Alitalia: così non va. È un disastro annunciato
Riportiamo l’articolo, a firma di Roberto Arditti, pubblicato su “formiche.net” il 10 luglio 2019
Per onestà intellettuale occorre dire che risolvere la crisi Alitalia non è facile, anzi è difficilissimo, tanto è vero che il problema si trascina da almeno tre decenni. Molti sono i dati che dimostrano la dimensione di questo immenso “bubbone” nazionale, ma ci limitiamo qui a riportarne uno (Fabio Pavesi per Il Sole 24 Ore, 18 luglio 2018): in trent’anni il contribuente italiano ha versato (a vario titolo) 7,4 miliardi di euro per fare fronte alle varie crisi della compagnia. Alla vigilia quindi della scadenza (ormai mitica) del 15 luglio va però chiarito un punto, affinché i governanti ne abbiano contezza prima di decidere.
Il punto è molto semplice, nella sua disarmante evidenza: la soluzione che sta venendo avanti non ha nessuna possibilità di funzionare ed è quindi bene chiarire sin d’ora che tra qualche tempo (difficile stimare quanto) il governo che sarà in carica dovrà tornare a mettere drammaticamente mano al dossier. Basta infatti guardare con attenzione la compagine che si appresta (o si appresterebbe) a rilevare Alitalia per capire come stanno le cose e, sopratutto, per coglierne l’assoluta inadeguatezza e confusione. Proviamo a descriverla, dando per buone le notizie di stampa ed immaginando che un po’ tutti i soggetti evocati prendano parte alla sfida.
Se così fosse avremmo una governance poggiata su almeno quattro o (più probabilmente) cinque soggetti, ognuno dei quali fa un mestiere diverso, con obbiettivi diversi, strumenti operativi diversi e, elemento di massima rilevanza, soggetti di eterogenea provenienza al vertice. La “nuova” Alitalia infatti dovrebbe avere con ruolo importante nella compagine azionaria il Mef, a garanzia dell’indirizzo pubblico dell’intera operazione. Una sorta di socio tutore, con però evidente potere d’indirizzo. Al Mef si aggiungerebbe il gruppo Ferrovie dello Stato, tentando così un’inedita sinergia ferro-aria che (per quanto potuto accertare da chi scrive) nessuno ha mai sperimentato nel mondo occidentale o, più in generale, nei paesi che operano con logiche di mercato. Più nello specifico del caso italiano vale inoltre la pena ricordare che l’azienda pubblica del trasporto su ferro già fatica a reggere il peso degli investimenti necessari per l’ammodernamento delle linee e del materiale rotante, figuriamoci cosa succederà quando dovrà anche farsi carico di oneri sul fronte volo.
Mef più Ferrovie dello Stato costituirebbero il nucleo prevalente, lasciando agli altri un ruolo comunque secondario (anche se rilevante). Osserviamoli dunque questi “altri”. Innanzitutto c’è il socio americano, cioè Delta Airlines. Gruppo fortissimo, con 44 miliardi di dollari di ricavi e 5 di utile operativo, gioca certamente il ruolo di “esperto” del gruppo (e quindi ne va apprezzata la disponibilità). Però è azienda governata da management duro come l’acciaio (si legga l’intervista a Ed Bastian, Ceo Delta Airlines, del 21 febbraio di quest’anno al New York Times) e abituato a decidere con assoluta indipendenza: come tutto ciò sarà compatibile con un approccio da “mano pubblica” resta un assoluto mistero.
Veniamo infine ai possibili soci italiani, due in particolare (tra dichiarati e ancora “coperti”). C’è il gruppo Toto, che ha già avuto in passato (Airone) esperienza nel settore ma che ora fa essenzialmente altro (costruzioni, gestione tratte autostradali). E poi c’è l’incognita Atlantia, da molti evocata ma che, sin qui, ha negato ogni interesse sul dossier Alitalia. Il gruppo è forte e diversificato, ma presenta due aspetti che impongono attenta riflessione.
Il primo è notissimo, cioè la dolorosa vicenda del ponte Morandi con le sue conseguenze annunciate più volte dal governo: il ritiro delle concessioni autostradali. Il secondo è legato alla proprietà di scali aeroportuali, Fiumicino in primis. Ebbene quella che potrebbe apparire di primo acchito una funzionale sinergia deve essere attentamente valutata per quello che è: si tratta di due mestieri diversi. Nessuno può cioè dare per scontato che gli obbiettivi (innanzitutto reddituali) del gestore di un aeroporto (e quindi anche degli slot) si possano sposare virtuosamente con gli obbiettivi di una compagnia aerea.
Mef più Ferrovie dello Stato più Delta Airlines più Gruppo Toto più Atlantia (forse): già così è sostanzialmente certo che non può funzionare. Figuriamoci se poi aggiungiamo altri soggetti, dal Gruppo Lotito ad Avianca (partner colombiano di Delta Airlines), i cui nomi sono stati spesso evocati in queste settimane.
Ministro Di Maio si fermi, adesso che è ancora in tempo. I commissari Alitalia stanno facendo un buon lavoro, si prenda qualche mese a cerchi una soluzione in grado di reggere nel tempo.
Una soluzione di mercato, perché questa non lo è.