avvezzi al riassumere comprendendo. Pur comunque non eccedendo in comprensione dei testi e analisi diretta sulle fonti, a proposito dell’incredibile svarione del “giornalista collettivo” rispetto alla recente intervista data Limes dal Segretario di Stato vaticano, è facile supporre che c’entrino più certi ideologici riflessi pavloviani e la triste pratica del clickbaiting. Una rapida ricerca su Google ci conferma come grandi agenzie e quotidiani autorevoli, a seguire tutti gli altri con il loro compulsivo copia e incolla, abbiano riferito ai lettori che il cardinal Pietro Parolin avrebbe sostenuto, a proposito della guerra in Ucraina, che “Non si può chiedere all’aggredito di rinunciare alle armi”.
La risposta sul punto della legittimità della difesa in arme era molto più articolata, ovviamente. E in ben altra direzione avrebbe dovuto portare, nel riassumere, la considerazione del timbro complessivo del denso dialogo con Guglielmo Gallone e Lucio Caracciolo (ah, l’ermeneutica questa sconosciuta!).
Partiamo dal riportare le parole del presule, quindi. Eccole: “Quanto al ricorso alle armi, il catechismo della Chiesa cattolica prevede la legittima difesa. I popoli hanno il diritto di difendersi, se attaccati. Ma questa legittima difesa armata va esercitata all’interno di alcune condizioni che lo stesso catechismo enumera: che tutti gli altri mezzi per porre fine all’aggressione si siano dimostrati impraticabili o inefficaci; che vi siano fondate ragioni di successo; che l’uso delle armi non provochi mali e disordini più gravi di quelli da eliminare. Il catechismo, infine, afferma che nella valutazione di questa problematica, gioca un ruolo importante la potenza dei moderni mezzi di distruzione. Per tali ragioni, papa Francesco, nell’enciclica Fratelli tutti afferma che non si può più pensare alla guerra come a una soluzione, perché i rischi saranno probabilmente sempre superiori all’ipotetica utilità che le viene attribuita. Conclude con lo stesso grido di san Paolo VI alle Nazioni Unite, il 4 ottobre 1965: «Mai più guerra!». Rispondendo nel caso ucraino in particolare, infine, ha rimandato “ai princìpi appena esposti. Le decisioni concrete spettano ai governanti, come riconosce il catechismo della Chiesa cattolica. Non va dimenticato, tuttavia, che il disarmo è l‘unica risposta adeguata e risolutiva a tali problematiche, come sostiene il magistero della Chiesa. Si rilegga, ad esempio, l’enciclica Pacem in terris di san Giovanni XXIII. Si tratta di un disarmo generale e sottoposto a controlli efficaci. In questo senso, non mi pare corretto chiedere all’aggredito di rinunciare alle armi e non chiederlo, prima ancora, a chi lo sta attaccando”.
Una complessità adeguata al tema e certo ardua da maneggiare per farci un titolo, ma difficile sostenere che fosse sic et simpliciter un via libera all’invio di armi senza che ci sia un forte investimento politico della comunità internazionale sull’interruzione del conflitto.
Nemmeno Parolin, insomma, si fa “cappellano dell’Occidente”. Anche se così si è definito giornalisticamente per farlo apparire tale (e non solo perché i colleghi sono disabituati al pedestre quanto utile esercizio del riassunto, ci pare legittimo supporre).
Proprio sull’importanza del non ridurre la Chiesa cattolica a cappellania dell’occidentalismo (questione di cui abbiamo già scritto su queste colonne virtuali), dal capo della diplomazia vaticana giungono riferimenti storici e importanti criteri di giudizio. Anche qui, vale la pena riportare integralmente il passaggio del colloquio con la principale rivista italiana di geopolitica. Così il cardinale: “Ricordo, ad esempio, la posizione espressa da Pio XII sulla guerra in Corea, nel 1950, e il suo rifiuto di farsi in qualche modo «arruolare» dal presidente degli Stati Uniti Harry Truman. Ricordo la mano tesa all’islam da san Giovanni Paolo II, che ricusò, con tutte le forze che ancora gli rimanevano, l’idea dello «scontro di civiltà» dopo gli attentati dell’11 settembre 2001. Non dimentichiamo il suo gesto di riunire i leader delle religioni mondiali ad Assisi per promuovere la pace e togliere qualsiasi giustificazione all’abuso del nome di Dio per fini di violenza e di terrorismo. Ho proposto solo due esempi, ma ce ne sarebbero molti altri utili a dimostrare come il cliché di «cappellano dell’Occidente» non si addice al pastore della Chiesa universale, nonostante i tentativi di accaparrarselo dall’una e dall’altra parte. Papa Francesco, che i cardinali nove anni fa hanno chiamato sul Soglio di Pietro andandolo a prendere «quasi alla fine del mondo», appare ancor meno omologabile al cliché di cui sopra. Credo che l’universalità e la particolare attenzione e sensibilità verso le popolazioni dei paesi più poveri, come pure una Chiesa meno eurocentrica e uno sguardo multilaterale rispetto ai problemi internazionali facciano parte del dna della Chiesa cattolica. E si inscrivano in un processo iniziato e poi portato avanti nei precedenti pontificati. Ogni Papa, almeno a partire da Pio XII, ha fatto un passo in più in questa direzione”.
La strada dell’equivicinanza – per usare un’espressione impiegata proprio dal cardinal Parolin e che forse non sarebbe stato male recuperare in qualche titolo – è, d’altronde, l’unica che consente di farsi prossimo “a quanti soffrono le conseguenze nefaste di questa guerra, le vittime civili innanzitutto, e poi i militari e i loro familiari, comprese le madri di tanti giovani e giovanissimi soldati russi che non hanno più avuto notizie dei loro figli morti durante i combattimenti”.
Contro l’innalzamento del livello di questa pericolosa porzione della “terza guerra mondiale a pezzetti” bisogna saper smilitarizzare anche il linguaggio (altro che certi riassunti!). Come saggiamente ricorda il cardinale Segretario di Stato, collegandosi alle parole di papa Francesco nel Regina Coeli del 1° maggio scorso, infatti, “l’escalation militare si accompagna sempre più a un’escalation verbale. Non sto mettendo ovviamente sullo stesso piano le parole e le armi, gli insulti e le bombe. Ma, purtroppo, un’escalation prepara l’altra. La guerra inizia nel cuore dell’uomo. Ogni insulto sanguinoso allontana la pace e rende più difficile qualsiasi negoziato. Non dobbiamo cedere alla logica della demonizzazione dell’avversario, del nemico”.
Allontanano dalla pace anche i riassunti fatti senza scollegare il pilota automatico dell’ideologia o titolati guardando solo alla “guerra dei click”.
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* Marco Margrita – Classe 1977, giornalista e consulente nel settore della comunicazione. Direttore del settimanale “Il nuovo Monviso” e di “2006più Magazine” (voce del gruppo Dai Impresa). Dirige la comunicazione di Echos Group. Collabora con diverse testate nazionali (tra cui Tempi) e locali. Ha lavorato per Pubbliche Amministrazioni, realtà d’impresa e del Terzo settore. Presidente regionale piemontese e componente dell’Esecutivo nazionale del Mcl – Movimento Cristiano Lavoratori. Consigliere d’amministrazione della Fondazione Italiana Europa Popolare e Componente del Comitato Scientifico della Fondazione De Gasperi. Co-autore, con Giorgio Merlo, del libro “I Granata” (Daniela Piazza Editore)